Willem torna a guardare a quel suo garage in Manhattan: fa ruggire due vere Leonesse e prepara almeno una terza sorpresa
28.01.2025
Willem torna a guardare a quel suo garage in Manhattan: fa ruggire due vere Leonesse e prepara almeno una terza sorpresa
Non è stato del tutto un abbaglio, aver dato per imminente l’annuncio di qualche nome grande davvero, e sorprendente, in apertura della Biennale Teatro 2025. Per ora un nome magistrale rimane coperto e continuano a girare solo voci sul programma vero e proprio.
In compenso - e non è poco -, Willem Dafoe ha annunciato che i ‘suoi’ primi due Leoni andranno a protagoniste donne, entrambe di prim’ordine, anche se fino ad oggi nei teatri italiani i loro lavori si visti ben poco, o quasi niente.
Per l’Oro alla carriera il nuovo ‘curattore’ ha fatto una scelta che più sua non si potrebbe: Elizabeth LeCompte, della compagnia newyorchese The Wooster Group, in cui lo stesso Defoe ha mosso i primi passi, cinquant’anni fa o giù di lì.
Elizabeth è la fondatrice e 'inimitabile guida' che, come dicono gli esperti americani, 'ha saputo mescolare Lenny Bruce, l'LSD e il badminton allo stile consolidato dell'avanguardia teatrale, scuotendo forte il nuovo mix e servendolo poi sempre al pubblico come una svolta' (cit. da 'Vulture' del 'New York').
Per il Leone d’Argento, invece di spingersi sui territori impervi della sperimentazione e delle novità, come facevano a volte i predecessori, Dafoe ha optato quasi per un raddoppio del premio ‘alla carriera’, puntando su Ursina Lardi, attrice nata in Svizzera, ma europea di fatto, di casa dal 2012 nel più prestigioso teatro di Berlino, lo Schaubühne, con un curriculum di livello.
Forse non tutti in Italia conoscono il nome pur particolare di Ursina, perché tanto quanto è magistrale nello stile di sotto-recitazione, si rende pure quasi invisibile fuori dal palcoscenico: è un'autentica anti-star.
Giusto dalle sue parti, tra le montagne dei Grigioni, è molto considerata e seguita dai media, è il personaggio di cui vanno fieri in un Cantone dove guardano male persino i proprietari del cioccolato con il profilo del Matterhorn sulla confezione, perché non pagano i diritti d'immagine.
Eppure, ben aldifuori dell'Alta Engadina e della Val Poschiavo, molti appassionati, dai registi e autori più importanti della scena artistica ai modesti dramaholici adoranti, considerano Ursina Lardi la più completa e straordinaria interprete che si possa vedere a teatro nell'Europa continentale. Ché oltretutto adesso, come ricorda bene la motivazione di Dafoe, ‘sta connotando in chiave sempre più autoriale la propria creatività d’attrice’.
Due premi, due prime. E’ questa l’equivalenza d’uso in un Festival come Venezia, e così le belle scelte al femminile di Dafoe si traducono poi nella possibilità di offrire agli appassionati due appuntamenti da non perdere, entrambi di segno decisamente artistico militante, cioè tutt’altro che di anodino intrattenimento, seppur di linguaggi così diversi e paradossalmente complementari.
Si dovrebbe ridere e di gusto, sabato 31 maggio alle Tese dell’Arsenale di Venezia, dove è annunciata la prima europea di ‘Symphony of Rats’, spettacolo di The Wooster Group che riporta sul palco, a quasi quarant’anni di distanza, un celebre testo di Richard Foreman.
Surreale meditazione sul potere e l’immaginazione, con tanto di anziano Presidente americano messo in mezzo sul palcoscenico, è un testo scritto sul finire dell’era di Ronald Reagan, dal sofisticato drammaturgo e regista newyorchese scomparso in questi giorni (Foreman è stata una figura chiave dell’avanguardia dal 1968, quando fondò il suo Ontological-Hysteric Theater di SoHo).
E chissà se porta pure all'attualità politica, tradotta al presente 'trumpiano', questa cara, vecchia e scorretta 'sinfonia dei topacci'. Nella motivazione stessa del Leone a LeCompte, del resto, Dafoe parla così: ‘ha saputo influenzare la creazione teatrale aprendola al dibattito politico e culturale, in un percorso coerente e caparbio, frutto di studio approfondito, di tecnica innovativa – sempre incentrata sull’integrazione della tecnologia moderna con l’arte fisica dell’attore, all’interno di una mise en scène di sua ideazione’.
