" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Allarme disagio intenso a Venezia, s'è fatto davvero tutto nero per la conclusione della Biennale Teatro

Uno dei momenti conclusivi di 'Food Court' (foto di Jeff Busby)

 Maledizione, guardate che cosa è toccato alla giornata del pre-finale del Festival internazionale del Teatro, in cui Biennale Venezia ospitava la seconda rappresentazione di ‘Food Court’ degli australiani diversamente abili di Back to Back Theatre, vincitori del Leone d’oro 2024, e la prima dello spettacolo più atteso, ‘Medea’s kinderen’ di Milo Rau

 Ecco, un così ghiotto San Pietro e Paolo di spettacoli, per giunta sabotino, ha dovuto affrontare idealmente non solo il disastro annunciato della Nazionale di calcio ai campionati europei, che ha distratto per la serata l’intero Paese, ma anche con l’insolita partenza anticipata del Festival d’Avignone, appuntamento clou del teatro europeo.

Quest'anno il governo francese ha imposto di chiudere la rassegna entro il 21 luglio, per motivi di ordine pubblico e d’impiego delle forze di polizia, in modo da nemmeno sfiorare la sovrapposizione in calendario con le Olimpiadi a Parigi. 

 Peraltro il festival s’è scaldato subito politicamente, con l’intera direzione artistica, Tiago Rodrigues in testa, che è salita sul palco del Palazzo dei Papi per lanciare, a pochi giorni dal voto, un accorato appello elettorale contro il partito di Marine Le Pen.

 Quest’anno, dal punto di vista strettamente teatrale, Avignone rappresenta per gli appassionati e gli addetti ai lavori un piatto forse anche più ricco del solito, a cominciare da un’inaugurazione partecipata con un grande ballo in cerchio, per duecento professionisti e non, affidata al Tanztheater Wuppertal di Pina Baush e ambientata allo Stadio. 

 Intitolata semplicemente ‘Cercles’, l’insolita festa danzante del festival è stata ideata e coreografata da Bruno Charmatz, personaggio tra i più interessanti e innovativi della scena europea, che è stato scelto come ‘invité complice’ del 78mo festival del teatro e presenterà sia il suo straordinario e complesso ‘Liberté Cathédrale’ sia un nuovo progetto immersivo, ‘Per sempre’, omaggio al mito di ‘Café Müller’, lo spettacolo più noto della Baush.

 Quindi, con la testa agli azzurri in campo e il cuore ad Avignone, un centinaio e rotti di spettatori, appassionati e teatranti non solo italiani, si sono immersi nell’annunciato ‘disagio fisico intenso’ dell’allarme meteo dell’Arpav, per la combinazione di caldo e umidità a Venezia, al Piccolo Arsenale alle 18, per la replica di ‘Food Court'.

E, poco più di una mezz'ora dopo, altrettanti si sono presentati alle Tese in Arsenale, per vedere i poveri figli di Medea ‘dell’insopportabile nuovo capolavoro’ di Rau (‘een onverdraaglijk meesterwerk’ seguito da 5 stelle è stato il titolo della prima recensione sul quotidiano gauchista belga, ‘DeMorgen’).

 Si dirà meglio in una prossima occasione di questo ’Medea’s Children’ (il titolo inglese è stato adottato da Biennale di Venezia, che ha addirittura co-prodotto con NTGent e Wiener Festwochen, saldando un rapporto privilegiato con Rau che i curatori Stefano Ricci e Gianni Forte hanno costruito nel tempo, ricavando in dote per questa edizione anche due altri protagonisti ‘chiccosissimi’ dalla scuderia del Teatro Nazionale fiammingo, Luanda Casella e Miet Wharlop).

 Una decina di minuti prima della fine della prima italiana di questo nuovo progetto di Rau sono scappate via dalle Tese due coppie di signori eleganti, di quelli che a Milano si direbbero il pubblico maturo da teatro borghese, silenziosamente schoccati i primi due, e addirittura scandalizzati gli altri

‘E' solo pornografia’ commentava lui salendo sul ‘golf caddy’ che l’organizzazione gentilmente mette a disposizione per il tragitto verso la lontana uscita. 

Tutti gli altri spettatori, invece, non solo hanno resistito oltre la cruda ‘scena madre’ - pardon, per la battutaccia! - della vera Medea belga di duemilacinquecento anni dopo. Lo spettacolo è ispirato a un celebre caso di cronaca del 2007, con una donna, Geneviève Lhermitte, che ha massacrato uno dopo l’altro le quattro figlie e l’unico maschio, e dopo la condanna all’ergastolo ha poi chiesto e ottenuto l’eutanasia in carcere. 

