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'Ritagliando Godot' di Terzopoulos, geniale eresia beckettiana

- Niente da fare.

- Comincio a crederlo anch’io.

 Anche da una buona trasferta teatrale c’è sempre qualcosa da imparare. La prima lezione savonese arriva da una signora 'spettatrice esperta' in coda al botteghino: chiacchierando con un’occasionale vicina, ribalta l’incipit proverbiale di ‘Aspettando Godot’ (‘Rien à faire’ comincia Estragone ‘dandosi per vinto’, è il primo suggerimento di recitazione del grande vecchio ‘Sam’, segue l’avvicinamento consenziente di Vladimiro…) e dichiara perché ha deciso di spendersi un tagliando dell’abbonamento annuale al Teatro Chiabrera proprio per la terza replica di questo nuovo allestimento beckettiano, firmato dal regista greco di chiara fama Theodoros Terzopoulos. ‘Due conoscenti mi hanno detto di lasciar perdere’, comincia la signora, ‘sostenendo che non sia poi questo gran spettacolo; ma io, no, proprio no, grazie: preferisco farmi un’idea di persona…’ 

 Passano novanta e rotti minuti e noi dramaholic, per esempio, avremmo voluto idealmente fare come i due protagonisti che alla fine si ripetono l’un l’altro ‘Allora andiamo’ (Vladimiro), ‘Andiamo’ (Estragone), e poi, nel copione originale di Samuel Beckett, dopo un capoverso e una riga di spazio bianco - che nel nostro caso starebbe per il sogno che tutto ricominciasse a ripetersi, per una terza e una quarta volta almeno - l’indicazione netta dell’autore, in tondo come se fosse una questione di scena, è un semplice: Non si muovono. E’ che però, al termine della rappresentazione del 16 febbraio 2023 a Savona, non sono mancati gli spettatori tiepidi che si sono mossi in fretta verso l'uscita, tra i pur tanti entusiasti che hanno accompagnato le ripetute uscite degli attori per gli applausi con qualche ‘bravi’ urlato garbatamente. E’ che però, pure, si erano fatte notare due o tre coppie di anziani che abbandonavano le poltrone nelle prime file di platea, proprio mentre ancora stavano recitando insieme tutti e quattro gli interpreti, con tanto di Lucky (il giovane Giulio Germano Cervi, allievo e collaboratore di Terzopoulos, che dà un saggio di bravura nel delirante monologo simil-accademico del primo atto) più o meno svenuto per terra, quasi sul bordo del palcoscenico: i quali bravissimi attori, peraltro, non hanno fatto fatica a continuare imperterriti, tanto i due spettatori che si sono alzati vistosamente dal centro di fila 3, l’hanno fatto quando lassù Pozzo (qui reso da un attore di prim’ordine come Paolo Musio) si dichiara ormai cieco, con lo sguardo fisso nel vuoto, mentre Estragone e Vladimiro, nella sorprendente macchina teatrale di questo insolito allestimento, sono quasi sempre in alto, sdraiati nel loro tumulo, e tutti intesi alla loro stessa dialettica simbiotica (dopo anni di collaborazione Enzo Vetrano e Stefano Randisi danno vita a un’interpretazione del duo che - c’è da scommettere - lo stesso Beckett avrebbe trovato perfetta). 

 Che idea si sarà poi fatta di persona la nostra signora, non c'è stato modo di saperlo, e chissà che cosa avrà commentato sul pulmino del bus-navetta che la stava riportando a casa. A proposito, la seconda lezione savonese: tanto di cappello alle scelte del Comune, anche per gli ottimi servizi di trasporto pubblico dedicati al teatro e, in generale, per la validissima programmazione del nuovo direttore Rajeev Badhan, che prova persino a coltivarsi un’audience sofisticata e contemporanea, come si poteva vedere la sera dopo per la coraggiosa riproposta di ‘Birdie’ degli Agrupación Señor Serrano, con tanto di mezz’ora a seguire d’intervista a Pau Palacios, e nessuno dei presenti che si sia alzato per andarsene all’insegna del solito ’no, il dibattito no’. Sia chiaro, comunque, che non era poi stracolma la sala, ma ormai non capita quasi in nessun teatro, soprattutto se non sono in scena i soliti nomi di richiamo della Repubblica, con cognomi che spesso suonano significativamente come diminutivi. Il tutto esaurito a Savona pare sia accaduto di recente solo per ‘Fratto X’ di RezzaMastrella, ché in sala una settimana dopo ancora si commentavano due esilaranti incursioni tra il pubblico di Antonio Rezza, la prima per rubare la stampella a un’anziana - ‘tranquilla, dopo lo spettacolo gliela riporto, ma almeno lei resterà qui fino alla fine’ -, la seconda per strappare di mano il telefonino a una disturbatrice digitale di fila 8 e spegnerlo di fronte a tutti…Chiusa parentesi, e fine della seconda lezione.  

