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20.11.2024
Avignone adotta Rimini Protokoll per uscire nel Paesaggio, Milano un Protocollo Green a teatro
Per carpire almeno un’ottima notizia, immaginate che si debba arrivare al termine di un’esposizione a tema: ‘Stages, Progetto europeo per un teatro sostenibile’, ovvero, limitandosi ai titoli di testa in locandina: ‘Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa/ in collaborazione con il Politecnico di Milano/ presenta/ ‘Cinque azioni per un teatro sostenibile’/ a conclusione del percorso partecipativo di autoanalisi/ evento promosso da Asvis nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile’.
Che abbiate resistito dal vivo alla conferenza, altrettanto didascalica e dettagliata quanto l’annuncio, nel Chiostro Nina Vinchi del Piccolo Grassi - un mercoledì che più 17 di così non si poteva, era di maggio, fuori piovigginava, non c’era nemmeno la caraffa col caffè e a decine i turisti s’assiepavano nel cortile -; oppure che siate riusciti a leggere le intere 9 pagine del comunicato stampa - come di consueto accurato e puntuale, con tanto di QR Code che stavolta non rimandava alla locandina di sala, bensì addirittura a un approfondimento con l’intera presentazione in Power Point: ecco, alla fine la bella notizia per gli spettatori appassionati è che il Piccolo aderisca anche ad altri quattro progetti europei, e che il penultimo citato, ‘Perfoming landscape’, sia una novità che porta anche il timbro berlinese di Rimini Protokoll.
LA NUOVA AVIGNONE DI TIAGO
*La versione integrale è attesa come un evento clou alla prossima kermesse d’Avignone, con il titolo francese di ‘Paysages partagés’: si tratta di una sorta di performance realizzata camminando in mezzo alla natura, tra campi e boschi, che s’inquadra perfettamente nei quattro paletti che si è dato il nuovo direttore Tiago Rodrigues (apertura estetica, vulnerabilità, integrazione dell'aspetto ecologico e democratizzazione culturale), per imbastire un programma festivaliero puntato ‘sul legame essenziale tra arte e vita’.
Il progetto europeo ‘Paesaggi condivisi’, che viene presentato integralmente in anteprima a Losanna dal 14 maggio (per sbarcare a Berlino, verso fine agosto, un mese dopo la pluri-programmazione di luglio ad Avignone), parte da una semplice doppia domanda che guida il lavoro: ‘Come possiamo avvicinarci al paesaggio senza allontanarci allo stesso tempo? E se l'arte non imitasse la natura, ma ci permettesse di viverla?’
Caroline Barneaud, la direttrice dei progetti artistici del Théâtre Vidy-Lausanne, e Stefan Kaegi, uno dei fondatori di Rimini Protokoll, svizzero di nascita, hanno deciso d’invitare il pubblico a lasciare il teatro e ad avventurarsi nei dintorni delle città, per seguire sette performance di una decina di artisti scelti internazionali (per l’Italia Chiara Bersani e Marco d’Agostin), che affronteranno il tema della (ri)scoperta del paesaggio dal primo pomeriggio al tramonto.
La scheda dal sito di Rimini Protokoll conclude così: ‘Quali relazioni possiamo costruire, quali prospettive consolidate possiamo modificare? Sotto il cielo aperto, interventi artistici, performance, composizioni sonore, coreografie, media art e teatro creeranno un momento fugace di un nuovo tipo di comunità come risposta performativa al movimento della land art delle arti visive’.
UN INTERMINABILE FLUXUS?
*Facilmente verrebbe da richiamare, a questo punto che, prima ancora del filone specifico della Land art, nella cultura soprattuto di lingua tedesca una certa impronta filosofica per così dire pre-ecologista, affermatasi già ai primi del Novecento, per esempio con Ludwig Klages, ha poi gettato le basi da cui sono uscite figure artistiche uniche, come Joseph Beyus, che sul piano del linguaggio hanno scelto di sconfinare verso il perfomativo e l’attivismo sociale.
Portando al centro dell’opera il corpo in azione dell’artista, ovvero piegando le opere alla funzione di diffondere proprio le idee di un nuovo approccio alla natura, Beuys raggiunse la fama mondiale nel 1975 con ‘i like America and America likes me’, passando tre giorni chiuso con un coyote, in una gabbia allestita nella galleria d’arte René Block in Dowtown Manhattan (si trovano vari video che raccontano l’evento, se ne potrebbe scrivere un intero altro Cocktail).
Lo stesso Anselm Kiefer, allievo di Beyus, si è fatto conoscere con le ‘Occupazioni’ di paesaggi e luoghi delle città europee teatro della Seconda Guerra Mondiale, ben prima di diventare famoso con le Torri. E’ evidente che si possa rintracciare un filo che lega a questo universo artistico e culturale, (un ipotetico Unicum Fluxus), l’impronta originale del teatro-non-teatro di Rimini Protokoll e questi ultimi tasselli di un progetto di riscoperta del paesaggio.
La citazione
La maggior parte dei contemporanei, stipati in grandi città e abituati fin dalla giovinezza a una ciminiera fumante, al frastuono del rumore stradale ed a una notte chiara come il giorno, non ha più alcun criterio per valutare la bellezza del paesaggio: crede già di scorgere la natura alla vista di un campo di patate, e trova persino grande soddisfazione se sui pochi alberi della strada principale alcuni storni e passeri cinguettano.
