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Cocktail Martini/ La sindrome di Firs e l’abuso dei telefonini, ricette e stroncature

Nella foto di Giulia Di Vitantonio (In teatro festival), una scena de ‘L’Angelo della Storia’ di Sotteraneo 

 A volte, allo spettatore teatrale ‘diversamente maturo’ e molto appassionato, capita di trasognare immaginandosi di fare la fine di Firs (vedi oltre) e di ritrovarsi da solo per sempre in sala, talmente si irrita per le disattenzioni dei più o meno giovani, moltiplicatesi in modo esponenziale da quando il telefono cellulare ha conquistato il posto centrale nella vita di gran parte dell’umanità. Il passo più breve con il vicino in sala che continua a guardare il cellulare, sarebbe proprio di mandarlo a c…Ma bisogna pur considerare che, statisticamente, al mondo ci sono più persone che hanno a disposizione un telefonino di quante possano accedere a un vero e proprio gabinetto collegato all’impianto fognario. Spesso le maschere devono addirittura intervenire per far smettere qualcuno di mandare messaggi, quando vedono magari che si stanno agitando gli spettatori vicini. Meno vistosa ma sempre fastidiosa, la versione più sofisticata del ‘distratto’, ovvero chi tiene lo smart-watch collegato, che s’illumina al polso ogni due per tre… Quest’anno, durante uno degli spettacoli peraltro più avvincenti, ci è capitato di vedere un signore di mezza età rispondere addirittura a una chiamata, alzarsi dalla poltrona mormorando all’interlocutore ‘scusa ma sono a teatro, adesso esco un attimo così possiamo parlare più tranquillamente’, e prendere come se niente fosse la prima uscita laterale continuando a parlare indifferente. 

E FACCIAMOLI GIOCARE CON NOI, I TROPPO SMART

Non contribuisce certo a moderare questa pessima abitudine la nuova mania di alcuni teatri, di sostituire il libretto di sala con un volantino contenente il QR-code da inquadrare per leggere la versione elettronica del programma. Ma la trovata più furba vista quest’anno, venuta non a caso da una compagnia della generazione ‘digital-nativa’, come Sotterraneo (premio Ubu per ‘L’angelo della Storia’), è quella di convincere gran parte degli spettatori, quasi all’inizio, a estrarre il cellulare, così che gli stramaledetti strumenti del disturbo siano portati allo scoperto e resi pressoché innocui, invitando tutti a puntare un timer per una data ora, in modo tale che, ormai sul finire, squillino tutte insieme le suonerie… Sull'idea che stratagemmi di questo genere risultino poi ‘educativi’, il dibattito è aperto, tanto quanto sulle reali doti innovative del fortunato 'gruppo di ricerca teatrale' nato a Firenze nel 2005: per esempio, a fronte di tante recensioni positive, Franco Cordelli, illustre letterato e critico di lunga militanza, non ha esitato a stroncare risolutamente, su ‘Il Corriere della Sera’, proprio lo spettacolo che si richiama al titolo del più noto aforisma di Benjamin, concludendo la sua analisi con la sconsolata affermazione: ‘se è questo è l’avanguardia di oggi, povero teatro!’. 

La citazione

FIRS (si avvicina alla porta, prova la maniglia) Chiuso. Se ne sono andati…(siede sul divano). Si sono dimenticati di me…Non fa niente…io resto qui…E Leonid Andreič non si sarà messo la pelliccia, sarà partito con un cappotto…(sospira preoccupato). Io non ho controllato…Ah gioventù scapestrata! (borbotta qualcosa di incomprensibile). La vita è passata, è come se non avessi vissuto…(si corica). Mi sdraio un po’…Non hai più forza, non ti è rimasto proprio niente, niente…Eh, tu…buono a nulla!…(resta sdraiato, immobile).

Si sente un suono lontano, come se venisse dal cielo, il suono di una corda di violino che si spezza, un suono triste, morente. Cade il silenzio, si ode soltanto, in lontananza, la scure che si abbatte sugli alberi.

Protagonista assoluto del celebre finale de ‘Il Giardino dei ciliegi’ (qui presentato nella traduzione di Gian Piero Piretto, ed.Garzanti 1989), è il vecchio maggiordomo Firs, 86enne, ammalato e chiuso per dimenticanza dentro la casa nella tenuta nobiliare appena abbandonata. Mentre immagina Firs e ne descrive la fine straziante in queste poche righe del suo ultimo lavoro, Anton Pavlovič Čechov ha esattamente la metà, 43, degli anni che attribuisce al suo personaggio. La prima rappresentazione de ‘Il Giardino dei ciliegi’ si terrà poi il 17 gennaio del 1904, giorno del 44mo compleanno dell’autore, che morirà pochi mesi dopo, il 2 luglio.

SAN LUCA COME PREDECESSORE DI CECHOV

 In piena ripresa mondiale del Covid e dopo un’ondata influenzale tutt’altro che banale, per distrarsi dall'assillo delle patologie o anche solo per vincere il tedio, nelle sale d'attesa, quando si frequentano dottori, fermatevi un attimo a pensare all'incredibile teoria di medici-scrittori. Qualcuno indica come primo esempio celebre di questo genere, addirittura, l'evangelista Luca, autore anche degli Atti degli Apostoli; a supporto si citano La lettera ai Colossesi 4, 14 ("Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema") e altre occorrenze in San Paolo, anche se non vi sono certezze sulle attribuzioni dei testi. E' stato soprattutto nel mondo moderno, che i medici ci hanno lasciato in eredità straordinarie storie di cui appassionarsi. Primo tra tutti (erano dottori Bulgakov, Céline, Conan Doyle, Cronin, Carlo Levi, Philiph Roth, Schnitzler, Williams Carlos Williams…) proprio Čechov, che non solo ha teorizzato la sua doppia vita fin dall'inizio (“oltre alla medicina, la moglie legittima, ho un'amante, la letteratura”) ma ha anche sempre mostrato di preferire il mestiere del dottore: “la medicina è una cosa seria, e la letteratura, che è un gioco, vanno esercitate con cognomi diversi”, scriveva quando ancora si firmava A. Čechontè. Persino dopo i primi successi a teatro, continuava a visitare i suoi pazienti nel ritiro della villa a Melichovo: "Scrivere mi è venuto in odio e non so che fare. M'occuperei volentieri di medicina, accetterei un posto qualsiasi, ma mi manca ormai l'agilità fisica". 

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