Accidenti com'è bell'angosciante: cos'altro potremmo dire di questo 'Cose molto cattive'? Non vorrete mica parlare di 'gaslithing'?
20.12.2024
Il dramma del drammaturgo che sale in taxi per andare a teatro fuori orario e deve rispondere alla domanda: ma che lavoro fa?
UN MODERATORE TEDESCO A PARMA
*Un piccolo premio in Italia se lo meriterebbe anche Florian Borchmeyer, autore tedesco che gira i teatri di mezzo mondo come selezionatore e curatore del prestigioso festival delle nuove drammaturgie FIND, che si tiene ogni anno alla mitica Schaubhüne di Berlino (ultimi invitati italiani i compagni bolognesi di Kepler-452 con ‘Il Capitale’).
Non solo parla molto bene la nostra lingua, Florian, ma è uno che, pur sotto un’affabilità contagiosa, sa come tenere bene il punto senza nascondere il proprio pensiero: lo si è visto anche dall’impegno che ha profuso a Parma, come moderatore di tutti gli appuntamenti delle Giornate d’Autore che Fondazione Teatro Due ha organizzato dal dal 22 al 26 novembre 2024. Borchmeyer, peraltro, ha esercitato anche il ruolo dietro le quinte di tessitore del programma, a partire dal suggerimento dei nomi degli ospiti più prestigiosi da invitare.
Alla fine di queste interessanti Giornate, organizzate con ReggioParma festival come parte del progetto Arcipelaghi, un premio (seppur all’intera carriera, ‘Una vita per il teatro’) se l’è preso almeno la direttrice di Teatro Due, Paola Donati. Caso più unico che raro non solo di donna al potere nel teatro istituzionale italiano, ma pure di responsabile artistico senza conflitti d’interesse palesi, e con una ragguardevole ensemble d’attori in casa, secondo un modello mittel-europeo.
IL PESO DEL POST-DRAMMATICO
*Borchmeyer si è mostrato un esperto molto competente, come ci si aspetta dato il ruolo al FIND, e ancora giustamente abbastanza ossessionato dal futuro del teatro di prosa, in particolare dopo l’egemonia del cosiddetto ‘post-drammatico’. Del resto viene da uno studioso tedesco, Hans-Lies Lehmann, la definizione stessa, che data 1999, del genere nuovo che ha smontato la drammaturgia tradizionale, e che ha avuto in Need Company di Jan Lawers, Societas di Romeo Castellucci e Troubelyn di Jan Fabre le compagnie più ammirate dei creatori più idolatrati.
Al primo confronto d’ordine più generale, che ha visto Borchmeyer interloquire con il direttore-Professore-regista Claudio Longhi, l’autore tedesco Marius von Mayenburg, già dramaturg e scrittore in residenza allo Schaubühne di Berlino, e Fefa Noia del Centro Dramatico di Madrid, si è sentita la mancanza dell’invitato che forse meglio avrebbe potuto disaminare l’annosa questione del post-drammatico, Carl Hegemann, rimasto a casa perché influenzato.
Classe 1949, Hegemann è uno studioso di prim’ordine oltre che una personalità molto attiva dietro le quinte della scena germanofona da ormai cinquant’anni. Ha persino preso il posto del mitico Heiner Müller, per quattro anni, come direttore artistico del Berliner Ensemble, per poi restare altri 15 anni alla Volksbühne di Rosa Luxemburg Platz a Berlino con Frank Castorf, lavorando come drammaturgo per alcuni dei più importanti registi tedeschi. Tra i tanti, appunto, anche nomi di spicco ascrivibili al post-drammatico come, oltre a Castorf, il riverito maestro cult svizzero Christoph Marthaler e, per le nuove leve post-Duemila, Jette Steckel.
LA MISERICORDIA SVELATA DA TIFHANIE
*Così, in un dibattito che non poteva certo risolvere la grande questione, se cioè la tradizionale drammaturgia abbia ancora un senso, e quale mai possa avere, hanno lasciato il segno soprattutto la confessione sincera di disorientamento post-Covid di von Mayenburg, e l’assaggio - in chiave di parziale lettura recitata dall’Ensemble di Teatro Due - del suo nuovo thriller psicologico sulle relazioni interpersonali e gli abusi di potere intitolato ‘Ellen Babić’.
