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Di Godot e Giacometti, dell’arte e dei non detti, di prostitute, infermiere e giacche

Nella foto di George Pierre, Beckett e Giacometti nel 1961

Nei giorni in cui si consuma il finale del rapporto tra Eugenio Barba e il suo teatro di Holstebro viene naturale rivolgere lo sguardo indietro, al lontano1966 quando una compagnia improvvisata di attori scartati dalle scuole, che non parlavano nemmeno il danese, l’Odin Teatret appunto, venne accolta in una cittadina, allora ben poco nota, dello Jutland centrale. Un’infermiera locale che si dilettava di teatro, Inger Landsted, era andata nella vicina Viborg a vedere ‘Ornitofilene’, il primo spettacolo messo in scena da Barba con l’Odin, e ne era rimasta così impressionata da andare a proporre al segretario comunale, Jens Johanasen, e al sindaco Kaj K.Nielsen, un postino, di trovare uno spazio e qualche soldo per adottare la strana compagnia. Gli amministratori, che temevano l’impoverimento culturale di quella che allora era solo una piccola città di contadini, conosciuta per i mattatoi, e che dunque rischiava di svuotarsi, avevano già dato prova di lungimiranza, cinque anni prima, investendo un capitale davvero ingente, per le casse di un piccolo comune, in un’opera d’arte di grande rilevanza, la Donna sul carretto di Alberto Giacometti, una piccola statua raffigurante un’esile ragazza, che abbellisce la piazza principale (informazioni da: Ferdinando Taviani, ‘Il libro dell’Odin’, Feltrinelli 1975).

 COME LO VUOI QUEST’ALBERO, SAM?

 Il nome di Giacometti s’incrocia con la storia del teatro contemporaneo, aldilà dell’involontario ruolo di portafortuna per l’Odin,  soprattutto per via dell’amicizia che ha legato lo scultore a Samuel Beckett. E’ noto che Giacometti fece addirittura un albero di scena per il secondo allestimento parigino di ‘Aspettando Godot’. Beckett non era stato così soddisfatto della scenografia, pur elementare, del debutto, nel 1952: ‘c’è dell’estetismo di troppo’, aveva borbottato. Così, nel ’61, quando il prestigioso Odeon Theatre di Parigi si fece avanti per rilanciare quello che ormai era considerato un capolavoro, Beckett chiese all’amico e compagno di tante serate di fare almeno l’albero di scena. Giacometti, conoscendo molto bene l’irlandese, ha chiesto di lavorare insieme all’impostazione dell’albero: stando al racconto dell’artista nato in val Bregaglia, e parigino d’adozione, i due amici hanno passato un’intera nottata con una bacchetta davanti e un quaderno di schizzi. Ogni volta che raggiungevano una sorta di accordo, qualche dettaglio non piaceva all’uno o all’altro, ma nessuno dei due si permetteva di dirlo apertamente. Ricominciavano da capo appena uno mormorava perplesso: ‘peut-etre’. Alla fine Giacometti si decise ad abbassare ancor di più l’albero, come voleva Beckett, tanto era già perfettamente in sintonia sull’idea di sfrondare al massimo e di rendere esile e fragile, come le sue figure umane, anche l’unico elemento forte della scena di ‘Aspettando Godot’.


 SE VLADIMIRO SALTA LE PROVE

 Del legame tra i due e delle similitudini tra le rispettive poetiche, ‘centrate sulla fragilità umana e curiosamente sempre in bilico tra la paura e il grottesco’, scrive molto approfonditamente lo studioso Hugo Daniel, che ha curato la mostra ‘Giacometti/Beckett. Fallire di nuovo, fallire meglio’, allestita nel 2021 alla Fondation Giacometti di Parigi. Nella splendida cornice art-deco dell’Istituto Giacometti , vicino a boulevard Raspail, a due passi dal cimitero di Montmartre dove riposano Beckett e la moglie Suzanne, si tengono esposizioni temporanee davvero interessanti. Nel caso specifico è stato addirittura ricostruito, in un’installazione di Gerard Byrne, il famoso albero di ‘Aspettando Godot’ II, che è andato chissà come disperso. A dire il vero fu un po’ tutto segnato da una certa sfortuna, il cast subì variazioni in corsa, il regista Roger Blin rinunciò per andare a Londra a dirigere ‘Le Negre’ di Jean Genet, Giacometti consegnò l’opera per la scena fuori tempo massimo, e Beckett, che a quel punto aveva letteralmente un diavolo per capello, dovette persino fare la parte di Vladimiro alle prove, perché l’attore era assente. 

