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20.11.2024
Con Elektra di Luanda Casella, altro che 'Niger et Albus': a Venezia è l'ora delle sfolgoranti dissacrazioni arcobaleno
Sarebbe bello riuscire a tenere il livello di Luanda Casella e della sua nuova tragicommedia ‘Elektra Unbound’: forse non basta inventarsi una bella ricetta ‘scomposta’, come la sua ripresa di un mito greco, 2mila 500 anni dopo il classico di Eschilo che ne segna la nascita letteraria.
Dunque, altro che recensioni presuntuose o passaparola di chiacchiere, proviamo con il disordine creativo.
In primo battuta, trattandosi di uno spettacolo che per fortuna è arrivato anche in Italia, nell’ambito della Biennale Teatro ‘Niger et albus’, bisogna proprio ripetere: maledizione a Stefano Ricci e Gianni Forte, o ricci/forte del bel tempo che furono un duo con slash!
Questa mania di colorare ogni edizione del Festival internazionale del Teatro, che a tutta prima sembra sempre forzata, alla fin fine si rivela indovinata. Quest'anno, per andare oltre le facili dicotomie del male e del bene come ambizione programmatica, hanno presentato un'offerta ampia eppure con vari nessi, per chi li vuole cogliere, di una coerenza alquanto singolare.
Per esempio, con una potente sequenza arcobaleno a metà festival, è andato in scena questo piccolo miracolo di satira contro i neo-conformismi del presente, la pseudo Elettra queer firmata e interpretata dalla autrice e performer d’origine brasiliana Casella, proprio alla vigilia dell’evento scandalo più annunciato, come si suol dire - che poi scandalo non era -, ‘Phobia’, dello svedese Markus Öhrn con il polacco Karol Radziszewski.
E qui tocca aprire la prima parentesi: la scheda stessa di ‘Phobia’ rilasciata dalla Biennale di Venezia spiega che i due ‘artisti radicali fanno della militanza queer il fulcro del loro spettacolo (…) per denunciare la violenza e gli stereotipi che ancora oggi fioriscono attorno alle minoranze di genere, ma anche la tolleranza apparente, la presunta accettazione, l’ipocrisia di chi si fa sostenitore e strumentalizza le istanze di genere per questioni di marketing e tutte quelle convinzioni più profonde che consideriamo inscalfibili. Umorismo nero, brutalità e punk sono gli elementi chiave di una storia in tre atti che vede sul palco i Fag Fighters, versione queer di una gang urbana ideata da Radzieszewki nel 2007 che ha come segno distintivo dei passamontagna rosa, scontrarsi con esponenti del mondo domestico, economico, culturale…’
Tornando alla Casella di partenza - che si ferma sì molto prima della tirata contro il 'pink-washing' di ‘Phobia’, ma ne è anche in qualche modo consonante, per tematica e linguaggio -, il pretesto narrativo dello sconfinamento dal mito di ‘Elektra Unbound’ è la messa in scena di una sorta di audizione, stile talent-show televisivo, per un nuovo spettacolo neofemminista a tema.
In realtà, la nuova pseudo Elettra resta sulla sfondo, e viene accennata da un improbabile Coro di scritte digitali musicate, stile ‘educational’ da social-media, per lasciare spazio al racconto del delirio narcisistico-sadico della regista, del suo assistente e delle tre aspiranti protagoniste.
E il bello è tutto qui.
La stessa Luanda, con una fisicità impressionante da atleta afro-latinoamericano, è la protagonista principale: interpreta un’orrenda ma consapevole personalità disturbata di artista o aspirante tale, Lua, definita nella scheda ‘late-bloomer director’ (regista di vocazione adulta).
E lo fa spudoratamente, fin dall'inizio, quando a un certo punto s’avvicina al proscenio e si cala le mutandine di pizzo rosso sotto alla minigonna per riempire il campione delle urine di un controllo antidroga, flaconcino che viene servilmente allungato lì sotto dalla mano dell’assistente tuttofare…
Seconda parentesi: 47 anni portati divinamente, musicista, scrittrice, studiosa e insegnante di narrazioni contemporanee, Luanda si è trasferita in Belgio nel 2006, dove è docente all'accademia delle belle arti KASK, è artista residente al deSingel di Anversa, e fa parte pure della prestigiosa dozzina di associati dell’NTGent.
