" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Mettere in scena l’arte o svelarla alla Beckett?


 Con un ricco programma di spettacoli e iniziative, a Milano dal 18 ottobre al 6 novembre va di nuovo in scena, nel Teatro Out Off e in altri spazi, il Danae Festival, un appuntamento che si pone come ‘spregiudicato e trasversale, internazionale e multidisciplinare’, e che si gioca anche su singolari rivisitazioni come quelle di Ola Maciejewska sul Dancing Dress, l’abito-scenografia inventato da Loïe Fuller, o della compagnia tradito/rendina sulla Sonja cechoviana di Zio Vanja, per citare solo i primi appuntamenti (vedi il programma completo). Alessandra Cristiani, danzatrice e coreografa della compagnia Habillé d’Eau, propone addirittura una trilogia ispirata a grandi artisti: ‘Corpus Delicti’ da Egon Schiele, ‘Nucleo’ da Francis Bacon e ‘Naturans’ da Auguste Rodin. I riferimenti sono molto conosciuti e i temi sono il valore della corporeità e l’incidenza del corpo nelle arti performative, prendendo ispirazione da tre grandi personalità definite nella presentazione ‘autori irriducibili che hanno messo in crisi e rivoluzionato il segno iconografico seguendo necessità e desideri intimi e personali’. Una sfida insolita, davvero (mai quanto, sia detto per inciso, ‘Frame’ dai quadri di David Hopper, regia di Alessandro Serra, produzione coraggiosa di Teatro Koreja, nel 2017).

 

 Nelle foto di Alberto Canu, sopra il titolo, Alessandra Cristiani in ‘Corpus Delicti’ da Schiele e, a seguire, in ‘Naturans’  da Rodin



 METTI UN VIANDANTE NEL MARE DI GODOT

 “Non succede niente, non viene nessuno, nessuno se ne va, è terribile”: il refrain più noto dello stracitato ‘Aspettando Godot’ non avrebbe nessuna parentela con la visione dell’assurdo dei Sartre, dei Camus e degli esistenzialisti francesi e vari, sempre richiamati dagli storici e dai catalogatori come fonti d’ispirazione di un pugno di autori che furono post-teatrali ante litteram. Samuel Beckett non ha mai nascosto che il suo riferimento era stato addirittura un pensiero di Sant’Agostino sulla scena della crocifissione: “Dei due ladroni uno si converte, perché non abbiate a disperarvi; ma egli è solo perché non abbiate a presumere”. Sia quel che sia, ’Aspettando Godot’ è l’opera forse più famosa del teatro contemporaneo, eppure sono rimaste pressoché sconosciute ai più le suggestioni di alcune opere d’arte che hanno mosso Beckett a costruire in quel modo la scena del suo primo capolavoro, scritto fra la fine del 1948 e l’inizio del ’49. In particolare due quadri molto simili di Caspar David Friedrich, ‘Due uomini che osservano la luna’, 1819 e ‘Uomo e donna che osservano la luna’, 1824; il grande pittore romantico tedesco conosciuto per l’ormai iconografico 'Viandante nel mare di nebbia’, fu scoperto da Beckett dopo un viaggio a Dresda nel 1937; la scena di Godot s'ispira anche ad altre due opere analoghe di Jack Yeats (fratello del poeta e drammaturgo William Butler Yeats, nonché amico di Beckett) ‘I due viaggiatori’ e ‘Uomini di pianura’, che quasi sicuramente lo scrittore ha visto nello studio dell’artista durante uno dei suoi ritorni a casa in Irlanda, nel dopoguerra. 

 

