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Altro che il male del neo-populismo, Angelica Liddell prende a schiaffi i moralisti con ‘La Caridad’

Un momento de ‘La Caridad’ di Angelica Liddell.

 Al teatro Elfo Puccini di Milano, per le repliche di ‘Riccardo III’ con Paolo Pierobon, nonostante la sala Shakespeare sia così grande da contenere mezzo migliaia di spettatori per volta, si trovano giusto ormai gli ultimi posti in alto, verso l’uscita, poltrone intorno al 30 fila U, per il 1 o il 2 aprile. Del resto questa produzione di un certo rilievo, del Teatro Stabile di Torino con Bolzano ed Emilia Romagna Teatro, ruota attorno a un nome di grande richiamo, come Pierobon appunto, che è pure milanese di formazione teatrale.

Lo si vede persino nello sguardo affettuoso e compiaciuto con cui nell’intervallo scende in sala Elio De Capitani, a dare un’occhiata alle reazioni del pubblico per quel mostro di bravura che è diventato il ‘suo’ attore di vent’anni fa: Pierobon, prima dell'affermazione con Luca Ronconi, si è fatto conoscere vincendo il premio come miglior attore emergente, nel lontano 2003, quando era doppiamente impegnato a Milano, nello spettacolo sul caso Pinelli dal testo di Dario Fo, firmato dai due fondatori dell’Elfo Bruni e De Capitani, nonché in un ‘Finale di partita’ da Beckett di Lorenzo Loris (all’Out Off). Questo, peraltro, i tanti ragazzi in platea non possono certo saperlo.

E bisogna pure registrare, di nuovo, la buona notizia che un altro teatro milanese, l’Elfo, arrivato al significativo giro di boa dei 50 anni, accoglie un pubblico folto e non solo di tradizionali appassionati del teatro, boomers o giù di lì, anzi addirittura su da lì.

La stessa trasposizione attualizzata nel nostro mondo post-populista di questo ‘Riccardo III’ può irritare i palati cult, e in effetti ha suscitato anche critiche negative, ma tutto sommato diverte e intrattiene il pubblico più giovane. Sembrano persino entusiasti, poi, i protagonisti del variegato mondo dello spettacolo milanese intravisti in platea, da un volto noto di Radio DeeJay e della tv a diversi attori meno conosciuti.

Tra i gruppetti di ragazzi che sciamano verso casa intorno alla mezzanotte, in ogni caso, le preoccupazioni più urgenti sembrano quelle relative ai genitori che li aspettano fuori con l’automobile, ai compiti per la scuola dell’indomani, all’amica che chissà perché s’è addormentata durante il secondo atto.

L’effetto ‘pugno nella stomaco’ che la firma dell’innovativa regista ungherese Kriszta Székely suggeriva sulla carta, rischia d’essersi forse un po’ già perso per strada, ma era abbastanza prevedibile: l’attualizzazione deve fare i conti in prima battuta con quest’epoca di grandi indifferenze, in secondo luogo con la storia effettiva del mondo reale, che s’incarica ogni giorno di spostare i riferimenti da una parte o dall’altra, con il rischio di far confondere le figure sullo sfondo, che in questo Riccardo III d’inizio 2023 potrebbero essere un Orban o qualcun altro leader neo-populista, e - perché no? - persino Zelensky o, addirittura, visto il finale, una Meloni di chissà dove…

E poi, diciamo la verità: un attore che si chiama Pierobon - seppur Paolo (Paulus=piccolo), e forse solo perché era già occupato il nome Massimo che invece meriterebbe (sia come superlativo, sia come erede del primo grande esempio di attore ronconiano, Massimo Popolizio) -, sovrasta talmente tutto e tutti, con il copione di un classico da capogiro, già alla prima uscita sul proscenio, quando butta lì claudicando ‘Ora, l’inverno del nostro contento s’è trasformato in un’estate sfolgorante’, fino al momento in cui, crollato a terra reclamando ’Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo’, si porta subito via anche le impronte della Székely, l’uso delle telecamere e degli schermi, i passaggi da vaudeville alla Sorrentino, i suoi compagni di scena e così via.

