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20.11.2024
Cenni di meraviglia e stordimento dopo il trionfo di Trajal Harrell in ‘The Köln Concert’ a Milano per FOG 2023
Di recente, sul principale quotidiano di carta stampata, il riverito maestro della critica nonché illustre letterato Franco Cordelli, fresco di festeggiamenti per gli 80 anni (evviva, e lunga vita!) notava come le sale teatrali siano spesso ancora piene, diversamente da quelle cinematografiche, e si stupiva che ci fossero così tanti giovani nella platea dell’ottimo Teatro del Vascello a Roma, la sera della rappresentazione di ‘Aspettando Godot’ per la regia di Theodoros Terzopoulos, e che addirittura non fossero lì per vedere la prima volta il capolavoro di Samuel Beckett, bensì, stando almeno alla risposta di un vicino di poltrona, proprio per applaudire questo stesso allestimento del ‘neo-dionisiaco’ fondatore dell’Attis di Delphi. (Spettacolo che invece Cordelli, purtroppo per lui, ha trovato pessimo, ‘urlato, verboso e originale a tutti i costi’, sic: ma almeno un apprezzamento del perfetto gioco di simbiosi tra i due protagonisti, Enzo Vetrano e Stefano Randisi, no?).
Ecco, chissà che cosa bisognerebbe parimenti chiedersi entrando alla Triennale Teatro di Milano, all’ora di cena di un bel sabato ormai primaverile, dopo aver notato la platea molto più giovanile rispetto a quello teatrale tradizionale, accorsa per vedere il balletto ‘The Köln Concert’ con la dance ensemble del Schauspielhaus di Zurigo guidata da un danzatore coreografo come Trajal Harrell - conosciuto, recita il programma, ‘per una serie di lavori che interrogano il fenomeno del voguing giustapponendolo alle prime espressioni della danza postmoderna’. Ci si può domandare se tra il folto pubblico che riempie ogni ordine e grado di posti, come quasi sempre per gli spettacoli del bel festival FOG, ci sia una parte di convenuti, almeno i boomers, attratti dal richiamo del titolo alla celeberrima improvvisazione registrata a Colonia, nel 1975, dal pianista jazz Keith Jarrett. E tuttavia no, la star è proprio Harrell, e non solo per i tanti colleghi o esperti di danza che hanno fatto di tutto per procurarsi il biglietto.
Lo sa anche lui, e infatti si fa trovare già bell’e che pronto in una scena praticamente vuota, nera ad anfiteatro, con solo sette sgabelli da pianista al centro. Mentre il pubblico si va accomodando, Trajal resta fermo in piedi sul lato destro del palcoscenico, davanti a un altoparlante, in un vestitino nero su cui è appoggiato una sorta di peplo bianco decorato. Guarda dritto verso la platea, con un mezzo sorriso, ma non resta lì bloccato immobile, anzi: quando nelle prime file si accomoda qualcuno di sua conoscenza, saluta con un cenno. Con un altro cenno, addirittura, richiama a sé e poi si china a salutare una figura singolare, che si fa strada da centro sala, con un velo a rete rosso sui capelli corvini - potrebbe essere Annamaria Ajmone, che è annunciata in singolare performance a FOG per il 25-26 marzo; ma stiamo tirando un po’ a casaccio: potrebbe anche essere un’altra ballerina coreografa X. Passano i minuti, sono ormai quasi tutti a posto, lo spettacolo sta per cominciare, ma un piccolo incidente in galleria, dovuto a un signore che cade per terra mentre scende le gradinate, distrae tutti, e Trajal per primo. Sorrisetti, imbarazzo generale, sguardi all’insù, anche se le due eleganti signore davanti, nella fila G centrale, continuano imperterrite a conversare fitto, la più ‘finta bionda’ descrive entusiasta all'amica la sua nuova bella casa in campagna, ‘non t’immaginare che sia come una masseria in Puglia, eh’, chiosa con educata modestia…
Parte un mezzo applauso d’incoraggiamento, il protagonista sorride ancora più apertamente e cerca di capire con lo sguardo se può cominciare, finché fa ‘sì’ con la testa verso il banco-luci e lentamente si accomoda su uno degli sgabellini da pianista e comincia a scaldare le braccia e i piedi, mentre dall’altoparlante iniziano a uscire le note delle quattro canzoni di Joni Mitchell che accompagneranno tutta l’introduzione, con l’ingresso e lo pseudo ‘muscle warm-up’ anche degli altri protagonisti. Nei cinquanta minuti seguenti, soprattutto dopo che le note quasi ipnotiche del brano di Jarrett cominciano ad essere sottolineate da movimenti altrettanto ammalianti e quasi ripetitivi dei ballerini, è il pubblico che si blocca in una sorta di sospensione a mezz’aria, ben più dei danzatori che nelle coreografie di Trajal Harrell sono decisamente con i piedi per terra, magari sulle punte come una top model mentre sfila, magari incespicando come un ubriaco.