Nella foto di Johanna Weber, Enzo Vetrano e Stefano Randisi in ‘Aspettando Godot’. A seguire Terzopoulos ritratto da Luca Del Pia

E’ il caso ricordare a chi è non è un tardo fanatico del grande ‘Sam’ (vedi anche solo uno degli svariati Cocktail Martini), che ad ogni qualsiasi rappresentazione di ‘Aspettando Godot’ si forma con fatale regolarità una bella pattuglia di spettatori scettici variamente folta e reattiva, e ciò dalle prime repliche del 1953 - tra cui quella contestata con veemenza a Parigi che diede paradossalmente il ‘la’ al successo -, soprattutto quando in sala siedono ancora spettatori che affrontano per la prima volta dal vivo il teatro distillato puro e cosiddetto 'dell'assurdo' di Samuel Beckett. Ed è per giunta abbastanza facile che ancora oggi sia presente qualcuno che è proprio alla prima esperienza con Beckett, perché parliamo di un autore così di culto, nonostante la fama e il Nobel, che viene sempre centellinato, sia per la rigorosa politica di selezione delle richieste che gli eredi titolari dei diritti sull’opera continuano a operare, sia per la poca propensione dei responsabili dei cartelloni, soprattutto certi nostri mercanti e politicanti, a imbarcarsi in queste che vengono considerate imprese difficili e ben poco utili. 

 Tant’è che anche il nuovo ‘Aspettando Godot’ prodotto da Emilia Romagna Teatro, con cui Terzopoulos vanta un consolidato rapporto dai tempi del rifondatore di ERT Pietro Valenti, in realtà ha girato ben poche piazze, perlopiù in provincia, senza nemmeno affacciarsi a Milano (a Roma è passato qualche sera al solito ottimo Vascello), e ora potranno goderselo giusto i co-produttori della Fondazione Teatro di Napoli, al Bellini, dal 24 febbraio al 5 marzo. E dire che trattasi di uno spettacolo eccellente, davvero, straordinario già proprio all’impatto, con immagini indimenticabili. Terzopoulos, certo, ha aggiunto del suo al rigore dell’irlandese: una scena da dieci con lode, musiche evocative, dalle sirene e le esplosioni belliche alla fisarmonica e a un canto sacro, e ancora alcuni elementi di drammatizzazione immediata, i coltellacci e poi alla fine i libri macchiati di sangue, come lo sono i vestiti laceri di tutti i protagonisti. In primis, Terzopoulos ha ridotto per bene il testo. Lo si nota già quasi all’inizio, dove viene interamente spurgato il dialogo sui due ladroni crocifissi con Gesù Cristo, che Beckett aveva mutuato come suggestione da Sant’Agostino e che dichiarava essere stato uno degli spunti chiave dell’opera, con Vladimiro addirittura impegnato in una disamina del fatto che la storia del buon ladrone sia presente in un solo Vangelo. Saltando poi al finale, Terzopoulos ha ridotto la rocambolesca scena con la corda che fa da cintola ai pantaloni di Estragone. 

 Provando a indovinare come abbia ragionato il regista greco, si può immaginare che l’alleggerimento generale del testo sia funzionale al ritmo, alquanto difficile da mantenere dentro alla rigidità di questa strepitosa macchina scenica; e che il primo significativo taglio sia servito per non caricare troppo sull’eventuale immediata lettura trascendentale e quasi religiosa dell’allestimento; e che il taglio della scenetta con la corda, ovviamente, sia indispensabile perché anche il finale si possa consumare, come l'inizio e quasi tutto lo spettacolo, con i due protagonisti sdraiati in quella sorta di grande loculo in cui si avviluppano. Volendo essere onesti sino in fondo, un’altra deviazione dal seminato beckettiano è da segnalare, nella scena in cui Vladimiro invita Estragone a giocare scambiandosi degli insulti: ‘schifoso’, ‘stronzo’, ‘carogna’, ‘maiale’ sono gli originali di Beckett, cui il nostro regista autore orgogliosamente greco aggiunge ‘capra’; in ultimo ci sarebbe di nuovo un bel ‘porco!’ ma Terzopoulos chiude con un imprevedibile ‘critico teatrale!’, urlato a mo’ di epiteto. Maliziosamente si potrebbe dire che suoni un po’ anche come un invito a stare alla larga da questo nuovo ‘Aspettando Godot’, e in effetti del pur meritato unanime plauso si fanno notare più numerose le recensioni online di piccole pregevoli realtà editoriali che le segnalazioni sui media tradizionali. 

 Dopo aver quasi premesso una dichiarazione sull’incondizionata buona fede di quanto segue, la conclusione è che Terzopoulos come un eretico si può permettere di uscire così dal canone beckettiano perché in definitiva è più fedele alla sostanza, ed è talmente geniale da rendere al presente questo straordinario classico del secondo Novecento e da tradurne perfettamente gli elementi portanti, primo tra gli altri il legame simbiotico tra i protagonisti, rappresentato così bene, anche con i piedi, le mani, le teste e le movenze di Randisi e Vetrano. Ma il capriccioso dio del teatro non vuole che ci fermiamo troppo a rimpiangere che stia finendo ormai questo ‘Aspettando Godot’, e che questi Vladimiro e Bobo non abbiano più niente da dire per davvero: salutato il maestro Terzopoulos a Napoli, Randisi e Vetrano sono attesi dal CTB di Brescia, dall’8 al 26 di marzo nel teatro Mino Mezzadri, con il loro nuovo spettacolo insieme, ‘I Macbeth’. Traduzione e riduzione, stavolta, direttamente dal grande Billy, come se non fosse bastata questa sfida eterodossa al vecchio Sam. 

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