 L’EREDITA’ DI SYNGE E DELLE CONTESTAZIONI

 W. B. Yeats era stato figura di punta anche nell’Abbey Theatre di Dublino, con Lady Augusta Gregory e John Millington Synge, il cantore dei vagabondi irlandesi verso cui Beckett ammetteva di avere un gran debito, anche per quanto riguarda gli ‘assurdi’ dialoghi di Estragone, Vladimiro, Pozzo e Lucky. La stessa fortuna di ‘En attendant Godot’ ha avuto qualcosa di parallelo al caso del ‘Furfantello dell’Ovest’ di Synge (titolo originale: ‘The Playboy of the Western World’), opera del 1908 così poco conformista da suscitare la riprovazione dei nazionalisti irlandesi e della chiesa, al punto che dovette intervenire lo stesso Yeats a calmare gli animi degli attivisti di Sinn Féin che protestavano in platea. Il primo lavoro di Beckett, dopo una trentina di repliche con buone recensioni ma scarsa affluenza di pubblico, era di fatto già a rischio di chiusura, anche per la scarsità di fondi originari, quando subì una clamorosa contestazione a scena aperta da parte di una ventina di spettatori, furibondi perché, appunto, non succedeva niente, e non si capiva nemmeno bene quale fosse il confine tra il clownesco e il drammatico. Uno dei contestatori, il 2 febbraio del 1953, scrisse pure una lettera piena d’improperi pubblicata da ‘Le Monde’ . Qualche giorno dopo lo scandalo, nel piccolo Théâtre de Babylone di Roger Blin, in Boulevard Raspail a Parigi, dove ‘En attendant Godot’ era in cartellone, dovettero allestire in fretta e furia un nuovo botteghino per tener dietro alle richieste di biglietti. E alle Edithions de Minuit, che avevano anticipato i soldi per lo spettacolo in cambio dei diritti dell’opera di Beckett, cominciarono a piovere le richieste di traduzione e di produzione da mezzo mondo (vedi James Knowlson ‘Samuel Beckett. Una vita’, pp. 444 e ss dell’ed. it. Einaudi 2002, a cura di Giancarlo Alfano).


LA CITAZIONE

Nemmeno in quest’ultimo spettacolo ho lasciato tornare sul palcoscenico gli attori per gli applausi, sarebbe stata un’offesa. Se gli attori ritornano in palcoscenico per fare un inchino, rivelano che tutto quello a cui si è assistito è una finzione. Il teatro è realtà, assolutamente assoluta.

 Eugenio Barba, che sta concludendo la sua straordinaria carriera di autore e regista con ‘Tebe ai tempi della febbre gialla’ (dove la febbre è la mania per il giallo chimico che esplose tra i pittori a fine Ottocento), in occasione dell’ultima rappresentazione italiana a Lecce, al teatro Koreja, ha ribadito che nemmeno questa volta avrebbe ripudiato la sua scelta di chiudere gli spettacoli senza rientro in scena degli artisti (dall’intervista di Barba con Sandro Cappelletto per ‘Avvenire’ 1.10.2022).


ARTE E ARCHEOLOGIA DELLA TENEREZZA

 Sarà per l’indomita tensione tra arte e palcoscenico che La Collection Lambert, interessante polo museale di arte contemporanea ad Avignone, la città del festival e dei teatri, ha deciso di presentarsi ai visitatori per alcuni mesi con ‘Il nostro museo, una collezione sentimentale’ (fino al 29 gennaio 2023) mettendo a confronto le opere di maggior richiamo scelte dai curatori con oggetti vari donati da persone qualunque, compresi un folto gruppo di uomini e donne che vivono in condizioni precarie e sono assistite nelle varie strutture della città provenzale, che hanno risposto a uno specifico appello, costruendo un percorso parallelo di ‘archeologia della tenerezza’. Ha fatto da perfetto pendant per alcune settimane la personale di Ann Veronica Jansen che prendeva spunto da un frammento ‘partigiano’ di René Char: “Comment montrer, sans les trahir, les choses simples dessinées entre le crépuscule et le ciel?”, ovvero come mostrare, senza tradirle, le cose semplici disegnate tra il crepuscolo e il cielo? (‘In virtù della vita ostinata, nel ciclo del Tempo artista, tra la morte e la bellezza’ rispondeva il grande poeta, alla fine dello stesso appunto, ricostruito successivamente, dal momento che l’originale fu strappato insieme con altri frammenti scritti durante la Resistenza e distrutti per paura che finissero nelle mani dei collaborazionisti o dei nazisti).

Nella foto sopra, una delle stanze della mostra ‘entre le crépuscule et le ciel’ di Ann Veronica Jansen a La Collection Lambert di Avignone: l’artista belga sarà protagonista di una personale a Milano, Pirelli Hangar Bicocca, dal 6 aprile 2023



Ultimi Articoli