Arriva in chiusura di Biennale Teatro, il 13 giugno, l'altra prima Leonina, e qui va detto proprio: ‘preparate i fazzoletti’ e foderate un po’ il cuore, per il nuovo spettacolo che Ursina Lardi sta costruendo insieme con Milo Rau, ‘Die Seherin’ (La veggente).
In attesa del canonico 'trigger warning' da locandina di Rau, questo primo consiglio così, un tanto al chilo, si basa sul precedente indimenticabile, subito dopo il Covid, del commovente ‘Everywoman’ sul teatro e la vita, frutto della prima collaborazione alla pari tra Lardi e il regista-guru dell'impegnatissimo IIPM (International Institute of Political Murder) (1).
Per ‘Die Seherin’ (La veggente), dovrebbe trattarsi della prima italiana, perché presumibilmente lo spettacolo, coprodotto da Biennale con Wiener Festwochen e Schaubühne, debutterà a Vienna, sempre che l’eventuale nuovo governo di destra in Austria non causi subito l’inevitabile terremoto anche della manifestazione di spettacoli dal vivo più importante, affidata dallo scorso anno alla guida ‘rivoluzionaria’ dello stesso Rau.
Per quanto riguarda il resto del programma che Defoe sta ultimando, non si saprà ancora niente di ufficiale per un po’ di tempo, ma va decisamente bene così.
A momenti viene febbraio e ‘il Carnevale impazza’. Venezia non vive d’altro, anche Biennale fa la sua parte e apre addirittura il palazzo di Ca’ Giustinian alla festa, con una Rassegna internazionale per ragazzi. Il Teatro può attendere.
Subito dopo, dal 3 al 15 marzo, è stato inserito nei programmi un nuovo progetto speciale, firmato dall’Archivio Storico e alquanto suggestivo anche per la location, il Portego delle colonne della Scuola Grande di San Marco. Si tratta della realizzazione scenica del commento al Vangelo di Giovanni di Meister Eckhart, il testo sulla Parola del mistico speculativo medievale che, con la sua visione del pensiero come ‘abbandono dell'uomo all'esistenza’, ha influenzato persino l’ultimo Heidegger.
L’evento, come si può leggere sulla presentazione ufficiale pubblicata a metà dicembre, non è privo di un breve suggello teologico-filosofico firmato dal Presidente Pietrangelo Buttafuoco, che mostra sempre di frequentare e amare un certo filone di pensiero - ma questo sarebbe poi un altro discorso da fare a parte (2).
Con una discesa in picchiata, dall’allestimento teatrale del testo esegetico eckhartiano sul Dio che è Pensiero, torniamo terra-terra agli annunci per le altre attese scelte di Dafoe.
Probabile che così si arrivi a metà marzo, chissà, o forse addirittura alla conferenza stampa ufficiale, che potrebbe cascare a fine marzo. E magari, come fecero l’altr’anno Stefano Ricci e Gianni Forte, l’ineffabile duo-diviso che fu ricciforte, si scoprirà giusto un palinsesto di massima, magari qua e là costellato di spazi bianchi, ‘spettacolo da definire’, e amen.
Il nuovo ‘curattore’ hollywodiano, del resto, vive anche in Italia, da quando ha sposato la collega Giada Colagrande, conosciuta su un set di Wes Anderson. In realtà, gravita pur sempre intorno a Los Angeles (dove Dafoe ha il suo agente, la sua addetta stampa e mantiene pure una casa) e New York, dove non soltanto abita un altro appartamento di proprietà ma ha pure una vecchia autorimessa in Manhattan, cioè appunto la sede della ‘sua’ compagnia The Wooster Group.
Tanta roba, come si dice, quel 'Performing Garage': teatro sperimentale di metà anni Settanta, autentico off-off, e poi l’impresa di provare a resistere cambiando pelle, per cinquant’anni, senza troppo omologarsi al mainstream, incalzati dalle nuove formazioni di ricerca e dai nuovi linguaggi.
Il mondo cambia in fretta e il teatro d'avanguardia si rinnova. Eppure ancora dopo l’ultima ripresa della ‘Sinfonia dei ratti’ che vedremo a Venezia, si potevano leggere sul sempre cattivello ‘Vulture’ elogi fin quasi imbarazzanti alla LeCompte, per la ruvida coerenza del percorso artistico.
