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20.11.2024
Entrate e dominio della tecnica, da Joyce alla Duse
Con Samuel Beckett non si può mai sapere. Cascano ormai i settant’anni di ‘Aspettando Godot’, tra la pubblicazione, nel 1952, e la prima teatrale del 5 gennaio 1973, ma l’autore che reagì alla notizia del premio Nobel con un semplice ‘che catastrofe!’, non gradirebbe certo celebrazioni per il suo primo capolavoro. L’autore, alla faccia del successivo florilegio di interpretazioni, lo definiva ‘un semplice gioco di simbiosi’ tra i due protagonisti. Casomai Beckett tornerebbe a parlare volentieri dei suoi debiti con quelli che considerava i veri Grandi, primo e più vicino di tutti James Joyce, di cui fu segretario-amico-complice. Lo stesso ‘gioco di simbiosi’ a Parigi tra i due grandi scrittori irlandesi è stato citato come chiave di lettura di ‘En attendant Godot’, e verrebbe da chiedersi se dovremmo riconoscere Joyce e Beckett in Estragon e Vladimir, o piuttosto in Pozzo e Lucky... Sia quel che sia, l’autore dell’Ulisse, quando era ormai cieco e si limitava a dettare, approvava anche i piccoli errori del suo fedelissimo ‘scrivano’ Beckett, come riporta l’episodio singolare di un’interruzione (è anche nel 'Libro degli aneddoti' di Fernando Palazzi, che Oreste Del Buono ripropose per l’editore Vallardi nel 1989): bussano alla porta mentre i due lavorano; il padrone di casa, un po’ seccato, quasi senza interrompersi, mormora un invito secco a entrare; liquidato il malcapitato seccatore, Joyce si fa rileggere da Beckett le ultime frasi che aveva dettato e ci trova un ‘entrate’ che Beckett diligentemente aveva annotato, a metà di una frase in cui non sembrava granché pertinente; dopo un attimo di smarrimento, però, Joyce ammette anche quel verbo nella trascrizione definitiva…
CHE BORDELLO, QUEL COPIONE TEATRALE DI JOYCE
A proposito di entrate, anche le irruzioni di Joyce, come pure di Kafka, nel teatro - di Beckett, e non solo - si vedono, eccome. Jan Kott, che è stato un raffinato critico tra gli anni Sessanta e Settanta, dopo aver lasciato la Polonia comunista ed essere riparato negli Stati Uniti, sosteneva che il ‘teatro-teatrale’ e artistico di regia del primo Novecento ha costruito l’architettura su cui poi è stata la letteratura a innescare, dopo la prima guerra mondiale, le grandi svolte della contemporaneità. Per Kott tutti e i tre i filoni principali del rinnovamento, cioè il teatro dell’assurdo, il teatro della crudeltà e l’happening, ‘fanno parte di una rivoluzione nel dramma che sarebbe stata impensabile con Kafka e Joyce, e non a caso è esattamente lo stesso materiale, dal linguaggio alla trama fino alla situazione, della letteratura post-joyciana e post-kafkiana’. Questo perché il teatro ‘non era stato in grado di separarsi dal diciannovesimo secolo, descriveva e rappresentava ancora’ mentre nel romanzo ‘trama e personaggi cominciavano a dissolversi e gli autori lottavano per trovare situazioni estreme’. Nel suo ‘Diario Teatrale’ (ed. Bulzoni, 1978), Jan Kott, addirittura sentenzia: ‘la notte di Walpurgis dell’Ulisse di Joyce, scritta in forma di dialogo, è a tutti gli effetti il più grande dramma sia del teatro della crudeltà sia del teatro dell’assurdo’. Concordava in qualche modo anche Gianni Celati: quando stava traducendo, nel 2012, l’Ulisse per Einaudi, Celati definì ‘un copione teatrale’ questo quindicesimo episodio del grande romanzo di Joyce, che narra la discesa del protagonista agli inferi del quartiere dei bordelli di Dublino.
GUARDA MAMMA, VANESSA BALLA ANCORA
In questi tempi decisamente più agevoli per le ‘transidentità’ sul palcoscenico, è bene non dimenticare quello che succedeva ancora a metà degli anni Settanta, persino nel cuore della civilissima nostra Europa. Pensiamo a Vanessa Van Durme, cui si deve l’idea di ‘Gardenia’ di Alain Platel, riproposta al Piccolo Strehler di Milano per i 50 anni del Teatro Parenti. Classe 1948, belga di Gand, dopo aver studiato al Conservatorio di Gent, Van Durme ha dovuto interrompere la sua bene avviata carriera teatrale, nel ’75, in seguito alla scelta di andare a Casablanca per sottoporsi a un’operazione chirurgica di cambio del sesso. Ha poi trascorso un ventennio dietro le quinte, per fortuna con grande successo, come autore, sceneggiatore e personaggio radiofonico, fino a che, nel 1999, proprio Platel, insieme con il regista-autore fiammingo Arne Sierens, l’hanno rilanciata in scena come Tosca in ‘Allemaal Indiaan’ (Siamo tutti indiani) al festival d’Avignone. Uno dei cult di Vanessa è stato poi il monologo autobiografico ‘Guarda mamma, sto ballando’, che ha scritto e recitato in quattro lingue, in tutta Europa e in America. Più di recente, per un altro monologo, ‘Avant que j'oublie’, cioè appunto Prima che dimentichi, incentrato sull'Alzheimer, ha ricevuto numerosi premi.
LA CITAZIONE
Per salvare il teatro bisogna distruggere il teatro. Gli attori e le attrici devono tutti morire di peste…Essi rendono l’arte impossibile.
Attribuita nientemeno che all’Attrice italiana per eccellenza, Eleonora Duse, questa celebre citazione viene così riportata da una lettera autografa (vedi la monografia della storica Mirella Schino, ‘Il teatro di Eleonora Duse’, edizioni il Mulino, 1992).
LA NOSTRA DIVINA, MARTIN BUBER E CHARLOT
Si serve di questa citazione della Duse contro gli attori (‘rendono l’arte impossibile’) la studiosa Marcella Scopelliti, nel suo singolare e molto articolato saggio su Martin Buber e il teatro, ‘L’attore di fuoco’ (ed. aAccademia University Press, Mimesis, 2015) per spiegare il quasi paradosso per cui tra i grandi ammiratori e interpreti della Stra-Attrice, che era soprannominata La Divina, non ci furono solo filosofi e studiosi del calibro del grande studioso dell’ebraismo, ma anche i primi e più importanti innovatori del teatro del Novecento, Stanislavsij, Mejerchol’d e Craig, che volevano liberare le scene proprio dall’ingombrante figura ottocentesca dell’Attore, di cui Italia vanta la più celebre tradizione, in fondo ancor oggi viva. Secondo Buber, se il grande attore all’italiana alla Ermete Novelli era abilissimo nella composizione del personaggio, il talento puro alla Duse si esercitava nel processo di preparazione e perciò risultava in grado d’interpretare con lo spirito autentico dell’esperienza ‘vissuta’. Forse tutto si spiega più semplicemente con una battuta di Charlie Chaplin, altro grande fan di Eleonora Duse, che diceva con ammirazione: proprio in virtù della sua capacità di dominare la tecnica di recitazione, la Duse riesce a cessare d’essere tecnica.
Nella foto di Lui Monsaert, i protagonisti di ‘Gardenia - 10 years later’: in alto a destra, con il cappellino e gli occhiali da sole, Vanessa Van Dorme