Sveglia, milanesi! Sarete anche i numeri uno per qualità della vita, ma una bella lezione d'umanità ci vuole
20.11.2024
Il resto è silenzio, certo, ma il Pre no: i mediatori culturali in sala
L’arte contemporanea da anni ha abituato i fruitori delle mostre ad affrontare la complessità delle opere attraverso indicazioni scritte molto articolate e spesso con la presenza di una guida introduttiva in carne ed ossa, che peraltro conferisce anche una sorta d’allure di museificazione preventiva. Dopo aver preso così piede nel mondo dell’arte, il fenomeno dei mediatori culturali è sbarcato a teatro. Persino in una disciplina così ancestrale come la danza, ormai sintonica con l’arte vera e propria - tant’è che da anni si confondono un po’ il piano delle perfomances del teatro-danza e quello dei mille emuli di Marina Abramovic.
Alla prima nazionale di ‘Heres’, il nuovo spettacolo di Ezio Schiavulli, nel teatro Elfo Puccini che ospita la bella rassegna di danza MilanOltre, si poteva gustare addirittura come un ‘sandwich’ a due fette, con il proteico companatico impacchettato tra presentazione e dibattito successivo. Il nuovo lavoro di Schiavulli, un assolo drammatico-mitologico accompagnato dalle percussioni di due batteristi sopra una pedana mobile (vedi la foto in alto di Patrick Lambin) s’intitola compiutamente ‘Heres, nel nome del figlio’, pertanto l’introduzione è stata affidata a una psicologa.
La valentissima guida, forse non volendo ‘spoilerare’ troppo la performance, o forse non avendola ancora vista, ha divulgato in pochi minuti ai presenti, nell’ordine: 1) il ruolo del padre nell’apprendimento del linguaggio verbale, e viceversa della madre per quanto riguarda la corporeità; 2) l’importanza e le difficoltà dell’andare alla ricerca del padre, attivamente, come Telemaco, secondo la lezione di Recalcati (l’originale Massimo, purtroppo, non lo strepitoso ‘psicobanalista’ della versione di Maurizio Crozza…); 3) la fondamentale funzione del padre nel trasmettere il senso della fiducia attraverso il tradimento della stessa, che si legge nell’aneddoto di James Hillman sul figlio che viene invitato dal genitore a buttarsi giù dai gradini di una scala e salvato dalla presa delle braccia di papà per le tre prime prove, ma poi lasciato rovinosamente cadere per terra dopo il salto dal quarto gradino. Sic!
A QUANDO IL CONFERENZIERE SULLE PUNTE?
Per fare i pignoli, Hillman, raccontando l’aneddoto aveva premesso che si tratta di una storiella ebraica, con finale ancor più crudele: “Così impari! Mai fidarti di un ebreo, nemmeno se è tuo padre”, è la lezioncina impartita al pargolo tutto ammaccato e piangente. Ma la mediazione culturale, abbiamo visto anche nel caso di Anselm Kiefer, ha inevitabilmente un tasso più alto di politicamente corretto. Amen.
Nella fattispecie, a proposito di scale e di Scala, quest’edizione di MilanOltre si è connotata anche per il primo ciclo di singolari ‘Conferenze-Danzate’, con esperti del settore affiancati dal vivo da un pugno di ballerini scaligeri (Stefania Ballone e Matteo Gavazzi, accompagnati dai giovani Linda Giubelli e Alessandro Paoloni) per animare un viaggio attraverso le diverse tecniche, estetiche e poetiche della danza e del suo patrimonio storico e culturale. In sovrappiù ci sono state anche presentazioni come quella di Schiavulli, che fanno parte di un programma d’incontri specifico, Dance Circle, promosso dalla rete che ha messo a punto le offerte di una carta sconto per appassionati lombardi e realizzato con la rivista Stratagemmi.
METTI LO PSY-TRASCENDALE NEL PHYSICAL
Saltando morettianamente il dibattito dopo, dobbiamo registrare che il cotè psico-cult era sicuramente comunque appropriato a questo lavoro di Schiavulli, come anche all’altro nuovo spettacolo ‘Jeux de Societe’, appena presentato con la sua compagnia in Francia, dove Schiavulli s’è affermato. Come si legge sul sito “la nuova creazione analizza in modo giocoso e destabilizzante i rapporti all'interno di un gruppo tra attrazione, disinteresse e peso dello sguardo altrui. La creazione si addentra nel cuore dei processi di affiliazione, nella psicologia trascendentale”.
Schiavulli ha fondato nel 2007 la sua compagnia, riunita nell’associazione Expresso Forma, e ha già firmato coreografia e regia di 15 spettacoli, tra cui ‘iMe and myself’ per l’Opera Nazionale del Ballet du Rhin, in Alsazia, un centro coreografico di rilievo. Insegna anche in giro per l’Europa la tecnica contemporanea Physical Movement, che spiega così: ‘Il Physical Movement sperimenta tutte le possibilità del movimento al suolo senza l’impiego di alcuna forza muscolare, un lavoro sul peso dato dalla forza di gravità, sul movimento in spirale dal piano sagittale a quello verticale. Un focus attento sulle posizioni degli appoggi delle mani e dei piedi, i principi del motore del movimento. Un’attenzione alla struttura ossea e muscolare del movimento in dinamica; la scrittura coreografica ne è il filo conduttore, un’evoluzione verso l’improvvisazione’.
