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Bentornato a Milano, Maestro Eugenio Barba. Appuntamento di rigore, dal 12 marzo, con la preziosa rassegna Odin60 al Teatro Menotti

 Si aprirà alle 19 di martedì 12 marzo, con la proiezione del film reportage di Elsa Kvamme ‘L’Arte dell’Impossibile. Il lungo viaggio di Eugenio Barba e dell’Odin Teatret’, la sei giorni a tema del sessantesimo di un’esperienza tra le più significative della storia del teatro e della cultura.

L’evento Odin60 a Milano, che il Teatro Menotti ha molto lodevolmente organizzato, si concluderà idealmente sabato 16, con l’incontro finale con Eugenio Barba, aperto a tutti e gratuito (basta  prenotarsi come per il film e vari altri momenti della rassegna).

 Sarà curioo ascoltare anche come Barba affronterà, se lo farà, il caso clamoroso della sua rottura con il successore alla guida del teatro che oggi espone l'insegna solo di Nordisk Teaterlaboratorium (NTL), da quando il consiglio di amministrazione ha concesso al fondatore il diritto di portare con sè il nome Odin Teatret. Inventato nel 1964, da Barba quando era ancora a Oslo, ha mantenuto la sede storica di Særkærparken a Holstebro fino alla fine del 2022, quando si è trasferito direttamente presso l’indirizzo privato di Barba, vicino al Vandkraftsøen, continuando a vivere anche attraverso le numerose attività nel resto dell’Europa e del mondo.

 ’Sì, è chiaro che rimarrò a Holstebro’, ha dichiarato Barba in una delle rare interviste su quanto è accaduto negli ultimi anni: ‘Dopotutto, copro regolarmente le spese per un pezzo di terra per l’Odin Teatret nel cimitero in cui i collaboratori ed io un giorno riposeremo. Da lì, nessuno può sloggiarci’…

 Chiunque abbia già preso parte a una precedente conferenza di Barba, com’è capitato qualche anno fa all’Università di Trento, sa quanto possa essere persino molto divertente, a dispetto di quel che gli ignoranti definiscono il linguaggio impegnativo e sofisticato del suo teatro: la sua storia, narrata dal vivo chissà quante volte e in chissà quanti diversi posti del mondo, ha un sapore particolare, ovviamente, quando Eugenio la può raccontare nella lingua materna e nella patria d’origine(1).

 L’iniziativa davvero meritoria del Teatro Menotti riporta dopo tanti anni a Milano uno dei grandi ‘riformatori’ del teatro contemporaneo, che è anche un punto di riferimento culturale (sul piano propriamente dell’antropologia teatrale) e sociale, a livello internazionale, con la promozione di un vero e proprio ‘terzo teatro’, fuori dal professionismo istituzionale e pure dai canoni delle avanguardie.

 La complessità e la ricchezza di questo percorso si potranno misurare da vicino, in questi giorni milanesi, attraverso numerosi incontri, discussioni, dimostrazioni pratiche e sessioni didattiche partecipate, che naturalmente interessano in particolare gli addetti ai lavori del mondo dello spettacolo. 

 Notevolissime occasioni per il pubblico più largo saranno gli appuntamenti con le due rappresentazioni vere e proprie.

 Si comincia con la riproposta, mercoledì 13 marzo, di ‘AVE MARIA La Morte si sente sola. Cerimonia per l’attrice María Cánepa’, ammaliante immersione nella cultura sudamericana, con Julia Varley che torna ad indossare la storica maschera di Mr.Peanut per celebrare l’incontro e l’amicizia con la straordinaria attrice cilena. 

 Da venerdì 15 a domenica 17 marzo, poi, ci saranno tre repliche de ‘La casa del sordo. Capriccio su Goya’, scritto da Eugenio Barba con Else Marie Laukvik, che sarà anche in scena con Rina Skeel e Ulrik Skeel. E’ semplicemente, come da locandina, il tentativo di ‘una trasposizione teatrale nel genere artistico del capriccio, della biografia e dell’opera di Francisco Goya. La vita di Goya si dipana tra sconvolgimenti politici, Età della Ragione, Romanticismo, Inquisizione, Rivoluzione Francese, erotismo, esilio e la sordità totale che lo colpì a 46 anni’.

