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Altro che Sanremo e canzonette, questo '(čajka)' sì che è un vero bagno nel lago dei sentimenti

Giovanni Cannata, attore esordiente per Liv Ferracchiati (foto Masiar Pasquali)

 All’uscita del Teatro Studio Melato, nell’atrio, con le porte spalancate per far defluire il pubblico, s’intravede anche Liv Ferracchiati, che dev’essere sceso dalla regia luci al primo piano e si ferma a salutare questa o quello dei vari addetti ai lavori presenti alla decima rappresentazione del suo nuovo ‘Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka)’.

E’ martedì 6 febbraio, una serata anomala, la prima del rito televisivo nazionale del festival di Sanremo, la sala di un teatro non è ovviamente così piena e si notano subito tre o quattro volti di attori, qualche critico con il taccuino in mano, gente che lavora a vario titolo negli altri teatri…

 Così, all’uscita, forse sono soltanto uno o due, o pochi di più, gli appassionati del pubblico vero e proprio, extra-teatrale, che riconoscono Ferracchiati e si permettono di avvicinarsi per fargli i complimenti. Lui è gentile ma sempre un po’ sul ‘chi va là?’.

Al primo dei fortunati fans mancano persino le parole, perché l’emozione non è stata ancora smaltita, e fatica ad andare oltre un ‘bravissimo, davvero, bravissimo’. Una signora dietro aggiunge: ‘bellissimo spettacolo, mi ha riconciliato con il teatro’. 

 Chissà se l’ironico e ipercritico Liv, in un retro-pensiero dei suoi, avrà reagito chiedendosi subito: diranno sul serio? La pensano davvero così?

Doveva sentirla qualche minuto fa, la stessa raffinata spettatrice in prima fila che urlava ‘bravi’ agli attori e appena alzatasi dalla platea esclamava ad alta voce: ‘che bello spettacolo, il più bello che ho visto al Piccolo in queste stagioni!’. 

 Commentava positivamente il contenuto letterario, tra ‘Il Gabbiano’ di Čechov e un racconto di David Foster Wallace (ma c’è anche una citazione cult da un horror di Maupassant), la costruzione teatrale, la recitazione, le luci (di Emiliano Austeri, collaboratore dal promettente cognome che da anni Ferracchiati si porta appresso dalla sua Umbria; davvero indovinati anche la scena di Giuseppe Stellato e i costumi di Gianluca Sbicca).

 Per stringere, e tirare in ballo i massimi sistemi: se vi piace davvero il teatro che non si vergogna di essere (o fare) teatro (copyright Alessandro Serra da Ingmar Bergman), che non insegue il pubblico della televisione e delle serie, che non strizza l’occhio troppo alle mode, che ‘se ne frega di tutto sìììì’, che prova a vivere semplicemente e bene la sua vita appunto ‘spericolata’ in tempi così ostili alle espressioni artistiche autentiche e alla bellezza...

Ecco, se è così, lasciate perdere tutti quelli che diranno, o già dicono, che è uno spettacolo imperfetto e non mancate l’appuntamento con questo nuovo Ferracchiati-Čechov in salsa DFW, da qui al 25 febbraio.

 E’ un consiglio da appassionati, che si può motivare meglio con un pugno di perché. 

 1) Partendo dalla fine, al secondo o terzo giro di applausi muove il cuore del dramaholico già commosso dalla potenza dello spettacolo, l’affetto con cui lo Zio (un Nicola Pannelli gigionesco, perfettamente in parte) continua a far lo zio dei due attori esordienti scompigliando la zazzera di uno e spingendo avanti l’altro. 

 2) Vedere due giovani appena diplomati salire per la prima volta su un palcoscenico così importante e impegnarsi con un testo non proprio facile, è già di per sé salutare, tanto di cappello a Liv che li ha valorizzati: uno addirittura, Giovanni Cannata, si carica sulle spalle la parte del protagonista e il peso dell’intarsio tra Kostja e DFW, fin dall’apertura dello spettacolo, al buio, per sua fortuna (e anche qui complimenti a Ferracchiati, grande inizio). 

 L’altro, Cristian Zandonella, il Maestro, ha una parte meno impegnativa ma - attenzione - era il ruolo che all’inizio si voleva tenere per sé Ferracchiati (e di nuovo bravo Liv, che stavolta si è chiamato fuori dal palcoscenico: è una vera prova di maturità).