Per inventare la sua Elektra la Casella dichiara di aver seguito, con particolare attenzione alla critica dell’idolatria contemporanea del ‘genio creatore’, le teorie de-costruzioniste esposte nella ‘Psicopolitica’ di Byung-Chul Han.
(A questo punto si dovrebbe aprire un file a parte sull’importanza oggi anche per il teatro degli scritti di questo filosofo d’origine coreana che insegna a Berlino, edito in Italia da Nottetempo. La sua riproposta del concetto cinese di 'Shanzhai', il falso vero, è stata la base dichiarata di lavoro, per esempio, di Łukasz Twarkowski per scrivere lo straordinario ‘Rohtko’).
A Gent - o Gand, in francese, che dir si voglia, centro universitario e culturale fiammingo d’eccellenza - il regista e autore d’origine svizzera Milo Rau ha appena concluso il suo significativo periodo di sei anni alla direzione artistica del Teatro nazionale. E ha varato come ultimo progetto un grandioso ‘All Greeks festival’, 8 settimane di spettacoli gratuiti, allestiti all’alba in diverse zone della città di Gent/Gand, con una cinquantina di artisti coinvolti, per riproporre tutte le storie relative alle 32 tragedie del teatro classico greco che ci sono pervenute.
E così è nato anche ‘Elektra unbound’.
In scena, accanto a Luanda-Lua, entra subito Lucius, strepitosa caricatura, sempre in simil pigiama di seta bluette, di un assistente e braccio destro della regista-artista che sta facendo i provini per una nuova Elettra.
Lucius al secolo è Lucius Romeo-Fromm, che da oltre 30 anni è ballerino e coreografo affermato in Belgio, insegnante di pilates e appassionato di natura, che fa parte della compagnia di artisti dell’NTGent e ha già lavorato con la Casella dietro le quinte del precedente spettacolo.
In scena con Lua, Lucius si esibisce in una tale caricatura del gay cattivo che in Italia forse nessuno oserebbe più rappresentare, e che si può definire politicamente scorretta in modo aperto e sfrontato. Ma non è finita.
La prima disgraziata che si presenta al talent Elektra di fronte a Lua e Lucius è Abigail, la classica oca che sogna di diventare una diva, ossessionata dal cibo e dall’aspetto fisico, figlia di una mamma disfunzionale che le preferisce la sorella bionda.
A calarsi sorprendentemente in questi panni, con grinta encomiabile in questo sapersi ‘buttar via’, è l’attrice Abigail Gypens, da poco entrata a far parte della famiglia di NTGent: classe 2000, nella scheda del teatro si presenta orgogliosamente ‘she/she’ dichiarando la militanza attiva nel collettivo femminista intersezionale Magdalena.
La seconda aspirante nuova Elektra è Emma (ovvero Emma van Ammel, classe ’96, attrice e performer che fa anche l’insegnante a Turnhout), una ragazzina ricca e viziata da una madre che disprezza per aver assecondato ogni suo capriccio e ancor più per averli copiati nell’ambito della sua attività di artista-attivista.
Cercando costantemente di superare la madre, che sembra una sorta di Marina Abramovic, Emma si è costruita un’identità fatta interamente di citazioni rubate, esattamente come la madre ha provato a fare con le stesse frivolezze che ha rubato alla figlia…
Un ruolo chiave ha poi Bavo, al secolo Bavo Buys: vale il prezzo del biglietto anche solo per la strepitosa scenetta da autentico musical che interpreta.
NtGent lo presenta così: Bavo Buys (°1998, they/them) è un attore e creatore di teatro che combina fisicità ad agilità linguistica, in inglese e in fiammingo, laureando in Drama al KASK & Conservatory School of Arts (dove insegna anche Luanda Casella), militante nel collettivo d’intervento musicale The Miserabeln.