 ‘Siamo a Bordeaux, nella casa di un sordo, Francisco Goya. È l’ultima notte della sua vita. La sua amante per più di trent’anni, la vivace Leocadia Zorilla, scatena la sua fantasia e i suoi ricordi…’ recita l’incipit della presentazione dello stesso Barba. 

 Il pubblico avrà quindi la possibilità di vedere, in primo luogo, un pezzo storico significativo, anche del radicamento internazionale dell’esperienza dell’Odin, e poi una delle ultime creazioni di Barba, che fu presentata in Italia nel 2020, al Teatro Koreja della ‘sua’ Lecce.

 Tra l’altro, nella preziosa Biblioteca Bernardini di Lecce che custodisce anche l’Archivio di Carmelo Bene, è oggi ospitato pure gran parte dell’archivio personale di Barba, in una sezione intitolata ‘Isole galleggianti’, con i 5mila libri della sua biblioteca, una copia completa dell’archivio dell’Odin Teatret e del Terzo Teatro, alcune scenografie, la sua collezione di manifesti storici teatrali e la sua preziosa collezione di maschere di tutto il mondo.

 Tornando un attimo a ‘La casa del sordo’ si può notare come venga, nel percorso creativo più recente di Barba, poco prima dell’ultimissimo capolavoro post-pandemico ‘Tebe ai tempi della febbre gialla’, dove la tragedia greca si mescolava con la passione per il nuovo punto di giallo che l’industria chimica produsse e che incantò gli impressionisti.

 E’ davvero unica e straordinaria, da non perdere assolutamente, l’occasione di partecipare a uno spettacolo dell’Odin, ovvero pure di incontrare Eugenio Barba, che è sempre lì in sala a sistemare il pubblico e si ferma sempre volentieri dopo, a salutare e a parlare, fosse pure uno per uno, con gli spettatori, ché molti poi sono già della sua grande famiglia. 

 Una raccomandazione: se i complimenti anche diretti sono benaccetti, fuori dalla sala, non fanno invece parte del rito codificato dell’Odin Teatret gli applausi a fine spettacolo, nessun attore è mai rientrato in scena per raccoglierli, perché il teatro possa vivere ben oltre la singola rappresentazione.

 NOTA 1: I 60 ANNI DELL’ODIN TEATRET: LA PARTE SOMMERSA DELL’ICEBERG

 Testo di Eugenio Barba

 Un anniversario di diamante costringe a guardare indietro e a interrogare i miei 65 anni nel teatro, cinque di preparazione e apprendistato a Oslo, Varsavia, Opole e Cheruthuruthy, e sessanta a Holstebro, una cittadina di provincia danese, con un nucleo di attori di varie nazionalità che si ostinano a unire i loro destini al mio in nome di una cultura di teatro di gruppo.

 Oggi distinguo chiaramente le quattro domande che mi hanno accompagnato come forze e guide al timone dell’Odin Teatret.

 COME apprendere ad apprendere, come stimolare le diverse personalità degli attori, fondere le loro motivazioni segrete in un saper fare che dà vita alla realtà intensificata della finzione scenica.

 DOVE radicare il mio operato, io che dall’Italia del Sud ero emigrato in Norvegia e ho incontrato il teatro dopo sette anni come saldatore, scaricatore di porto, marinaio e venditore ambulante di libri. Lì dove sei, lì è il centro.

 PER CHI avevo scelto questo mestiere che consiste nel tessere relazioni. Non per un pubblico anonimo che compra un biglietto. Ma per uno spettatore a cui volevo bene, assente e lontano. Era a Jerzy Grotowski che ogni sera, per anni e anni, ho rivolto lo spettacolo dell’Odin Teatret tra pochi spettatori. Poi li rivolsi al popolo segreto dell’Odin.

 PERCHÈ scelsi di fare teatro. Per difendermi dal razzismo che a quel tempo, subito dopo la Seconda guerra mondiale, colpiva in Europa gli italiani complici del nazismo. Il teatro fu un modo per nascondere la mia identità etnica e grazie a un mestiere conquistare il prestigio della differenza.

 

 L’Odin Teatret appartiene alla tradizione dell’impossibile dei riformatori del teatro del Novecento: diversi tra di loro, ma con l’idea costante di negare la funzione del teatro infondendo altri valori che trascendono la dimensione ricreativa ed estetica.

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