Vedremo alle prossime tappe, dall’Alto Adige a Roma, dove sarà in cartellone al Quirino dal 16 maggio, se e quanto subirà degli aggiustamenti registici questo Pierobon-supershow così ben rodato a Torino e a Milano, con tanti applausi e le grandi sale piene.

Krista Székely in palcoscenico con Paolo Pierobon durante le prove di ‘Riccardo III’

 FA SCANDALO LA CARIDAD DI (EV)ANGELICA LIDDELL

 A proposito della forza dirompente della rappresentazione teatrale, capace di scandalizzare e dividere, soprattutto quando mette in scena il male, all’Arena del Sole di Bologna il 15 e il 16 aprile, in prima italiana e per ora nelle uniche due date, farà discutere sicuramente il nuovo spettacolo di Angélica Liddell, ‘Caridad. Una aproximación a la pena de muerte dividida en 9 capítulos’ (Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli): testo, scene, costumi e regia della stessa Liddell, che figura anche nel cast come attrice, insieme con un campione di scherma paraolimpica, un coro di laringoctomizzati e via elencando, tanto per far capire fin dai titoli di testa l’avvertenza che lo spettacolo non solo esplicitamente è ‘consigliato a un pubblico adulto o a minori accompagnati’ ma, sottinteso, è per spettatori non troppo sensibili alle immagini forti e a quei temi delicati che adesso, con un orribile aggettivo, i ben parlanti qualificano come ‘divisivi’.

Stavolta Angélica Liddell attinge ai Vangeli e alla tradizione cristiana per mettere in discussione il senso comune di moralità e di giustizia: ‘la vera carità non può essere immorale, poiché redime il ladro, lo stupratore e l’assassino. Il suo latte non nutre i bambini, ma i vecchi. La carità è la più conflittuale delle virtù teologali. La carità, infatti, ci pone dinanzi a un conflitto morale: amare oltre la legge. Amare il criminale. Proprio come l’arte’. Catalana di Figueres, Girona, conosciuta e premiata in tutto il mondo per il suo teatro-choc, Angélica Liddell in Italia è di casa nella regione emiliano-romagnola dal 2011, e già nel 2014 ha lavorato a uno spettacolo prodotto dalla stessa Emilia Romagna Teatro (ERT), ‘You are my destiny (Lo stupro di Lucrezia)’. Negli ultimi due anni ha portato sempre all’Arena del Sole di Bologna, prima il suo recente ‘Liebestod – El olor a sangre no se me quita de los ojos – Juan Belmonte’, presentato al Festival d’Avignone del 2021, e ora appunto la coproduzione internazionale ‘Caridad’, presentata al Festival Temporada Alta Girona. Arte e crimine sono per Liddell equiparabili, in quanto provengono da una stessa matrice originaria, l’Irrazionale, e agiscono fuori da ogni legge, nel segno della libertà. 

La citazione

Se accettiamo il fatto della libertà, dobbiamo accettare il fatto dell’arte e del male. Il crimine, l’arte e l’amore rappresentano l’impotenza della ragione. Il crimine e il male vengono legittimati e sublimati in scena non per provocare o destare scandalo, ma per derubare la realtà ed elevarla a mito. Mitificare la pena di morte nella sua connotazione sacrificale genera un conflitto morale di altissimo grado che si compensa con una trasgressione maggiore, la Carità. Allattare l’assassino, porsi al suo posto è ciò che la società non tollera. Ma come faremo quando nessuno morirà per noi, quando l’idea di sacrificio sarà scomparso dalle sentenze e ci rimarrà solo l’idea di condanna, di castigo e di sete. Basta al popolo la condanna perpetua per ottenere la sua purificazione?

Angélica Liddell, dalla presentazione italiana di ‘Caridad’. La collana di libri Linea, edita da ERT con Luca Sossella, ospita due volumi dedicati al lavoro della Liddell: ‘Non devi fare altro che morire nell’arena’ (2022), che contiene il testo di ‘Liebestod’ con due saggi di approfondimento scritti dall’artista; e il nuovo ‘Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli’ (2023), con la traduzioni dei testi curate da Silvia Lavina.
Nella foto a seguire di Bruno Simao, un ritratto di Angelica Liddell

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