Aveva spiegato in un’intervista lo stesso Harrell: ‘Il mio linguaggio della danza è stato principalmente influenzato dagli elementi teorici alla base della prima danza postmoderna, del voguing, della prima danza moderna e del butō. La sintesi di questi diversi approcci in uno stile ben definito si manifesta in particolar modo nella performance ‘Dancer of the Year’ del 2019 e nel lavoro che ho realizzato nel 2020, ‘The Köln Concert’’. Aggiungendo con una certa modestia. ‘Penso che il voguing come linguaggio della danza sia probabilmente il mio contributo duraturo alla storia; una pratica che, in modo sincero e rispettoso, proviene dalla tradizione delle sale da ballo e della danza voguing' (altresì detta vogueing, da 'Vogue', nasce - ndr, wikipedia - negli anni Sessanta come presentazione del performer nei locali gay afroamericani e latinoamericani).
Sono parole perfette da rileggere nei giorni dopo lo spettacolo. Al momento ci si risveglia ciascuno dalle proprie piccole alterazioni mentali soltanto nell’esplosione degli applausi che seguono il grande ‘ooohhh’ di ammirazione e meraviglia, inespresso ma sotteso a quell’attimo finale del cambio di luce. Sembra che Trajal adesso stia tremando, tra un’uscita e la successiva chiamata del pubblico tanto plaudente, ma poi ha la meglio su tutti il tocco di grazia, al secondo o terzo rientro dalle quinte, di presentare la compagnia già in vestaglia, ciascuna di fattura e colore diversi, ma tutte chicchissime (‘messinscena, coreografia, scene, colonna sonora, costumi: Trajal Harrell’, così in locandina). E’ quel non so che di ironico e di poetico, quasi come se uscisse dai versi delle ‘Impressioni teatrali’ di Wisława Szymborska, che invita tutti a prepararsi per rientrare nel mondo normale.
Con un occhio alle date e un pensiero alla rarefazione di questa sorta di ‘post-danza’, si può forse incasellare questo ‘The Köln Concert’ come un altro piccolo capolavoro nato nelle ristrettezze della pandemia. Ma dai commenti degli spettatori intorno, tutti solo di sperticati elogi, si può notare, con spirito consolatorio, che nessuno ha ben chiaro se ci sia qualcosa da capire, oppure proprio niente. Ci soccorre un po’ lo stesso Trajal, che ha candidamente spiegato di non essersi mai voluto considerare anche un ballerino, ma solo un coreografo, almeno fino al 2016, all’incontro con le movenze quasi spiritate di ‘Admiring La Argentina’ del maestro butō Kazuo Ohno, che gli valsero un premio di Tanz Magazine. ‘Così ho dovuto iniziare a vedermi come un danzatore. E forse sì, ho capito che la mia danza aveva un valore. È stato difficile fare questo passaggio. E penso che la mia stessa difficoltà di accettazione sia ciò che conferisce alla mia danza ‘gravitas’, potremmo dire. D'altra parte, cerco sempre di evitare di vedere questa difficoltà e so che anche questo aspetto dà alla mia danza un qualcosa che forse non riesco a esprimere a parole, ma lo rende interessante da guardare’.