" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Cronache da Santarcangelo/2 Queereoke e Marina Otero

Nella foto di Nicola Cavallotti, Marina Otero in 'love me' a Santarcangelo Festival 2022

È estate, e al teatro devo far conciliare il divertimento, sul profilo Instagram di Santarcangelo vedo frames di gente far della gran festa, da Imbosco, il dopofestival. L’appuntamento è al Parco Cappuccini, una lunga distesa verde, a pochi minuti a piedi dal centro, allestita a regola d'arte. Il  programma di Imbosco vede esibirsi dj italiani e internazionali ma anche compagnie come “Queereoke”, un collettivo LGBTQ di Colonia tra performance e  party, che con una lista di duecento canzoni iconiche degli ultimi decenni ha dato in mano il microfono a tutti, e che per combinazione fortuita ha fatto salire sul  palco personaggi capaci di gestire il proprio ruolo e farsi gestire da esso. Con grande slancio emozionale e genuino hanno fatto ballare chiunque. Ma non è stata la mia volta. 

La serata del giorno dopo si apre con “Love Me” di Marina Otero e Martin Flores Càrdenas. Stavolta lo spettacolo si tiene nel cortile di una scuola elementare, in quanto questo festival sfrutta ogni identità di spazio fruibile nei paraggi. Nel foyer a cielo aperto della scuola c’è un sacco di persone ad aspettare, e nell’attesa protesa al quarto d’ora accendo una sigaretta da fumare con l’inerzia di chi attende. 

Sul palco solo una sedia, Marina e una linea di testo proiettata dove scorrono le  parole che lei non riesce a dire. Tutto è spiazzante, la dinamica di ascolto, la crudezza di linguaggio che non mi sarei aspettato, la mia disposizione tesa in una strattona attesa ed aspettativa che qualcosa succeda. È una storia personale, in cui il legame emozione-ruolo tratteggia con punta spessa le difficoltà che si possono incontrare nella vita, ma che l’artista con grazia sovversiva, fantasia e  distacco riesce a rovesciare animando un episodio di vita reale e casini esistenziali.

Uno spettacolo che nei primi momenti è teso ad avere molta cura di sé, di grande forza accentratrice celata nel silenzio totale. Il finale si emargina dal racconto  stesso seguendo passi di danza schizofrenici, improvvisati ed accidentati su un  pezzo degli Intoxicados, gruppo rock psichedelico argentino cui il frontman, come Marina tiene a specificare, ha commesso un omicidio qualche anno fa. 

Vista la fertilità dell’happening, anche sabato sono tornato a ballare da Imbosco, e dopo tre giorni da frequentatore nel micro-mondo del festival e di incidenti negli stessi volti gaudenti nel ring da ballo, me ne torno a casa felice del weekend.

Il festival oltre a rispettare l’importanza, la qualità, e la coscienza della recita al quale viene associato, è un momento di riflessione e un occasione per evidenziare il fatto, senza retoriche romantiche sulla gentrificazione, in grado di saper cogliere un momento interno, portarlo fuori attraverso una forma, un modo di essere e che ciò non implica nessuno spazio fisico, ma solo la presenza personale. Non da meno, la kermesse di un piccolo borgo romagnolo che si trasforma in hyper-city internazionale per dieci giorni.

Edoardo Marabini (edoardo@salotto.studio)

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