 Alla fine gli applausi sono scrosciati intensi e commossi come poche volte capita. Sarà stato anche per un senso di liberazione, diranno i maligni. Sta di fatto che diversi spettatori hanno deciso addirittura di filmare con i telefonini un tale episodio d’entusiasmo e di condividerlo sui social.

I commenti che si potevano captare all’uscita andavano, in crescendo di superlativi assoluti, da ‘bellissimo’ in su.

 Ancora a tarda serata, sul ‘bateo’ di Alilaguna che trasportava verso San Marco, la Stazione e Piazzale Roma, i reduci dall’ultimo spettacolo (’Sleeping beauty’ di Fabrizio Arcuri e Carolina Balucani), c’era chi si consolava rivedendo quei video di applausi con i protagonisti grandi e piccini della neo-Medea.

Una addetta ai lavori di consolidata esperienza, che aveva visto persino il primo spettacolo di Milo Rau a Gent nel 2017, ‘Five Easy Pieces’, anch’esso coi bambini in scena, dichiarava senza mezzi termini: ‘penso che sia in assoluto lo spettacolo più bello che abbia mai visto’. Sic.

 Tornando macchina indietro al tardo pomeriggio dell’Italia calcistica al disastro, per ripartire dalla prima ondata d’emozione al Piccolo Arsenale, anche ‘Food Court’ dei Back to Back Theatre, considerato il capolavoro storico di questa compagnia di Geelong in Victoria (‘the place to be’ dell’Australia), è a dir poco uno spettacolo inquietante.

Certo, non siamo nel nuovo realismo post-brechtiano di Rau, no: il magistrale Bruce Gladwin, che da 25 anni è il regista e direttore artistico della compagnia più premiata di diversamente abili, non ha pubblicato manifesti, non ha teorizzato di ‘voler rendere reale la rappresentazione’, mettendo a nudo la produzione stessa del teatro, non vuole arrivare alla ‘rivoluzione globale’, non ha scelto ‘la ripetizione assolutamente letterale del presente attraverso il passato per il futuro’.

 Si può dire che l’oceanico victoriano Gladwin, classe 1966 (Rau è di una decina d’anni più giovane e di cultura tedesca) sia autore di un teatro sofisticato, e conchiuso nella scatola magica che sa costruire alla perfezione, in grado di avvolgere gli spettatori. Simile, per essenzialità e stranezza di linguaggio non tanto al solito Beckett che viene tirato in ballo dai critici, piuttosto ai migliori esiti di quella che è stata la Rivoluzione Settanta.

Al torrente di parole del teatro di Rau, oppone idealmente un testo estremamente scarno, all’incalzare degli avvenimenti messi a nudo preferisce un tempo dilatato e quasi rarefatto, dentro una sorta di bolla d’ambientazione che viene creata dalla strepitosa colonna sonora dal vivo d’avantgarde jazz della band The Necks. Eppure…

 …eppure quanto è ‘hard’ anche questo ‘Food Court’, che infatti nasce anch’esso da un delittaccio di cronaca ricostruito. Bisognerà tornare a parlare con calma di questa compagnia unica, e l’intervista post-Leone d’oro a Gladwin servirà all’uopo.

Intanto va detto solo che 'Food Court' è un gioiello, non c’è dubbio; una perla per così dire omeopatica, che non lascia margini al pubblico, costringe a giudicare e a giudicarsi, senza falsi moralismi. 

 Il punto è, tanto per mettere un punto a questa cronachetta, che lo stramaledetto tema scelto da ricci/forte per l’ultima biennale da curatori, sarebbe ’Niger et Albus’. Ma, poi, vattelappesca il bianco del nero nel giorno clou di San Pietro e Paolo, con tanto di sfide aperte contro la Nazionale e il festival Avignone: più scuro di così è difficile da immaginare.

Tra il Carbon black scelto da Back to Back Theatre come gradazione simbolo e il Coal black che connota l’ultima creazione di Rau. 

 Altro che l’allarme per disagio intenso da caldo e afa, i previsori non potevano sapere che all’Arsenale sarebbe calata l’oscurità in questo modo.

E, alla fine, tra il nero carbone e il nero fumo bisogna pur portarsi a casa quella salvezza che solo l’emozione del teatro artistico sa far ritrovare dentro allo spettatore. Il bianco acceca, meglio annerirsi così.

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