Il personaggio di Bavo non rappresenta solo il/la figlio/a ‘gender fluid’ ma a un certo punto prende la scena come protagonista. E, con il suo numero, segnala di fatto al pubblico quanto ‘Elektra Unbound’ si voglia collocare perfettamente all’intreccio di vari generi dello spettacolo, costruendo intorno al testo tragicomico una narrazione sia musicale (alla cui creazione ha lavorato Pablo Casella, il musicista di casa, adottato anche da Milo Rau per il recente ‘Antigone in Amazzonia’) sia attraverso i movimenti, coreografati da Lucius Romeo-Fromm, dei vari protagonisti.
Tutto questo spettacolo di spettacoli, nonostante sia un allestimento che vuole praticare fino in fondo il teatro leggero, da manifesto di Gent del primo Rau, con pochissimi elementi scenici e la rinuncia dichiarata al solito armamentario di apparati.
Di ‘Elektra Unbound’ hanno scritto con entusiasmo per ora soprattutto i giornali belgi, la tournée in Germania e in Olanda è prevista per il prossimo autunno.
Lo ha addirittura esaltato uno dei più inconsueti blog che seguono in particolare il teatro legato alle attività di Rau, ‘lost drammaturgin international’ di Lily Climenhaga, che si presenta come un’aspirante-disperata drammaturga d'origine canadese che sogna di lavorare nel teatro tedesco.
Il vivace ‘Lily lost' blog spiega dettagliatamente tutti i passaggi del nuovo spettacolo della Casella e dopo una lunga analisi conclude: ‘Elektra Unbound è una produzione eccezionale, che affronta quelle che nel 2024 potrebbero essere definite le carenze del testo originale di Sofocle, o dei suoi possibili adattamenti.
Elektra - un personaggio isterico e poco attivo, le cui caratteristiche sono il risentimento paralizzante nei confronti della madre e il lutto infinito per il padre - è servita (insieme alla madre innaturale, femme fatal, Cliteminnestra) come prototipo per i personaggi femminili che sono ancora visibili nel teatro, nel cinema e nella cultura pop.
La nuova produzione di Luanda Casella critica anche una forma di teatro e di arte che sfrutta i traumi, richiede ‘autenticità’ (cioè crudezza emotiva) nelle performance e una cultura che ama vedere le star combattere e autodistruggersi.
È anche uno spettacolo immensamente divertente e spiritoso - e il teatro dovrebbe essere divertente e avere senso dell'umorismo, anche quando tratta argomenti politici’.
A queste belle e sante parole resta da aggiungere che il teatro di Luanda Casella prende per la gola lo spettatore appassionato e lo richiama a cercare nel sotto-testo gli spunti, i riferimenti e le idee per acquisire una sempre maggiore consapevolezza.
Sembra un teatro leggero, ovvero si presenta come tale, ma alla fine vuole mettere in discussione le fondamenta stesse di tanta cultura contemporanea, e in primis del cosiddetto teatro post-drammatico e di un suo celeberrimo ‘fu-guru’ belga…
P.S.: Rendiamo grazie alla Biennale Teatro che ha portato in Italia finalmente anche Luanda Casella e che ha messo a disposizione la traduzione italiana di un testo da cui merita di essere ritagliato in particolare il monologo di autocoscienza della protagonista.
'QUEL CANE DI MERDA': MONOLOGO DI LUA
(DA 'ELEKTRA UNBOUND' DI LUANDA CASELLA)
Lua: Maledizione! Ho appena ucciso un cane.
Una palla di pelo che inseguiva un’anatra proprio davanti alla mia bici. Sono quasi caduta dal ponte. Ho frenato, mi sono sbucciata le ginocchia sui freni, e poi ho lanciato a terra la bici e ho iniziato a prendere a calci la creatura insopportabile che mi ha tagliato la strada... sporco cane rugoso coi ciuffi di pelo messi lì a caso che solo una madre può amare.
Perché la gente si prende degli animali? La vita non è già abbastanza intollerabile? Non c'è abbastanza sofferenza attorno a noi? Rispondimi! Che tipo di persona ha bisogno di un essere irrazionale con gli occhi sporgenti e un cazzo fuori controllo che la ami incondizionatamente? E quelle zampette…Guardami, sono un inutile ricettacolo di pulci e zecche con un’espressione subdola che non significa nulla! Come faccio a vivere io se mi trovo sempre un idiota davanti? Io sono una visionaria!
