Sveglia, milanesi! Sarete anche i numeri uno per qualità della vita, ma una bella lezione d'umanità ci vuole
20.11.2024
Che sufficienza, non pensare che ci possa sempre essere una bella sorpresa, anche nell'uovo di Pascal. Con 'Durante' Rambert riscatta il Piccolo
Di questi tempi il teatro gioca dei gran brutti tiri, ovvero - se si potesse dire così - dei veri propri ‘tironi’ infernali, visto che arrivano spesso dagli ‘spettacoloni’ con ‘attoroni’, ‘prodottoni’ di punta dei’ teatroni’. Purtroppo gli appassionati sono sempre disposti - contro qualunque altro preconcetto, persino contro l’allergia a certi grandi autori - ad andare a sedersi per ore in platea, quando in scena ci sono gli attori che amano, oppure quando è dietro le quinte un regista degno del titolo.
Alzi la mano chi non conosce almeno uno spettatore che trova obsoleto e noioso Beckett, oppure un altro che scappa appena sente un titolo di Ibsen: ma che poi fanno persino un bel viaggetto per vedere le prime rappresentazioni di ‘Aspettando Godot’ di Theodoros Terzopoulos con Enzo Vetrano e Stefano Randisi, e sono corsi a comprare il biglietto quando ‘Il costruttore Sollness’ lo metteva in scena Alessandro Serra con Umberto Orsini.
Così, nonostante le premesse di cui sopra, l’altra sera a Milano, giovedì 11 aprile, insensibili pure al richiamo di un Milan-Roma per la Coppa Uefa o a tutto il resto, una settantina di spettatori si sono presentati al Piccolo Teatro Grassi, molti convinti di dover resistere a fatica, per due ore e dieci senza intervallo di ‘Durante’ di Pascal Rambert, sulle solite scomode vecchie poltrone, in nome e per conto della propria passione per uno degli attori in scena.
Tra i vari spettatori, quasi tutti molto attenti e competenti, in fila 10, per esempio, si potevano riconoscere anche un regista piuttosto importante, sicuramente arrivato per seguire il ‘suo’ Marco Foschi - con cui è impegnato in un altro spettacolo - e una critica di carriera che si vede che ama poco lo specchio, se il suo primo commento con la vicina è stato ‘oddio, quant’è invecchiato Sandro Lombardi, ma è ancora tanto bravo…’.
C’erano pure altri habitué dei teatri: una che poteva essere una funzionaria della Rai, che sembrava dicesse al vicino ‘mah, sono venuta un po’ per Anna Bonaiuto, più che altro’; un signore con l'aria sempre indaffarata e un classico blazer scozzese, s'è accomodato scommettendo: 'come le viene bene, ad Anna Della Rosa, la parte di quella che soffre'.
E un ‘tremendista’ della battuta e dei commenti del giorno, pur dichiarando che Rambert si era troppo montato la testa, ammetteva di aver fatto il passo esclusivamente per gli attori in scena e anche di aver scoperto da poco il talento di Leda Kreider.
Sia quel che sia, alla fine applaudivano tutti convinti. E a questo punto bisogna pure dire, cospargendosi il capo di cenere: prevenuti di tutto il mondo, ricredetevi. Anche se giustamente siete fin troppo stufi dei bidoni dei teatroni e se persino già detestate la prosopopea dell’Auteur, prendete atto che ‘Durante’ è sic et simpliciter un gran bello spettacolo.
Non sarà perfetto, nessun spettacolo lo è davvero, però merita (al Piccolo Grassi fino al 5 maggio). Vale proprio la pena di non perderlo per alcuni buoni motivi che non si esauriscono in questo piccolo elenco che segue, parziale anche perché bisogna pur evitare di ‘spoilerare’ troppo.
Primo: vale il biglietto anche soltanto il blocco centrale, quando irrompe in scena un insolito Arlecchino insanguinato, meno buffonesco cialtrone e invece impegnato in un’invettiva politica e culturale sul degrado di oggi. Dietro la maschera, il protagonista di ‘Durante’ Marco Foschi, più credibile che mai, in fondo perché soprattutto anche lui personalmente carico di nostalgia per la Bellezza del teatro di ieri, di questo Piccolo Teatro che fu la prima sala pubblica e popolare, di quel teatro che riusciva ancora a prendere il centro del dibattito civile, nel mondo nuovo che nasceva sulle tragiche macerie dei fascismi.