Lo studio dell’artista all’institut Giacometti (copyright succession Alberto Giacometti)

 UNA GRANDE OMISSIONE MORALISTA

 Di singolare c’è che gli studiosi perlopiù sorvolino sugli aspetti personali del rapporto che legava i due artisti: il biografo ufficiale di Beckett, James Knowlson, si limita a notare che già nel 1946 la moglie Suzanne ‘non accompagna Sam nei suoi giri per i bar di Montparnasse. Fu in questo periodo che, durante le loro notti insonni, Beckett e Giacometti cominciarono a incontrarsi nei bar che restavano aperti, dove - si noti la vaghezza della specificazione, ndr. - raramente parlavano di argomenti intellettuali e artistici’. Eppure  Giacometti non ha mai fatto nulla per nascondere la sua passione per le prostitute e i bordelli, fin dagli anni Venti, e le varie opere dedicate al celebre Le Sphinx e alle sue ragazze lo testimoniano, al punto che l’artista si schierò addirittura pubblicamente contro la legge proposta nel ’46 da Marthe Richard per l’abolizione del ‘regime di prostituzione regolamentata’, un provvedimento che nella sola Parigi colpì ben 170 ‘maisons closes’. E’ stato il poeta irlandese Anthony Cronin, nella sua monografia del 1996 ‘Samuel Beckett. The last modernist’, a rivelare la passione in comune tra Beckett e Giacometti. Lo stesso titolo di ‘Aspettando Godot’ sarebbe nato, secondo Cronin, dopo una chiacchierata con una prostituta a Montparnasse, quando, alla fine, la donna ha insistito per far salire Beckett in camera e di fronte al suo diniego, lei avrebbe reagito con un certo scherno: ‘Ah sì! davvero? e che fai? aspetti? e chi aspetti? Godot?’ 

 

 PASSIONE E COMPASSIONE, LA SCUOLA DI SYNGE

 Consideriamo comunque quanto sia ben evidente, dalle sue stesse opere, la passione di Beckett per i mondi a margine, per i balordi e per i vagabondi, ereditata dal grande maestro del teatro irlandese d’inizio Novecento John Millington Synge, a cui si è esplicitamente richiamato. E si sa anche quanto Beckett, come persona, fosse poi disponibile nei confronti di questa umanità perlopiù disprezzata dai borghesi: una volta è stato visto regalare così, con un gesto, una bellissima giacca di tweed nuova, senza nemmeno controllare che cosa lasciava dentro le tasche, a un vagabondo che lo aveva avvinato al bancone del bar per scroccargli da bere, e aveva attaccato bottone proprio con il pretesto di fargli i complimenti per questo capo di lana cardata così elegante e così caldo…

 

 ANCHE SERRA E’ FISSATO CON BECKETT

 Ad aspettare Godot s’è messo pure Alessandro Serra, il regista italiano che ama richiamarsi alla lezione dei rifondatori del teatro artistico, e a Peter Brook. Lo si è capito durante la presentazione, al Piccolo Teatro di Milano, di un suo libro sullo spettacolo de ‘La Tempesta’. Serra si è lasciato agganciare da una citazione di Beckett fatta da uno dei presenti, lo scrittore Antonio Moresco, per lanciarsi in un’appassionata divagazione sulla sua vera e propria fissazione per quello che lui considera, con Cechov, il più grande autore di teatro del Novecento. Serra si è diffuso poi in una controversa parentesi sul fatto che Beckett sia stato ‘un regista mancato’ (in realtà non solo ha diretto personalmente alcuni dei suoi stessi spettacoli, ma si è anche tirato indietro quando, per esempio, proprio Brook, allora alla Royal Shakespeare di Londra, ha cercato in tutti i modi d’ingaggiarlo per fare altre regie, anche di classici, in primis ‘La vita è sogno’ di Calderon). E a proposito del suo sogno di poter un giorno mettere in scena Godot o ‘Finale di partita’, Serra ha candidamente rivelato di aver appena ricevuto un sonoro ‘picche’ dagli eredi e custodi del patrimonio teatrale di Beckett. Come noto, Beckett ha vincolato rigidamente i diritti di rappresentazione delle opere. E certo, quando gli eredi si vedono arrivare il curriculum di un regista il cui spettacolo più rappresentato e premiato s’intitola ‘Macbettu’, ed è la versione in sardo di Shakespeare (strepitosa, peraltro), oppure quando leggono che ora lo stesso ‘metteur en scène’ s’è impancato a rifare pezzi interi de ‘La Tempesta’, che cosa mai dovrebbero pensare?!? 

 PERCHE’ NON TENTARE LA STRADA DELLA SERA?

 Serra da giovane aveva dedicato al grande irlandese-parigino uno strano ‘Beckett box’, senza parole, e con il suo Teatropersona, poco prima di un piccolo capolavoro di sottrazione teatrale sui quadri di Hopper, era già arrivato ‘a un passo da Sam’, con lo spettacolo delicato e magico ’L’ombra della sera’ su Alberto Giacometti, affidato alla bravura di Chiara Michielini (strepitosa Ariel in questa nuova ‘Tempesta’). A proposito, in attesa della grande nuova sede di scuola e museo Giacometti nella ex station des Invalides, l’Institut Giacometti custodisce, insieme con lo studio originale dell’artista, una bella biblioteca, con libri e dvd a disposizione del pubblico: ci sono persino due cataloghi delle mostre in Giappone e il filmato dei telegiornali sul funerale a Stampa dell’artista, con alcune immagini della bara sulla slitta, che sembrano la versione in bianco e nero del grandioso ‘Inverno’ di Segantini. Ma, a quanto pare, non vi è traccia alla Fondazione, purtroppo, di questo ‘L’ombra della sera’. Che sia forse perché parla del legame di Giacometti con tre donne, e una è la prostituta Caroline… Cher M. Daniel, pouvez-vous faire quelque chose? 

Beckett e Giacometti nel 1961 con l’albero di scena per Godot II

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