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Di che materia sono fatti i sogni? E le Tempeste?

Una scena de ‘La Tempesta’ di Alessandro Serra.

 Un luogo comune vuole che i compositori contemporanei siano così cerebrali e astratti da non riuscire ad attirare nemmeno un po’ del pubblico, già scarso, che frequenta i teatri lirici e musicali. Eppure, prendete il caso di Thomas Adès, inglese classe 1971, considerato una sorta di erede di Benjamin Britten: dai primi di novembre Adès è al Teatro alla Scala di Milano a dirigere una sua stessa opera e, dopo una prova generale che ha registrato un record di richieste, restano giusto pochi strapuntini, da 108 euro in su, per la prima del 5 novembre, e nemmeno nei giorni successivi la piantina dei posti in sala mostra tanti vuoti. Sarà per la magia shakespeariana, certo, perché stiamo parlando di un’opera contemporanea che s’intitola ‘The Tempest’.  Parliamo di una produzione di prim’ordine, del Metropolitan di New York, e a raccontare di nuovo le vicende di Prospero e di Ariel è un adattamento firmato nel 2012 da Robert Lepage. Regista canadese tra i più visionari e spettacolari, in questo caso ha scelto la chiave meta-teatrale, e così, oltretutto, come a specchio, la storia è ambientata in un simulacro scenografico dello stesso teatro della Scala. 

 OCCHIO AI MILLE DI REGGIO EMILIA 

 Se i kolossal post-moderni, con grande dispiego di mimi e acrobati nonché di tecnologie, non sono certo per tutti, e anzi vi sentite orgogliosi ammiratori del cosiddetto ‘teatro povero’ e della cura minimalista alla Peter Brook, provate con una spesa modesta a comprare le ultime poltroncine libere in galleria, per il debutto di ritorno in Italia de ‘La Tempesta’ di Alessandro Serra, la sera di martedì 8 novembre, nello storico teatro d’opera di Reggio Emilia, oggi sala d’onore intitolata a Romolo Valli, della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia (che collabora alla produzione con Teatropersona). Eh no, non ci sono quasi più posti per la ‘seconda prima’ di questo nuovo allestimento che ha conosciuto una fugace partenza nella primavera post-Covid, per poi affrontare una tournée internazionale, dalla Francia - il festival d’Avignone, tra l’altro, ha partecipato alla produzione stessa - alla Polonia, dove è andata in scena al festival shakespeariano del Gdański Teatr a fine luglio, con tanto di ‘Burza’ (parola polacca che sta per tempesta) in cima ai sottotitoli. Per dire le cose come stanno, il pubblico e la scena emiliani anche in questo caso danno la linea. Sono svariati i motivi per cui invitiamo tutti gli spettatori appassionati a seguire l’esempio dei Mille di Reggio: avanti, c’è posto, per esempio al Teatro Strehler di Milano dal 15 al 27 novembre (seguono Bologna e tutte le altre date).

 

 NEL CICLONE DELLA MATURITA’

 Sarà estremamente interessante, nel caso di ‘The Tempest’, su cui a suo tempo si sono letti elogi davvero sperticati, rivedere se l’allestimento di Lepage, dieci anni dopo, ha mantenuto intatto il suo fascino ammaliante. Bisogna prendere nota che a quest’opera dove la grande musica contemporanea si mescola al classico teatrale, Lepage è arrivato dopo che già si era affermato a livello internazionale. Tra i primi ad aver scelto di affidarsi ai nuovi mezzi tecnologici e a variare sperimentando fino al pop-rock, Lepage ha dovuto subire una certa critica tradizionalista, che tendeva a liquidarlo come ‘regista high-tech’. Così, curiosamente, il 2012 è stato proprio l’anno della svolta, e negli spettacoli di tecno-Lepage fa irruzione la riscoperta dell’arte circense e di una spettacolarità più fisica. Nel pieno della maturità, a 55 anni, con un curriculum che era già finito nelle voci enciclopediche, il ‘mago della scena’, e tale veniva considerato da chi non lo sprezzava come iper-tecnologico, voleva diventare invece, dichiaratamente, un ‘poeta’ della regia. 

 

 SE IL CANNIBALE NON E’ CALIBAN

 Per ‘La Tempesta’ di Alessandro Serra si potrebbero notare curiose coincidenze: anche il regista che ha fondato la sua compagnia Teatropersona nel 1999, è in una situazione analoga a quella da cui Lepage affrontò ‘The Tempest’, nella pienezza degli anni e della maturazione artistica. Dopo ‘Macbettu’, i premi e il successo, è come se tutte le opportunità che si sono aperte portassero insieme anche il peso opprimente delle aspettative - e non generano l’attesa infelice esistenziale dei quadri di Hopper, a cui Serra ha dedicato un poetico capolavoro muto, ma portano all’opposto la cannibalizzazione da industria culturale, per dirla alla Adorno. Forse nasce così la sfida impossibile, ‘La Tempesta’ addirittura, e su scala internazionale, con un cast dove ai collaudati amici di bottega s’affianca, per dire, un attore-maestro come Jared McNeill, che è stato allievo e aiuto di Peter Brook e dà vita a uno strepitoso Caliban. Dopo gli applausi entusiasti di noi ‘dramaholics’ accorsi per la prima alle Fonderie Limone di Moncalieri (stregati in modo particolare da Ariel Chiara Michelini), Serra si è beccato pure qualche critica perplessa durante le repliche romane. I soliti ‘originali’ se la sono presa con una certa debolezza di messa a fuoco, soprattutto del Duca di Milano (‘nessun pubblico ha mai amato Prospero’, scrive il sommo studioso Harold Bloom). Sia quel che sia, Serra fa sapere di aver lavorato ancora sull’allestimento e garantisce agli spettatori di oggi che vedranno la sua Tempesta ‘molto cambiata’. 