Secondo: della serie ‘ricredersi su Rambert’, nonostante l’antipatia per una certa quale sua esagerata ego-dilatazione, in questo passaggio dell’Arlecchino, come in altri momenti nonché nei dettagli di ‘confezionamento’ dello spettacolo, l’omaggio alla figura di Giorgio Strehler è profondo e intelligente. Si nota anche un irriverente e ‘pasoliniano’ inchino al mito di Pier Paolo Pasolini. Non sanno di maniera anche perché tutto è fatto in un contesto teatrale di livello internazionale. Perciò, anche chi pensava il contrario, dopo averlo visto trova giusto che ‘Durante’ sia entrato nella rassegna di ‘Presente Indicativo’, accanto ad alcune delle migliori proposte da mezzo mondo.
Terzo: sulla carta Rambert lavora sempre pericolosamente in bilico sul burrone meta-teatrale, e l’affaccio sul vuoto di realtà tante volte irrita gli spettatori che ancora credono nella funzione originale del teatro. ‘Durante’ - che forse è il miglior spettacolo di Rambert tra quelli arrivati in Italia - non cade in quel tranello da meta-teatro, assolutamente no. Attraverso la spettacolarizzazione delle fragilità umane di una compagnia di attori, svelandone in qualche modo la verità di persone, arriva a proporre un grande omaggio proprio alla forza della rappresentazione e al potere della cultura. E, soprattutto, lascia il dovuto spazio all’irruzione del presente, non si fa relegare nell’intrattenimento da televisione ma prova a rivestire anche quel ruolo vivo e pulsante che il teatro deve continuare a svolgere.
Quarto: detto con particolare riguardo per chi ha visto già ‘Prima’, cioè appunto la prima parte di questa trilogia rambertiana al Piccolo, ‘Durante’ si ricollega abilmente alla stessa storia ma è un’altra proposta, per non dire tutt’altra proposta. Fa la differenza, oltre a un testo più indovinato, anche soltanto la presenza in scena dei giovani della scuola di recitazione del Piccolo (Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi e Pietro Savoi) che raddoppiano gli attori più noti, nonché persino dei due paggetti in costume da Trittico di Paolo Uccello. Vedere per credere anche solo la solarità di Cecilia che fa Loretta Goggi e canta ‘Maledetta primavera’.
Quinto: gli attori, pochi, maledetti e subito. Oltre all’irruzione di Arlecchino, giustamente sottolineata dagli applausi a scena aperta che Foschi deve addirittura interrompere, ci sono vari momenti ‘worth the price’, che si pagano da soli il valore del biglietto. Dal monologo della vecchia attrice ‘malincomica’ Anna Bonaiuto, ché sa appunto tenere tanto garbatamente insieme i due estremi della recitazione, al finale con Sandro Lombardi seduto a spiattellare così, come se facesse due chiacchiere all’uscita con il pubblico, quel che pensa del teatro e delle regie. Dall’a-tu-per-tu con sé stessa ragazza della ‘fragile’ Kreider all’ennesima prova 'sotto lo schiacciasassi' a cui è sottoposta, fin dall’inizio, per terra quasi morta, la ‘vittima’ Anna Della Rosa.
P.S.: Dopo aver visto Anna fuori scena, seduta con le amiche ad applaudire partecipe altri attori al Teatro Studio, e dopo aver constatato che, per quante attrici belle ci siano in giro, poche potrebbero essere così belle attrici come lei, un appello: urge fondare il CLNADL, per liberare all’arte il talento e la bellezza di Anna Della Rosa, fuori dai teatroni italioti, a prendere sul serio qualche modello di riferimento europeo, Ursina Lardi o Sara De Bosschere, per dire due esempi magistrali di sottorecitazione. Basta Cleopatre con il suo Valter Malosti, Anna, è ora di farla finita anche con le piéces di Rambert: non sarà mica ancora lì che si sbraccia a fingere pene d’amore per Marco Foschi nell’inevitabile ‘Dopo’?!?