Nella foto di Masiar Pasquali, Federica Rosellini in ‘Hamlet’ di Latella
LATELLA, NON C’E’ DUE SENZA PRE (TALK)
Tutti gli artisti, anche nel teatro, provano a spiegare quel che fanno e che vorrebbero far capire. Giustamente le istituzioni di primo piano accompagnano questo sforzo. Il Piccolo Teatro di Milano, per esempio, presenta da anni un ricco calendario di appuntamenti di approfondimento, denominato ‘Oltre la Scena’, in parallelo con il cartellone delle sue tre sale. In questo contesto è arrivato pure un nuovo segnale del dilagare dall’arte del fenomeno delle guide, a contrappunto della scelta di confinare in un più ecologico foglietto con il QR Code i cari vecchi programmi di sala cartacei.
Per la ripresa di ‘Hamlet’ di Antonio Latella (fino a domenica 30 ottobre), per quattro giorni, alle ore 18 di due giovedì e di due venerdì, nella sala del Teatro Studio Melato si tengono i primi ‘Pre-Performance_Talk’, ovvero ‘conversazioni informali tra spettatori e operatori del teatro per confrontarsi intorno ai temi e alla costruzione dello spettacolo’. L’ingresso è gratuito con prenotazione obbligatoria sul sito del Piccolo Teatro. Può usufruirne una pattuglia d’élite di quella che è al massimo l’ottantina di spettatori che poi si accomoderanno sulle gradinate per seguire una delle due parti dell’avvincente kolossal shakespeariano allestito da Antonio ‘Rainer Maria’ Latella.
Certo, è un bell’impegno affrontare un’altra oretta di Talk poco prima di un blocco di questo ‘Hamlet’, considerando che la durata è variabile tra i 210 minuti della prima parte (compreso un intervallo di 20 minuti) e i 125 minuti della seconda parte (compreso un intervallo di 15 minuti). Del resto, nessuno si è spinto a pensare di poter gravare di un Pre-Talk la versione integrale del week-end, che si stende per 6 ore e 35 minuti (con due intervalli e un’ora di pausa). E’ apprezzabile che si stata rispettato il dovere per così dire morale di non aggiungere nulla dopo un “Hamlet”: far seguire un dibattito all’ineffabile battuta della chiusa originale, ‘Il resto è silenzio’, sarebbe quasi un sacrilegio.
AMBIGUO FLUIDO, NERO O BALLERINO?
Sia detto per inciso, avendo visto l’integrale, questo lungo ‘Hamlet’ è un ingaggio che merita, e ha meritato anche dei premi. Con la stessa saggia umiltà che alternava a una sana vanità il suo modello antropologico Fassbinder, Latella si limita a sottolineare di aver usato il testo completo di Shakespeare: “L’originalità di questa proposta sta nel suggerire agli spettatori di provare, non solo a guardare, ma ad ascoltare insieme ogni parola del testo”.
Va aggiunto che in questa terza prova per esteso di un allestimento del capolavoro del teatro, si notano bene l’intelligenza e il talento per lo spettacolo dello stesso Latella, ben aldilà dell’up to date di questa versione ‘fluida’ di Hamlet, affidato a Federica Rosellini.
Come ricorderebbe un bravo mediatore culturale neutrale, l’ambiguità morale del personaggio risaltava perfettamente da varie precedenti e opposte interpretazioni, come per esempio quella, magistralmente sottotono, di Adrian Lester nella versione di Peter Brook, ‘The Tragedy of Hamlet’ o addirittura, più di recente, in quella grottesca dell’Amleto crudele nello spezzone su Ofelia dell’indimenticabile ‘Billy’s Violence’ della Need Company.
Per la cronaca, tornando al Piccolo e alle guide degli spettacoli, in un’accurata presentazione dei video promozionali dello scorso anno, l’accento di Latella e degli interpreti andava sul senso post-pandemico del far risuonare la classica domanda ‘essere o non essere?’
LA CITAZIONE
In verità non voglio dire proprio niente sul mio lavoro
Samuel Beckett
La sera precedente la prima rappresentazione in Germania dell’opera che il compositore Marcel Mihalovici aveva tratto da ‘L’ultimo nastro di Krapp’, (la versione originale tedesca ‘Krapp, oder Das letzte Band’, messa in scena al teatro Städtische Bühnen di Bielefeld, nel febbraio del 1962), Samuel Beckett accetto di presenziare a un dibattito dove parlarono il direttore del Bühnen, il direttore d’orchestra e Mihalovici stesso. Lo fece solo perché si sentiva in dovere con l’amico Mihalovici, notoriamente legato a Beckett da un rapporto stretto, familiare (erano molto amiche le mogli), che il musicista ha tradotto più volte in ispirazione artistica. Alla fine della presentazione Beckett venne invitato a esprimere un suo parere, e più in generale a parlare della sua scrittura. A quel punto “Beckett si alzò in piedi, guardò in giro timidamente, quasi furtivamente e, con calma e fermezza, affermò: ‘In verità non voglio dire proprio niente sul mio lavoro’. Rimessosi bruscamente a sedere, sembrava molto imbarazzato, ma in verità provava un enorme sollievo per essere riuscito a scamparla tanto facilmente”. (Citazione da pag.564 dell’ed. it. Einaudi 2002, a cura di Giancarlo Alfano, di ‘Samuel Beckett. Una vita’, monumentale biografia ufficiale stesa dopo anni di ricerche e cinque mesi d’interviste con l’interessato da James Knowlson, studioso fondatore del Beckett Archive).
Nella foto la copertina di una rara edizione della partitura di Mihalovici su Finale di partita di Beckett, per la collana della rivista Au Menestrel dell’editore musicale francese Huegel&Cie (1961