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I buoni e i cattivi maestri, la giustizia e la passione, gli innocenti e i poveri bimbi di Stalin

Nella foto di Stefano Garella, una scena del Delitto Karamazov al Teatro Out Off con Mario Sala (in piedi) e Antonio Gargiulo

  ‘Ah, quanto Dostoevskij e quanti russi abbiamo visto negli ultimi tempi’ si sente mormorare da un trio di classiche signore spettatrici borghesi milanesi, impegnate nell’escursione di una sera fuori dal mondo del ‘teatro Ztl’ (Scala, Piccolo e Parenti), e sedute sugli spalti che furono ‘un sacco alternativi’ del Teatro Out Off, ad applaudire ‘Il delitto Karamazonv’, in sala fino al 12 febbraio. In effetti, sarà per un curioso esito paradossale delle polemiche anti-russe, fa una certa impressione notare la recente infilata di riprese cechoviane (al Teatro Menotti c’è un nuovo ‘Il Giardino dei Ciliegi’; il Piccolo Teatro ad aprile programma un ‘Gabbiano’, prima parte di un ambizioso progetto Cechov), di opere liriche russe, per non dire, appunto, delle pièce da Fëdor Dostoevskij. Si era appena calato nei panni di Ivan Karamazov un nome da maiuscole in cartellone come Umberto Orsini, prima ancora che tornasse al centro della scena interpretato da Antonio Gargiulo, in questa singolare co-produzione con CTB - Centro Teatrale Bresciano, firmato da un vero esperto di cultura russa come Fausto Malcovati. Per inciso la regia è di Lorenzo Loris dell’Out Off, e il primattore in tamburino è un volto ‘di casa’ come Mario Sala (fa Smerdjakov, vedi oltre), che sempre con Loris aveva già spizzicato dal giacimento Dostoevskij, di recente, ‘Il sogno di un uomo ridicolo’.  

 SE IL PROFESSORE CI PRENDE GUSTO

 Di Fausto Malcovati è presto detto: insegnante di Lingua e Letteratura Russa all’Università di Milano, traduttore e critico teatrale, è considerato uno studioso di altissimo livello. Si è occupato di simbolismo russo, in particolare nelle opere di Vjaceslav Ivanov e di Valerij Brjusov, e della narrativa russa della seconda metà dell’Ottocento, con monografie e saggi dedicati a Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj. Inoltre ha lavorato sugli scritti teorici dei principali maestri della regia (Stanislavskij, Mejerchol’d e Vachtangov) nonché tradotto tutto il teatro di Čechov. Per rendersi conto della caratura cult-teatrale del personaggio, che gli è valsa anche un Premio Speciale Ubu nel 2016, basta compulsare la sua pagina sull’editore specializzato Cue Press, o anche solo ricordare che il Teatro della Scala lo ha convocato per una giornata di studio-presentazione dell’ultimo ‘Boris Gudonov’. Ma qui è d’obbligo notare che, con un eclettismo ammirevole almeno quanto la sua passione di studioso, Malcovati ha deciso di affrontare la scena teatrale in prima persona. Tutto elegante di bianco vestito, l’anno scorso all’Arena del Sole di Bologna, e poi per una breve tournée, introduceva e sottolineava i passaggi chiave del capolavoro di Turgenev ‘Padri e figli’, nel notevole riadattamento che aveva ricavato con Fausto Russo Alesi. In questo suo ‘Delitto Karamazov’, montato come una sorta di processo, di cui Malcovati è il pubblico ministero, si limita a restare semplicemente in un angolo della platea.    

I CATTIVI MAESTRI E L’IMPLOSIONE DELLA FAMIGLIA

Dalla presentazione di Fausto Malcovati: ‘Nell’atmosfera dissoluta di una famiglia “casuale” (è una definizione di Dostoevskij) matura l’idea del parricidio. Perché deve vivere un padre che non sa cosa sia la paternità, che ricorda a malapena il nome dei suoi figli? Vero. D’altra parte, chi ha diritto di decidere sulla vita o la morte di un essere umano? Alla domanda risponde Ivan, il figlio intellettuale, ateo, irriducibile nemico dell’armonia del creato: se Dio permette violenze e torture di esseri innocenti come i bambini, allora davvero “tutto è permesso”, afferma sfrontato. Parole ambigue, avventate, incaute, soprattutto se ascoltate da un personaggio privo di scrupoli come Smerdjakov, figlio illegittimo del perverso padre Karamazov, dunque fratellastro di Ivan. Ivan, il cattivo maestro, instilla in Smerdjakov il bacillo del parricidio: in casa Karamazov l’odio inficia tutti i rapporti, ma è Smerdjakov che traduce in gesto omicida l’intolleranza reciproca di tutti i membri della famiglia. Un gesto di cui Smerdjakov non vuole assumersi la responsabilità: è l’esecutore materiale, ma la responsabilità morale non è sua, è tutta di Ivan, il vero ispiratore della violenza. “Sei tu il vero assassino” gli grida Smerdjakov nell’ultimo incontro e si impicca per non ammettere il delitto. La storia si chiude con un errore giudiziario: viene condannato l’innocente fratello Mitja e Ivan, incapace di difenderlo, affonda nella febbre cerebrale. Lo sfascio è completo. Non c’è pace per i Karamazov. La loro disintegrazione si propaga. Non c’è pace per la Russia’.

 DI RIPELLINO, MEJERCHOL’D E PASTERNAK  

 Il mito di Mejerchol’d e dei maestri della regia del Novecento russo, senza voler nulla togliere alla più che pregiata produzione di Malcovati, ha avuto il suo cantore più straordinario in Angelo Maria Ripellino, nel suo volume sui  intitolato ‘Il trucco e l’anima (Einaudi 1965). Ripellino, riprendendo il titolo del lavoro da un verso di una poesia di Pasternak, scritta nel 1938, spiega anche il singolare rapporto tra i due, durato in pratica fino al giorno in cui il terrore stalinista soffocò del tutto la voce anche di Mejerchol’d (la vicenda ricostruita nel 2021 da Peter Brook con Marcello Magni in uno dei suoi ultimi spettacoli). ‘Sono stato legato a Mejerchol’d dall’ammirazione per il suo talento, dal piacere e dall’onore che mi procuravano le visite a casa sua o la frequentazione dei suoi spettacoli, ma non dal lavoro comune, che tra noi non c’è stato’, dirà, anni dopo, Pasternak. ‘Sia lui sia Majakovskij erano uomini troppo di sinistra e rivoluzionari, e per loro io non ero sufficientemente di sinistra e radicale’. Nel 1939, su richiesta di Mejerchol’d ormai in odore di purghe, Pasternak si dedicò alla traduzione di ‘Amleto’, che il regista voleva portare in scena a Leningrado. Ma il 18 giugno 1939 Mejerchol’d viene arrestato, torturato e infine ucciso; il 15 luglio fu barbaramente assassinata anche sua moglie Zinaida Rajch. 

La citazione

Stalin si commuoveva di fronte alla cerimonia dei bambini vestiti di bianco in parata per qualche grande ricorrenza nazionale. Nessuno trovò mai il coraggio di dirgli in faccia che quella cerimonia era stata inventata da Mejerchol’d.

Jurij Ljubimov (1917-2014), regista e fondatore del ‘Teatro moscovita del dramma e della commedia’ con sede alla Taganka, dal ’64 riconosciuto come il più interessante teatro sperimentale dell’Unione Sovietica (citato in ‘I cinque continenti del teatro’ di E.Barba e N.Savarese, edizioni pagina, 2017).

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