Parliamo del lavoro di un dramaturg che è stato avviato alla carriera da Thomas Ostermeir, forse il personaggio di maggior peso del teatro tedesco di oggi. E, però, ci vuole una certa consuetudine con il mestiere del teatro per apprezzare appieno un’opera o un autore prendendo contatto attraverso questo genere di presentazioni concentrate, che di fatto moltiplicano la possibilità che si produca poi un effetto di alterazione vera e propria dovuto alla riduzione, che s’aggiunge al già inevitabile rischio d’infedeltà insito in ogni traduzione.
Non a caso, tra le interessanti letture d’inediti, ha indubbiamente giganteggiato l’unica fatta integralmente in lingua originale dallo stesso autore, cioè ’Temporale’ di Fausto Paravidino. Paravidino ha poi riservato ai presenti la sorpresa di una sorta di secondo show, nel dibattito a seguire. Con il risultato involontario di fagocitare un po’ l’amica francese Tiphanie Raffier che aveva aperto la stessa giornata del 25 novembre.
Devono aver faticato non poco gli attori della compagnia di Teatro Due, che hanno letto vari spezzoni de sarà protagonista ‘La réponse des Hommes’ della Raffier, un intreccio complesso di trame e di personaggi che ruotano intorno a una rilettura attualizzata delle tradizionali Opere di Misericordia cristiane, con il risultato di svelare il fondo d’ipocrisia radicale e di contraddizioni morali della nostra società.
Il testo è anche molto dalla parte delle donne, del resto si chiama ‘La femme coupée en deux’ la compagnia che Raffier ha creato nel 2012. ‘La réponse des Hommes’ è stato presentato dall’Odéon Théâtre de l’Europe di Parigi nel 2022, dove nella scorsa stagione Raffier ha poi adattato ‘Némésis’ dal romanzo di Philip Roth (e non è certo il primo romanzo contemporaneo che ha portato in scena con successo).
ROMEO, BECCATI QUESTA!
*Doppiamente notevole, a Parma, è stato l’intervento di Ivan Vyrypaev, drammaturgo, regista e produttore russo che è dovuto emigrare in Polonia. L’arci-carismatico Ivan, con quell’aura da novello Trotsckij del teatro contemporaneo, ha fatto davvero ‘O’ Malamente’ della situazione, intervenendo a gamba tesa contro tutto e contro tutti. Chi ha avuto la fortuna di vedere un fortunato adattamento italiano del suo 'Entertainment', poteva già immaginare che Vyrypaev si sarebbe collocato in una posizione radicale.
Se l’è presa un po’ anche contro la lettura presentata da Teodoro Bonci del Bene, che ha tradotto in italiano tante sue opere e per le Giornate d’Autore ne ha curato un singolare ‘estratto/astratto’, ma, poi, per non esagerare, l'eclettico Ivan ha assicurato che comunque non si riconosce quasi mai quando ascolta i suoi testi.
Prima ancora d’andare a parare sul caso di Romeo Castellucci, con un tranchant: ‘nelle sue creazioni vedo solo lo spreco di denaro, e peggio mi sento se sono soldi pubblici’, Vyrypaev ha preso di petto l’intera categoria dei registi: ‘meriterebbero d’andare subito all’inferno perché credono tutti d’aver qualcosa da dire, ma non avendo cervello non possono esprimere altro che la rovina dei testi su cui lavorano’.
'Ivan il terribile' s’è poi schernito dicendo: ‘e che volete mai che ci possa fare un drammaturgo? Il nostro è un lavoro oscuro, di servizio, un mestiere che quando un taxista nel mondo ti chiede che lavoro fai nel teatro dove ti sta portando in orario insolito, sai già che se rispondi ‘il drammaturgo’ ti guarderà con tanto di occhi, senza capire’.