A PROPOSITO DI EREDITA’
*Innovativo e ambizioso, come ci si aspetta dal collettivo berlinese, a Milano di ‘Paesaggi condivisi’ se ne riparla nel maggio del 2024, e per ora è annunciato solo lo spezzone di D’Agostin con Bersani. Se la memoria di spettatori fanatici non inganna, al netto dei bei progetti inconsueti realizzati con Zona K, nuova realtà che entra come coproduttore anche in questa nuova performance, di Rimini Protokoll nel cartellone-one-one del Piccolo non c’è traccia ormai da qualche anno.
Era esattamente l’inizio di gennaio del 2018, quando Rimini Protokoll furono invitati ad allestire nel Teatro Studio Melato le stanze di Nachlass(1), come una mostra d’arte contemporanea: questo evento esperienziale ha rappresentato, per il pubblico tradizionale borghese meneghino, un che d’incredibilmente straniante e per molti commovente.
(1) ‘Nachlass: questa parola tedesca significa, letteralmente, ‘lasciare dopo’ e può venire tradotta come ‘lascito, eredità’. Ed è proprio questo il tema, ovvero la morte e ciò che resterà di noi, della performance di Rimini Protokoll’, si leggeva nella scheda ufficiale. ’Un teatro senza attori, in cui il pubblico è lasciato in modo diretto a contatto con la presenza-assenza di otto persone, la cui testimonianza è affidata a installazioni audiovisive e oggetti che ne raccontano, appunto, l’eredità dopo la loro scomparsa’.
AIUTO, UN ALTRO PROTOCOLLO
*Tornando indietro al progetto Stages, invece, aldilà delle pur lodevoli cinque buone intenzioni manifestate dal Piccolo per diventare un teatro sostenibile, e al netto dei finanziamenti europei (650mila euro) per la riconversione degli impianti nei vari immobili dell’istituzione fondata da Paolo Grassi, resta da sottolineare che cosa cambierà per quanto riguarda quel che interessa al pubblico, e cioè quel che si vede sul palcoscenico.
Quando si parla - provate a ripetere tutto di fila - ‘di redigere un libro verde per la progettazione e la gestione sostenibile delle produzioni, tournée e ospitalità che abbia come target i lavoratori del teatro e gli artisti e che consti in un protocollo d’indicazioni per l’implementazione di una produzione sostenibile in tutte le sue fasi’, - ora prendete fiato -, non siamo in un copione impervio e grottesco tipo ‘Aucune idée’ che Christoph Marthaler ha scritto durante la pandemia con e per il suo amico Graham F. Valentine, raffinato attore scozzese.
Eh no, non parliamo di giochi intellettuali da cultori del Flaubert di ‘Bouvard e Pécuchet’, ma di piani concreti di una Fondazione pubblica di primaria importanza nel teatro italiano: e, allora, prima di mettersi a redigere un altro decalogo, qualcuno si dovrà pur chiedere se serva un altro bel protocollo, per dipingere di verde l’epoca della ‘wokeness’. E porsi almeno il dubbio, poi, se possano essere così ecologiche le eventuali nuovi gabbie burocratiche della sostenibilità.
In ogni caso i risvolti più delicati di eventuali indirizzi protocollari del genere, possono essere: quello evidente, ammesso anche dal direttore Claudio Longhi, della libertà degli artisti; l’altro, più sottile, della rieducazione del pubblico attuale a un teatro meno industriale; e il terzo, più bruciante, della coerenza. Non sono forse soltanto i grandi teatri pubblici a finanziare ancora ostinatamente gli spettacoli dello spreco di risorse, con scenografie-monstre per cui bisogna tagliare un mezzo bosco, per non dire dei camion che devono arrivare dietro piazza della Scala o in via Rivoli, a due passi dal Castello, e si tratta per giunta di produzioni non indimenticabili firmate dai registi italiani del giro dei ‘soliti noti’?
VIRARE DAVVERO AL GREEN
*Per restare al Piccolo che vira al green, in trepidante attesa di congrue novità per la prossima stagione, bisogna ricordare che è già andato in scena un primo atto del cosiddetto ‘restaging’ della sostenibilità, al Teatro Studio Melato, con il titolo ‘Uno spettacolo per chi vive in tempi d’estinzione’. E’ stato coerentemente affidato a una donna, Lisa Ferlazzo Natoli, presenza che certo - prima che fossero perlomeno associate al Piccolo altre due registe donne, già molto bene incardinate nel teatro francese, Christiane Jatahy e Caroline Guiela Nguyen - non è bastata a scansare le documentate accuse di Amleta sulle differenze di genere nei ruoli chiave.
Non era banalmente ‘Uno spettacolo per…’ verdi militanti, bensì una riflessione sul cambiamento climatico di taglio squisitamente meta-teatrale (filone freddo che il nuovo direttore del Piccolo ha promosso). Certo, con l’accuratezza tecnica dei ‘concept’ - come dicono i comunicati ufficiali - , tipici di lacasadargilla, il collettivo di cui fa parte Lisa Ferlazzo Natoli, tanto apprezzato dai critici e dagli addetti ai lavori, anche quest’anno, per la complessa costruzione a tre piani narrativi di un dolente ‘Anatomia di un suicidio’ sul problema della maternità e della depressione tra le donne delle classi agiate occidentali.
In realtà, di ottimi spettacoli profondamente green, in questa ultima stagione a Milano, se ne sono visti pochi, e il passaparola degli appassionati ha segnalato un ammirevole esempio di nuovo teatro documentario, ‘Out of blue’ dei belgi Silke Huysmans e Hannes Dereere, arrivato al Teatro Out Off grazie ai talent-scout di Zona K, e un’originale performance sulla difesa dell’Amazzonia di Martha Hincapié Charry, presentata a FOG 2023 anche grazie alla Colombia, e al manifesto interesse turistico di questo Paese per la conservazione ambientale di un parco amazzonico.