E la nave va, da un pianeta molto lontano, verso l'approdo di un nuovo Racconto dei popoli in movimento
04.02.2025
Biennale Teatro, dateci un programma! Lynch è morto, il tempo stringe, e Dafoe non può più ripetere: 'Un giorno lo farò, tesoro. Ora devo andare...'
Nel fiume di parole che hanno accompagnato la scomparsa di David Lynch, è arrivato anche il doveroso omaggio di Willem Dafoe, icona di ‘Cuore selvaggio’, con quella scena-cult che è stata quasi un apogeo del Lynch più inviso alle femministe e indigeribile per tanti altri.
Persino il filosofo 'sinis-trap-virale’ Slavoj Žižek, che invita a un'immediata rilettura radicale dell’opera del regista come ‘lezione di etica, di un’etica che viene svelata come ‘la più oscura e audace delle cospirazioni’ (sic!), parte da un invito a rivedere quel gioco erotico d'inganni, davvero al limite, di Dafoe con Laura Dern, 'usando un approccio lévi-straussiano, come un’inversione della scena standard della seduzione’.
Ricomparso così un attimo sui giornali, Dafoe è tornato nella penombra fitta che avvolge ancora il suo delicato e notevole nuovo impegno di direttore della Biennale Teatro di Venezia. L’apertura è prevista tra poco più di quattro mesi, il 31 maggio, con chiusura il 15 giugno, ma non vola ancora una mosca a proposito del programma. Che sia un mistero alla ’Twin Peaks’ o che sotto ci sia qualche bella sorpresa?
Tic-tac, tic-tac: non dovrebbe mancare molto al varo ufficiale, con l’annuncio dell'assegnazione dei Leoni e le prime anticipazioni. Eppure, persino la homepage ufficiale del Teatro, sul sempre tambureggiante sito della Biennale, è ancora desolatamente vuota: ferma alla notizia, datata 8 luglio 2024, della singolare nomina di Dafoe, con cui il Presidente Pietrangelo Buttafuoco ha proprio sorpreso addetti ai lavori e osservatori.
Negli spazi di Biennale Danza, manifestazione che pure si terrà, come di consueto, circa un mese dopo quella del Teatro, il direttore Wayne McGregor, coreografo di fama mondiale e pure eccellente organizzatore, ha invece già annunciato i Leoni e le due nuove coreografie prodotte ad hoc, tutto notevolissimo e pure 'strong'.
Certo, trattandosi di un direttore riconfermato - anche qui con una scelta spiazzante di Buttafuoco -, è stato tutto più agevole. Ma adesso anche il testone corazzato di nome (Willem) e di fatto, come Dafoe, dovrà ancor di più dimostrare che la sua prima Biennale Teatro non sarà insipida o peggio ancora neo-conformista.
Rischierà di presentarsi con un programmino più floscio e meno coraggioso di quello del nuovo ‘cugino’ veneziano Wayne? E di far traballare un poco quel piedistallo iconografico 'lynchiano' che gli garantisce di raccattare pure tanti soldi in giro per il mondo (di recente ha fatto il testimonial pubblicitario di Zalando e, poco prima, del 'matrimonio' tra gli Skate Palace e Calvin Klein)?
Le domande sono retoriche: l’intera platea di scettici del settore, e anche molti tra gli appassionati, dovranno rimangiasi le perplessità. Manca poco, e scommettiamo che andrà così. Willem può farcela, e pure per un motivo paradossale.
La sua condizione ormai soprattutto di personaggio cinematografico conferisce a Dafoe anche un grande vantaggio: non dovrebbe più di tanto fare i conti con la cricca teatrale dominante (ché parlando poi di quella istituzionale italiana non brilla certo per talenti artistici: i migliori sono tenuti ai margini, trattati quasi come pezzenti).
E poi c'è l’implicito che trapela dalla biografia diffusa da Biennale all’annuncio della nomina, per mettere le mani avanti contro eventuali accuse d'aver scelto un 'estraneo' e non un teatrante praticante di fama: ‘Willem Dafoe ha iniziato il suo percorso artistico a 19 anni con i Theatre X (1975-1977; su Youtube c'è un curioso video, ndr), una delle prime formazioni di ricerca negli Usa. In Europa, dove si trova nel ‘76, è al leggendario Mickery Theatre di Amsterdam, perno della scena alternativa internazionale. Nel 1977 a New York inizia la sua più importante formazione teatrale, cofondando The Wooster Group, con cui calcherà le scene fino al 2003’.
Defoe è dunque uno che dovrebbe, anche solo per automatismi mentali, far riferimento a quei ricordi giovanili, ai miti della Rivoluzione Settanta, a quella specifica cultura che si richiamava ancora ai sogni Mejerchol'd e Artaud, al teatro 'ruvido e immediato' che crede ancora nella forza artistico-artigianale-umana e che se ne frega del marketing, del denaro, del potere, delle mode e pure delle costruzioni fredde e intellettualistiche da anni Novanta, che ‘se ne frega di tutto sììì’, ma non della Bellezza.
E, se Dafoe si è guardato intorno, come facilmente può aver fatto, avrà pure notato che a quel teatro in cui ha mosso i primi passi da attore, si ricomincia finalmente a far di nuovo riferimento nel mondo, vedi per esempio l’invito a una figura magistrale come Ariane Mnouchkine in apertura di Atene Epidaurus Festival - nelle stesse date di Biennale Teatro 2025 -, con il nuovo spettacolo del Théâtre du Soleil che parla di Russia e mette a tema la Rivoluzione tradita.
Tic-tac, tic-tac: manca poco e finiremo di provare ad andare così a tentoni, i Premi e il programma di Biennale Teatro 2025 saranno presto presentati, approvati e poi annunciati. Dafoe non è più sul set di ‘Cuore Selvaggio’, non vuole più costringere nessuna Laura Dern a supplicarlo, e non potrà certo continuare a ripetere la risposta: ‘Un giorno lo farò, tesoro. Ora devo andare…’