 BILLY BILLY, CHE TE LO DICO A FARE?

 I primi dieci buoni motivi per vedere ‘The Tempest’ e ‘La Tempesta’ si potrebbero citare ripetendo come un ritornello il mantra del film Donnie Brasco, ‘Fuggetabautit’ (Forget about it, nello slang broccolino originale di un Al Pacino d’antan), ovvero 'che te lo dico a fare?!'. Prendiamo un esempio monumentale, e non se ne parli più. La scultura commemorativa di William Shakespeare nell’Abbazia di Westminster, ovvero nel Pantheon inglese, che troneggia dal 1740 nell’Angolo dei Poeti, ritrae in marmo, a figura naturale alta un metro e settanta, lo scrittore appoggiato su una pila di libri (tre grossi volumi rigorosamente senza titoli), che con l’indice della mano sinistra invita a leggere le frasi di un rotolo appeso al piedistallo. E queste parole sono l’incipit dei celeberrimi versi di Prospero nella Tempesta (‘The cloud capt tow'rs,/ The gorgeous palaces…’) che si chiudono con la citazione shakespeariana per eccellenza: ‘We are such stuff, as dreams are made on’…Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni.

  BILLY BILLY, HAI PARLATO PER PROSPERO?

 Non è un caso nemmeno che con questa commedia si apra il miracoloso ‘First folio’ con cui si salvarono, grazie alla stampa, i primi testi di Shakespeare (un malloppo di 900 pagine intitolato ’Mr. William Shakespeares Comedies, Histories, & Tragedies’, l’ultima delle poche copie originali del 1623 andate all’asta è stata battuta per oltre 5milioni di dollari del 2001). La prima raccolta di 36 testi dell’autore morto il 23 aprile del 1616, nel giorno del suo 52mo compleanno - attenzione alle date e all’età - , si apre dunque proprio con ‘La Tempesta’ e questo basta a dire dell’aura dell’opera. Anche se poi contribuirono a tale scelta dei curatori un complesso di motivi, tra cui sicuramente il fatto che’ La Tempesta’ fosse rimasta da ormai più di un decennio un’opera inedita - non si era trovato nessun singolo ‘first paper’ -, anche se aveva riscosso un notevole successo; per non dire che - come noto, da una sterminata bibliografia - è stata l’ultima opera teatrale scritta personalmente da Shakespeare, nel 1611, così leggendaria e piena di riferimenti alla sua vita e alla sua attività che si vuole che il grande Billy abbia recitato almeno una volta la parte di Prospero, o solo il celebre epilogo di supplica agli spettatori. 

 PREGO, MAESTRO, UN’INTERPRETAZIONE

 ‘La Tempesta’ per Harold Bloom (di cui Serra sembra aver recepito alcune intuizioni, fin dalla dedica cechoviana della sua presentazione, 'fortunato colui al quale è dato il potere di perdonare'), è una ‘commedia profondamente sperimentale’, che deve anche saper far ridere di gusto il pubblico. E che, in fondo, vuole fare da opposto al Dottor Faust di Marlowe, come un controcanto della pietà e della misericordia: ‘il nome stesso di Prospero, lo stregone di Shakespeare, è la traduzione italiana di Faustus, il favorito…Ariel è un angelo (in ebraico ‘il leone di Dio’) che lavora al suo servizio al posto del Mefistofele…’ . Bloom, tra l’altro, riferisce in dettaglio l’interpretazione ironica che un altro grande critico letterario, il canadese Northrop Frye, ha dato della possibile identificazione tra Prospero e Shakespeare (Frye, guarda caso, sembra proprio aver ispirato la versione ‘The Tempest’ di Lepage): ‘Prospero sarebbe anche ‘un attore-impresario tormentato e sovraffaticato che rimprovera gli attori pigri, elogiando quelli laboriosi con un linguaggio da esperto, sempre consapevole del poco tempo disponibile, con i nervi tesi per gli imprevisti durante la rappresentazione, che sogna un tranquillo pensionamento, ma nel frattempo deve uscire sul palcoscenico e supplicare il pubblico perché applauda’. E magari davvero Shakespeare si torturava allo stesso modo, chiosa Bloom: temeva di non essere più ‘la natura libera e aperta’ lodata dal rivale Ben Johnson, sentiva che stava diventando anche lui freddo, che rischiava di praticare ormai come Prospero un’arte più estetica che mistica…(p.s.: possibile che Lepage nel 2012 e Serra oggi, dentro se stessi, abbiano scelto d’affrontare la Tempesta nel disagio di uno stallo da maturità analogo a quello di Shakespeare?). 

La citazione

La Tempesta è senza dubbio la commedia più sofisticata di un poeta il cui lavoro nel campo della commedia viene frainteso in maniera sconcertante.

In chiusura, valga per tutto, anche per le bagattelle di cui sopra, l’assunto che un altro grande studioso di letteratura inglese, Frank Kermode, ha dato dopo anni di studi sul linguaggio e l’epoca di Shakespeare.

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