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Che sia 'Una canzone' d'addio anche per Milo Rau e le sue Histoire(s)?

'One Song' (foto Michiel Devijver)

  ‘Credi che nessuno legga i tuoi pensieri/, nella tua bolla/...’, è la chiusa della canzone intorno a cui Miet Warlop e i performers dell’NT Gent hanno costruito lo spettacolo 'One Song', 'gigantesca metafora emotiva’ sul ciclo violento e universale del dolore della perdita: ‘...But Everyone around you smells your trouble’, ma tutti intorno sentono l’odore dei tuoi problemi. 

Ha decisamente ragione Miet: l’artista visiva belga è per due giorni in trasferta al Piccolo Teatro Strehler di Milano (7/8 giugno) con questa sua ‘One Song’, che sarebbe la quarta parte dell’ambizioso progetto varato da Milo Rau per allestire una serie addirittura storica di spettacoli che segnino la contemporaneità, ’Histoire(s) du théâtre’. 

 Questo quarto atto nasce come una specie di musical, per differenziarsi sul piano formale dal monologo che era la III 'Histoire(s)' con la firma della provocatoria Angelica Liddell. Il lavoro della Warlop è una sorta di canovaccio d’elaborazione del lutto condiviso da un gruppo di personaggi molto ben definiti. Insieme si lanciano in un’insolita performance resa ansiogena dal ritmo di un metronomo.

In realtà - ha voluto specificare Miet Warlop - , ‘i performers non vengono chiamati a consumarsi in modo effettivamente estenuante, fino a stramazzare a terra, a dover pisciare o cagare in scena, alla Jan Fabre’, ma soltanto a divertirsi ‘teatralizzando la propria combustione’. 

'One Song', tra l'altro, è stato lo spettacolo più apprezzato in apertura del festival di Avignone dell'estate scorsa ed è stato indicato dai critici del New York Times come uno dei tre migliori spettacoli del teatro europeo nel 2022 (insieme con 'Blues for an Alabama Sky' per la regia di Lynette Lindon e 'Oklahoma!' di Tiago Rodrigues).

 Verrebbe proprio da spendere la battuta finale della canzone di Miet Warlop in un’analoga accezione metaforica, di tono invero assai minore, ora che in pochi giorni d’inizio giugno fioriscono tutte insieme nelle sale milanesi le occasioni di confrontarsi finalmente con un teatro artistico più vero e fresco, cioè meno banale e imbalsamato.

Merito sicuramente dei pregevoli ‘fuoricasa’ di FringeMilano e del sempre interessante festival di Olinda ‘Da vicino nessuno è normale’, che si apre il 7 e 8 giugno, al Teatro La Cucina dell’ex Ospedale Paolo Pini, con un ‘Non tre sorelle’ in italiano, inglese, ucraino e russo, di grande interesse, firmato dal ‘giovane’ bolognese (classe 1993) Enrico Baraldi e prodotto dal Metastasio di Prato.

Si è già notato, persino in sede di pagelle, anche ‘Estinzione della razza umana’ del ‘giovane’ Emanuele Orlandi, un testo già premiato nel 2022 che arriva finalmente a Milano al Teatro Franco Parenti

 A far risaltare l’odore dei problemi dello spettatore appassionato milanese in born-out da stagioni da dimenticare, è soprattutto una strana combine con la due giorni da non perdere di ‘Histoire(s) IV’ al Piccolo. Si faceva notare la curiosa presenza come interprete alla conferenza stampa di Miet Warlop del ‘dramaturg’ di ‘One Song’, l’italiano Giacomo Bisordi, che a 35 anni era già uno dei più stretti collaboratore di Milo Rau. 

 Era a Milano in questi giorni Bisordi anche a seguire l’arrivo in cartellone al Teatro Elfo Puccini di un testo cult di qualche anno fa, ‘Peng’ di Marius von Mayenburg, che debuttò alla Schaubühne di Berlino nel 2017, con la regia dello stesso autore.

Provocatorio e in qualche modo profetico apologo grottesco sulla mascolinità tossica, 'Peng' è stato riproposto poi in versione italiana, nel 2021, da La fabbrica dell’attore - Teatro Vascello di Roma, con Fausto Cabra nei panni del protagonista e un allestimento visionario firmato appunto da Giacomo Bisordi.