'Proprio ora che i vicini di casa del Wooster Group sono Zara e Patagonia, è quindi importante - è davvero importante - che dietro la facciata di mattoni discreta del Performing Garage, l'avanguardia teatrale sia ancora, come sempre, allegramente fucking shit up ’ (gergale-affettuoso raddoppio di parolacce che formano la sentenza coprologica di Sara Holdren, anche lei regista di rango, oltre che brillante critico).
Del teatro artistico americano molti ricorderanno soprattutto il momento d'oro di Julien Beck e del Living Theatre, intorno alla Biennale 75 diretta da Luca Ronconi, celebrata l’anno scorso con un film documentario ufficiale di Jacopo Quadri, il figlio del più influente critico, Franco Quadri, che ha tenuto a battesimo sulla scena italiana le avanguardie e la Rivoluzione Settanta.
Ai tempi, mezzo secolo fa, quasi tutti i guru di quella stagione s’incontrarono e confrontarono a Venezia, per due settimane, prendendo possesso di mezza città con spettacoli cult e impegnati che forse nessun istituzione al mondo si sognerebbe più di produrre.
C’è da scommettere che Dafoe, essendosi formato in quel clima, vorrà almeno rendere omaggio anche a quel 'teatro povero'. Facendo un po’ di conti con il tempo che è passato, di quei grandi della Venezia 75 un maestro ancora all’opera ci sarebbe, facile indovinare il nome, e quasi per scaramanzia non lo sussurriamo nemmeno.
Aggiungendo solo che questo Grande va ancora in giro per il mondo con i sandali ai piedi, come sempre, per sostenere il ‘terzo teatro’ sociale e popolare, e considerato che ha ha appena prodotto l’ultima delle sue inimitabili opere proprio sul tema delle eredità che lasciamo ai figli e alle nuove generazioni, beh...
E' presto detto che così Dafoe chiuderebbe - condizionale retorico - meglio il cerchio sulla Rivoluzione Settanta e le varie anime di quel teatro: altrimenti sembrerebbe - condizionale da leggersi all’indicativo - che la sua attenzione sia stata un po’ sbilanciata, in chiave autoreferenziale, nei confronti della post-avanguardia newyorchese.
E se poi Dafoe riuscisse addirittura a portare a Venezia anche qualche esponente della ricerca artistica di oggi, più o meno estrema, come ha pur ben fatto con Carolina Bianchi il nuovo collega della Danza Wayne McGregor, l'Italietta culturale istituzionale che ha storto il naso al momento della nomina, si dovrebbe aspettare qualche altro bel pugno nello stomaco.
Tanto il Presidente Buttafuoco può sempre rivendicare come sua, anche in senso esteso, cioè di orizzonte programmatico di 'realesement' - per dirla aulicamente -, quella bella Expositio S.Evangelii s. Iohannem’ di Meister Eckhart…
NOTA (1) QUELL'OMICIDIO POLITICO MULTIMEDIALE
Per la sua casa di produzione svizzero-tedesca fondata nel 2008, Rau, che è quasi un novello Brecht di un post-teatro epico multimediale, ha scelto questo nome vagamente inquietante, evocativo addirittura dell'omicidio politico, per indicare che le varie attitività prodotte vertono sui conflitti storici e politici del mondo.
NOTA (2) TRE ATTORI, UN CORO E LE VIDEOGRAFICHE
L’evento speciale di marzo si concretizzerà in una sorta di lettura cantata e spettacolarizzata del denso trattato sul quarto Vangelo che Eckhart presentò in latino durante il suo secondo magisterium a Parigi (1311-13, cattedra di Tommaso d’Aquino in rue Saint Jacques, mica una bazzecola). E' decisamente alta, l'asticella della sfida teatrale, affidata a tre attori considerati (Diego Aita, Federica Fracassi e la giovane Leda Kreider), oltretutto nell’atrio del monumentale complesso cinquecentesco oggi noto come Ospedale Civile SS. Giovanni e Paolo.
Questa rappresentazione di ‘Expositio Sancti Evangelii secundum Iohannem’ farà leva soprattutto sulla suggestione delle voci del Coro della Cappella Marciana, sotto la guida del Maestro Marco Gemmani (in armonia con gli attori, la diffusione del suono affidata a Thierry Coduys).
Come in un precedente fortunato evento legato alla riproposta in San Lorenzo, 50 anni dopo, di ‘Promoteo’ di Luigi Nono, l’impianto di questa lettura cantata del testo medievale è nelle mani di Antonello Pocetti, drammaturgo e regista anche d’opera, dello scenografo catanese Antonino Viola e conta pure - almeno si spera - sulle immagini video, progettate da Andrew Quinn, sparate sui muri intorno.