E forse perciò Cristian ha l’occasione di cimentarsi almeno in due scene madri veramente notevoli, la prima addirittura strepitosamente comica (e qualcuno ha notato che è pure garbatamente sarcastica nei confronti di un certo uso delle canzonette nel teatro artistico contemporaneo…). 

 Senza paura di ripetersi, anche soltanto la gioia vitalistica di poter applaudire due promesse come Cannata e Zandonella varrebbe il prezzo del biglietto. E speriamo che restino sempre così anche quando, molto presto, si spera, cominceranno a dover firmare autografi.

 3) Parlando ancora un attimo di attori, per l’amore immenso che suscitano nell’appassionato, questo spettacolo porta delle vere e proprie professionalità esemplari per il livello internazionale ‘sobrio’ della recitazione, in un contesto di teatro istituzionale italiano dove, in genere, gli attoroni (o attoracci) più idolatrati sono di ben altra pasta. 

 E, senza offesa per gli altri, tutti bravissimi, bisogna sottolineare le prove di Roberto Latini, un Trigorin hipster che non ha mai bisogno di calcare un gesto o una battuta, e di Marco Quaglia che, pur dovendo interpretare il Dottore, che ha molti momenti di recitazione per così dire estroversa, lo fa con ammirevole stile britannico. 

 4) Per il capitolo donne, che dire? Non si possono aggiungere aggettivi ai tanti spesi dai signori critici sulla ‘povera Nina’ Petra Valentini, già consacrata da premi e consuetudini di casa Piccolo, chiamata a fare un’impossibile post-adolescente che sogna la gloria teatrale o la Rivoluzione (ché infatti Petra già si lamentava con Liv, alla vigilia, di sentire il proprio personaggio ‘fuori fuoco’…).

Idem sulla professionalità di Madre Vecchia Attrice Laura Marinoni, sempre più odiosa con il fluire della storia, come si deve, dopo un incipit accattivante e ridicolo di gran mestiere.   

 Nemmeno Camilla Semino Favro è una che si può andare a scoprire adesso: ha un curriculum chilometrico, molti l’hanno già vista pure al cinema e in tv, ha vinto premi e collezionato citazioni. In un’intervista ha dichiarato di volersi ispirare addirittura a Mariangela Melato.

E bisogna ammettere che in quest’ultima prova nel Teatro Studio intitolato alla sua attrice modello, Camilla riesce a esprimersi così bene che la sua Vicina (o Mascia nel Gabbiano) sembra un personaggio reale, cioè un tipo preciso di donna irrisolta, over 30, che tanti conoscono di persona. 

 Toccano a Semino Favro diverse scene chiave, tutte da ammirare, compresa quella con l’insolita battuta filosofico-esistenziale cechoviana: ‘Mi si è intorbidita la gamba’ (si rimanda per le spiegazioni del caso, as usual, al professore emerito Enrico Fiore e alla sua pregevole recensione positiva di questo spettacolo).  

 5) A Ferracchiati bisogna riconoscere il merito non solo di aver allestito il tutto, ovvero anche diretto un cast del genere puntando pure su due esordienti, ma di aver in qualche modo cucito sugli attori il suo bel testo che parla così tanto di teatro, di vita e di amore, esattamente come faceva l’originale cechoviano di cent’anni fa o giù di lì.  

Sempre plagiando la solita vicina intelligente, stavolta Čechov stesso sarebbe contento che il suo classico più tormentato abbia trovato così nuova vita.

 Per quei casi fortunati, alla fine capita pure d'incrociare lo sguardo di una delle spettatrici d’eccezione del 6 febbraio, Anna Della Rosa, che era stata a seguire lo spettacolo molto partecipe, con due amiche entusiaste e invidiabile compagno al fianco. 

 Anche negli occhi di un’attrice di prima fila come Anna, davvero meravigliosi guardandoli stasera, per un attimo, così a un passo, sembra di leggere quella stessa commossa gioiosa sensazione di sentimenti che tornano davvero a tremare dentro, appunto, come le cose riflesse nell’acque. 

 Alla faccia di tutto il cinismo di pseudo-successo che spadroneggia nei teatri, che il dio della scena benedica sempre chi sa toccare le corde profonde dell’emozione e conservi Liv Ferracchiati a questo livello di raggiunta capacità artistica (e, già che ci siamo, consenta pure a tutti gli attori di potersi esprimere sempre così bene).  



Scena di gruppo con Kostja-Cannata di spalle, da sinistra: Cristian Zandonella, Marco Quaglia, Laura Marinoni, Camilla Semino Favro e Roberto Latini (foto di Masiar Pasquali)

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