Non ha nemmeno rinunciato, Vyrypaev, a lanciare infine un provocatorio spunto di riflessione d’ordine generale sul post-modernismo: ‘ha fatto vivere alla cultura un periodo orribile, peggio dell’Inquisizione, contribuendo alla costruzione di una società dove la perdita del senso della realtà si è tradotta in un narcisismo esasperante’.
La citazione
Lo spettacolo non si svolge sul palcoscenico, assolutamente no. E’ tutto nell’organizzazione delle emozioni dello spettatore: fare teatro non è un’arte ma una forma di comunicazione.
AIUTO, CHE 'GARROTATA'!
*Sorridente e poco polemico è apparso sempre il grande invitato, l’argentino Rafael Spregelburd, da settimane ospitato e collocato a Parma dove ha potuto allestire un nuovo suo testo sul mito di Cassandra, intitolato ‘Diciassette cavallini’, scritto appositamente per l’Ensemble TeatroDue e un po’ anche insieme a questi attori. Infatti, dopo un lungo primo atto ‘apollineo’, Roberto Abbati, Valentina Banci, Laura Cleri, Davide Gagliardini, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi e Pavel Zelinskiy, ovvero gli attori del cast, prendono come il sopravvento e scardinano gioiosamente il senso stesso della pièce, nel secondo atto invece ‘dionisiaco’.
Nonostante l’esito in divertissment, questo lavoro è davvero ponderoso e per niente ruffiano, anzi per certi versi sorprendentemente astratto, non solo per i riferimenti scientifici e il tentativo di inquadrare gli eventi negativi all’interno della Teoria del tutto o della complessità, ma anche per l’allestimento. Tocco cult, tra i vari personaggi incombe pure la presenza in scena di Robert Graves, lo studioso di miti.
Aldilà delle pessime condizioni in cui deve operare chi fa cultura in certi Paesi sudamericani - oppure anche per questo -, la vivacità, l’inventiva e la voglia di comunicare di tanti autori sono davvero encomiabili e fortunatamente trovano asilo in Europa. Tra l’altro, in questo caso eccezionale Spregelburd ha potuto anche presentare due suoi piccoli capolavori, per la prima volta in Italia: ‘Pundonor’, un folle monologo di una studiosa di Foucalt scritto e interpretato dalla strepitosa Andrea Garrote, e ‘Inferno’, indagine grottesca sulla pittura di Hieronymus Bosch.
E TRIONFO RIABILITO' SALGARI
*Non va dimenticata la piccola perla che Claudio Longhi ha lasciato cadere nella solita tiritera sulla linea egemone del teatro di regia in Italia, che va da Massimo Castri a Giorgio Strehler e infine a Luca Ronconi, a cui sarebbero seguiti la parentesi anni Novanta del teatro di narrazione, un non meglio specificato nuovo teatro ‘più visivo’ e quello che sta maturando adesso anche grazie al suo Piccolo. Si riferiva probabilmente a una certa tendenza modaiola a riprodurre lo stile post-moderno delle costruzioni a freddo e di ‘teatro nel teatro’ sperimentate in vari Paesi.
Nella sua spiegazione sintetica, ovviamente di una consumata precisione professorale, a proposito della predilezione dei registi che hanno segnato il teatro italiano contemporaneo per la riproposta di grandi testi letterari, Longhi ha voluto citare per ben due volte il caso particolare di Aldo Trionfo, che a un certo punto ha lavorato alla trasposizione teatrale dei romanzi popolari di Emilio Salgari, nonostante siano piuttosto ricordati oggi i suoi spettacoli da Gabriele D’Annunzio.
Citazione encomiabile, questa di Trionfo, personaggio di cui si parla ormai poco, nonostante l’arco di attività e l’importanza.
A latere si è notato un piccolo interessante contraddittorio con il pubblico, in realtà rivolto prima di tutto al moderatore tedesco, per la mancata citazione di nomi femminili: ‘avete sempre parlato di Stefano Massini e di Paravidino’, ha fatto notare una giovane signora, ‘ma nella serie A dei nostri drammaturghi si possono di diritto considerare anche Lucia Calamaro e Letizia Russo…’