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Che entusiasmo, ragazzi, tutti a teatro per cantare di nuovo 'Toreador, toreador...'

Dandan Qin (Camen) con Lee Seungo (Don Josè), il direttore Takahiro Maruyama e l'orchestra (foto di Serena Serrani)

 Si può applaudire un'opera 'minimalizzata' ed entusiasmarsi senza andare troppo per il sottile, senza badare ai piccoli inciampi, senza pensare ai confronti con le mega-produzioni dei teatri istituzionali milionari? La domanda è retorica, soprattutto se riguarda il riadattamento che un maestro del teatro contemporaneo come Peter Brook propose negli anni Ottanta per un colossale successo del melodramma come ‘Carmen’ di Bizet, prima o seconda opera più famosa e rappresentata di tutti i tempi.

 Olè, ‘toreador toreador’, dunque: sia reso il giusto merito alla regista Simona Sinigaglia (1) che ha curato questa riproposta, offrendo una bella occasione di cimentarsi con lo spettacolo al Teatro Carcano - di cui è condirettore artistico - a un gruppo di giovani musicisti e cantanti, allievi diplomandi del Conservatorio, che hanno potuto fare otto mesi di formazione ad hoc. 

 E si sente subito l’energia che sprigionano, di fronte a tantissimi giovani in sala, con molti volti da tutto il mondo, amici magari del direttore d’orchestra giapponese Takahiro Maruyama, grande talento e già un bel ‘marpione’ come si vede anche solo dal bis, o dei cantanti, alcuni di origine cinese, come Dandan Qin, la Carmen (ma sono bravissimi tutti, e in particolare Yi Xiang, Micaela e Lee Seungo nei panni di Don Josè.

 Per dire chiaro e tondo come stanno le cose, questo è il teatro che merita fino in fondo i finanziamenti pubblici e si guadagna pure il prezzo del biglietto: correte a vederlo, se potete, prima che sia troppo tardi.

Dandan Qin-Carmen raccoglie gli applausi (foto Serena Serrani)

(1) Note di regia di Simona Sinigaglia

 Credo che la maggior parte dei registi quando si confrontano con il grande repertorio d’opera sognino in cuor loro di poter ‘osare’, di poter adattare la partitura e il libretto. Accanto alle edizioni originali e integrali, necessarie e sempre vive, è forte il desiderio di poter ‘giocare’, proponendo sperimentazioni musicali e narrative, tagli e nuovi montaggi, insomma dando corpo a quel tipo di lavoro che è concesso, nonché abituale e spesso auspicabile, su tutto il patrimonio della prosa. 

 Peter Brook, con i suoi collaboratori Marius Constant e Jean-Claude Carrère, decisero di togliere dalla Carmen di Bizet tutto il folklore e la ‘grandeur’ alla ricerca del nocciolo profondo e assoluto dell’opera. Lo fecero con anni di studio e tornando alla fonte stessa del compositore francese, l’omonimo racconto di Mérimée. Il loro fu un lavoro di assoluto rispetto della fonte verso una teatralità forse più netta, sicuramente più antica: quella delle tragedie greche.

 I personaggi sono ridotti all’osso: Carmen, José, Escamillo, Micaela. Accanto a loro, tre attori che recitano i personaggi previsti dall’opera come figure minori, eppure fondamentali per la sequenza degli eventi: Lillas Pastia, Garcia, una vecchia zingara. Carrère, Brook e Constant, ognuno secondo le proprie competenze, cercarono di estrarre “il midollo sostanziale” (così racconta lo stesso Constant) dall’opera di Bizet.

 Ogni personaggio richiama un archetipo e le grandi questioni della storia dell’umanità ovvero la libertà, l’ineluttabilità del destino, il binomio “amore e morte”, il femminicidio, l’eterno ritorno del tempo della violenza. Nell’ora e venti di musica canto e parola risuonano con la forza tipica dell’epica classica. Carmen assurge alla grandezza delle eroine quali Antigone o Medea o Ecuba: un assoluto in cui si specchiano tutti i relativi.

 Ci sono le arie più famose dell’opera: l’habanera, la seguidilla, Toreador, l’aria delle carte, le fleur, le due arie di Micaela ma attraverso la lente di un organico orchestrale ridotto a 16 elementi arriviamo a riconoscere le linee melodiche di ciascuno strumento, andiamo a fondo, ne godiamo le sfumature, raggiungendo così una percezione distinta e profondamente toccante delle contraddizioni ivi descritte. La genesi di quel mistero chiamato ‘essere umano’ che solo l’arte più alta può dispiegare davanti ai nostri occhi.

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