Oltre ad affiancare Rau, come drammaturgo e prima ancora come assistente alla regia, Bisordi insegna all’Accademia d’Amico e collabora con il più che pregevole teatro-compagnia di Roma di Manuela Kustermann (presente anche in due siparietti comici di 'Peng'), che porterà a breve, il 12 giugno, a Milano anche l'altra sua fortunata produzione di stampo grottesco, ‘Hybris’ di RezzaMastrella, per una sola data alla Milanesiana.

La doppia presenza volante a Milano di Bisordi, peraltro, suggerisce il tema del futuro sia del teatro di Gent sia del 'suo' guru svizzero, da molti considerato un maestro, se non il maestro, del teatro contemporaneo. Da quel che si apprende Rau sta infatti organizzando il suo trasloco a Vienna, dove prenderà casa già da luglio.

Milo Rau, infatti, è stato scelto tra 36 candidati come nuovo direttore artistico, dalla prossima edizione 2024, delle ‘Wiener Festwochen’, festival di grandissimo rilievo internazionale, la cui ultima edizione, firmata Christophe Slagmuylder, si concluderà il 21 giugno. Tra le tante eccellenti e innovative proposte fa piacere sottolineare la presenza dei Klangforum Wien, ammirati a Erl nell'indimenticabile 'AmOpera' con Jan Lawers di Need Company.

La prestigiosa ensemble viennese di musica contemporanea partecipa al ricco e vivace festival di casa con “Verwandlung eines Wohnzimmers” [Trasformazione di un soggiorno], un lavoro sul cambiamento climatico firmato con il regista giapponese Toshiki Okada e il compositore Dai Fujikura.

Tornando alla mezza rivoluzione che vede Rau traslocare da Gent a Vienna, va specificato che, almeno stando all’annuncio ufficiale, non s'interromperà del tutto la collaborazione di Rau con il teatro delle Fiandre e nemmeno la serie di ’Histoire(s) du théâtre’.

Per ora viaggia spedito da Gent ad Avignone il nuovo spettacolo di Rau ‘Antigone in Amazzonia’, che debutta al festival nella città dei Papi a luglio e arriva poi a settembre in Italia al REF romano. Con un anno davanti, e con in mano un festival così puntato sul contemporaneo come quello di Vienna, che consente anche una grande libertà artistica, è possibile che Rau voglia misurarsi in prima persona con una nuova produzione come regista: in fondo, finora ha fatto giusto un passaggio nel mondo dell'opera lirica vera e propria.

Per quel che riguarda Gent, in ogni caso, il resto si vedrà concretamente a seconda di chi verrà scelto come direttore artistico al posto di Rau. Difficile immaginare che arrivi qualcuno che voglia subito marcare clamorosamente uno strappo rispetto alla linea di Rau, ma è anche altrettanto poco probabile che sia un semplice succedaneo o seguace. 

 Com’è noto, il roccioso e multiforme intellettuale bernese ha voluto imprimere da subito un segno forte alla sua presenza a Gent, scuotendo le consolidate abitudini di un sistema di produzione ormai farraginoso, con un decalogo-manifesto che invitava a ‘rendere reale la rappresentazione stessa’.

Ha imposto di alleggerire gli impianti scenografici, di inserire anche attori non professionisti, di uscire dalle sale teatrali per le prove, di lavorare su testi prevalente originali e realistici, con solo un 20 per cento di eventuali riferimenti ai classici, di mescolare più lingue parlate, di portare in scena il processo di creazione, di andare obbligatoriamente per qualche data in tournée anche nel terzo e quarto mondo, e così via.

Del manifesto di Gent oggi rimane, secondo quanto hanno detto Bisordi e la Warlop, una certa impostazione di fondo alla leggerezza, e soprattutto la trasparenza della rappresentazione rispetto appunto al lavoro in cui viene impostata. Pare di capire che Rau, sempre così impegnato in tante diverse attività, su questo atto IV 'One Song', per esempio, si sia in qualche modo limitato a far marcare la creatività imprevedibile di Miet Warlop dal suo 'dramaturg'.

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