Coro (sullo schermo): Lua. Giunta alla fama solo in tarda età. Pratica quotidianamente una tradizione familiare di ansia precisa e codificata. Soffre del ‘complesso di Cassandra’. Ossessivo-compulsiva riguardo al futuro e timorosa di essere un genio incompreso.
Lua: Questa rabbia che mi domina! Questa passione odiosa che mi guida, un impulso selvaggio di dolore che infuria con una lussuria disumana per braccia, sangue e tortura! Incurante di sé stesso, affamato di vendetta. Le altre persone mi feriscono quotidianamente.
Dio! Dammi una pillola per dimenticare quanto siamo miserabili. Adorare lo spettacolo, feticizzare
gli oggetti sbagliati, glorificare il linguaggio del delirio, negare che i nostri comportamenti più profondi siano malati.
Ho delle visioni. Vedo la mia stessa morte. Soffocamento, avvelenamento, accuse…la mia rovina! “Cosa?” Ho chiesto.
“Morte, stai parlando con me?” E ho sentito…la prova.
Sta arrivando. “Uccidimi!” Ho detto. “Fammi cadere a terra con l’anima calda, il cervello in fiamme!” Ho bisogno degli angeli! Sono stata all’inferno per troppi anni.
Coro (sullo schermo): Mi piace pensarti come una Cassandra,
Lua. Colpita da una profezia auto-avverante,
nutrita dal tuo pessimismo.
Lua: Ho sempre sentito un senso di inadeguatezza in quello che faccio, e nel modo in cui lo faccio, la paura di essere inadeguata. Ho pensato che l’unico rimedio per la mia ansia perenne, l’obiettivo più alto, l’attività metafisica che potevo svolgere in questa vita, fosse l’arte.
L’arte! Dolce salvatrice del mio cuore febbricitante, della mia mente ossessiva. L’arte!
Il mio modo di evitare la vita.
Non è il teatro è l’unico luogo dove non posso ingannare me stessa? Dove posso riempire la mia vita di bugie, e la mia miseria diventa quasi piacevole? Ma come punizione per questa rivelazione sono afflitta da un desiderio compulsivo di inventare storie. Provo piacere nel mentire, non fraintendetemi. Ma anche… un’innocenza.
E questo mi fa impazzire! La vita non ha stile! E dove non si trova dell’astrazione, non resta altro che
’contenuto’, ‘moralità’, ‘tragedia’. Questa opera potrebbe essere la fine della mia carriera. Ma mi sono innamorata di Elettra.
Lei non soffre, lei è IL dolore.
E sono certa che questa ragazza voglia solo il potere. “Ho una visione”. E per ‘visione’ non intendo il misticismo del trascendere il mondo fisico. Parlo di quella situazione che gli artisti conoscono intimamente ma non vogliono ammettere: la tragedia del nostro mestiere. Il dolore umano è la nostra moneta.
L’arte trascendente è un’arte che accetta che non vogliamo altro che il potere.
Il potere di mentire.
Il potere di manipolare. Il potere di indagare il mondo con sospetto, e distanziarci dai desideri squallidi
che riconosciamo negli altri.
Il mondo è un posto terribile.
E la mia visione è questa: l’opera d’arte è più grande di me, di voi, della vita stessa. L’arte è sempre stata più grande della morte! E allora vieni a prendermi, Morte! Sono consapevole adesso, non affermo
più di essere senza contraddizioni.
Ora capisco che il mio demone non è il desiderio né il bisogno, ma la perfezione. Puoi darmi qualsiasi cosa: salute, amore, riparo, ma io sono, e resterò, infelice.
Perché il demone attende paziente. E il problema con la perfezione è che è come la morte, minacciosa e stimolante.
Spingiamole al limite, e diamo al demone ciò che vuole!
E poi sarò quasi felice quanto lo possono essere i demoni.
E possa quel cane di merda…bruciare all’inferno.