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Sulla giostra barocca con Pensotti per vedere gli inganni del passato che ritornano al presente: 'La Obra' e la realtà

'La Obra' di Mariano Pensotti (foto di scena di Nurith Wagner Strauss)

 Dentro una sorta di fascetta editoriale ‘Presente Indicativo, collezione I Nuovi Maestri’, in ordine cronologico arriverebbe quasi subito ‘La Obra’ di Mariano Pensotti, nel viaggio ideale tra le migliori proposte internazionali andate in scena al Piccolo Teatro, in occasione del bel festival biennale rifiorito ai primi di maggio del 2024. 

  Un interessante incontro con l’autore argentino ha fatto seguito alla prima rappresentazione molto applaudita, sabato 11 maggio, del nuovo spettacolo (nel Teatro Studio Melato, versione ristretta con poche file di platea). E una quarantina di persone, più o meno la metà dei presenti, è rimasta attenta in sala.

Almeno fino a quando, al primo intervento con il microfono aperto al pubblico, una dottissima esegeta s’è impancata a cercare di spiegare il complesso gioco di specchi e di rifrazioni tra la rappresentazione stessa, la realtà della rappresentazione originaria (da cui il titolo, appunto, ‘La Obra’), i punti di vista degli ‘spett-attori’ e del pubblico. 

 Migliore occasione non poteva darsi, per un’intera mezza fila dei presenti, di uscirsene discretamente all’aria aperta. E tirare un bel sospiro di sollievo all’idea di poter tranquillamente digerire lo spettacolo appena apprezzato, senza dover per forza scavare nella composizione gourmet degli ingredienti. 

 Del resto, con questo autore e regista argentino classe 1973, da una decina d’anni ormai talento riconosciuto e frequentato dai festival di mezz’Europa (compreso appunto Presente Indicativo del Piccolo Teatro, che per la seconda volta ha invitato Pensotti a Milano), si entra in un mondo di definizioni e categorie del teatro molto più complesso di quanto invece sia semplicemente efficace e diretto il risultato del suo lavoro visto sulla poltrona dello spettatore appassionato.

 Si dovrebbe partire da lontano, dalla scena argentina del secondo Novecento e dai suoi sviluppi più recenti, con il permanere a livello popolare delle esperienze di ‘teatro comunitario’ e l’affermarsi nel teatro professionale e artistico del ‘bio-drama’, con drammaturgie realistiche basate su storie biografiche e/o microstorie personali, come risposta alla crisi del linguaggio tradizionale e al fenomeno del post-drammatico… Bla, bla, bla, il discorso si farebbe accademico. 

 Detto invece con parole semplici, tratte da un’intervista recente in inglese di Pensotti, sarebbe una vera e propria 'docu-fiction' teatrale, questo suo nuovo gioiellino, ‘La Obra’.

Al Piccolo Teatro, che ha co-prodotto questo lavoro (e pure alla casa editrice Il Saggiatore di Luca Formenton che lo ha pubblicato, insieme con il precedente ‘Gli anni’, nel volume ‘Teatro’ di Mariano Pensotti, a cura di Davide Carnevali), il titolo ‘La Obra’ è stato lasciato tale e quale, forse perché vale in qualche modo come il nostro ‘Lo spettacolo’, nel senso di rappresentazione in generale.

 Leggermente diverse sono state le scelte degli altri co-produttori, in un gioco di rimandi di per sé significativo, che ha visto il capofila Wiener Festwochen scegliere di indicare ‘La Obra’ anche con la traduzione tedesca ‘Das Stück’, il pezzo, tra parentesi accanto all’originale, come ‘The Play’ campeggiava sulle locandine in inglese dell’Epidaurus Festival di Atene.

Viceversa il Festival d’Automne di Parigi che ha presentato 'La Obra' nell'autunno del '23, ha rinunciato ad ogni possibile suggerimento di traduzione, pur disponendo il francese di un termine come la ‘pièce’, che in fondo ci starebbe alla perfezione.

 Come ammette anche lo stesso Pensotti - e stavolta si torna nella sua lingua matrice che non ha quasi bisogno di traduzione - ‘La Obra’ è ‘un proyecto de características barrocas que encuentra las huellas (=le tracce) de la violencia del pasado en el presente’.

Il protagonista è un autore e regista libanese, scappato in Francia per sfuggire alla guerra civile e all’ombra di un padre ingombrante, che nel pieno di una crisi personale e politica (lo pestano durante uno scontro tra neo-nazisti e ‘antifa’ a Lione) parte per Buenos Aires alla ricerca di una possibile storia su cui intessere un possibile nuovo lavoro teatrale. 

 La vicenda originale su cui vuole scavare è quella di un clamoroso inganno consumatosi, dal 1962 al 2005, in una cittadella dell’Argentina centrale, Coronel Sivori, per opera di un sedicente ebreo polacco scampato all’Olocausto, Simon Frank, che ogni anno organizzava una straordinaria rappresentazione della sua Vecchia Varsavia e della sua vicenda personale, coinvolgendo man mano la popolazione locale nella preparazione e nello stesso spettacolo.

Fino al giorno in cui lo stesso Frank è stato arrestato dalla polizia in quanto riconosciuto come ex criminale nazista.

 Cinque testimoni diretti di questa quasi incredibile vicenda originale, già impegnati accanto al finto Frank nell’annuale Obra a Coronel Sivori, tornano in scena per riviverne i principali passaggi, nel contesto di una nuova pièce in cui si specchia pure la vicenda stessa del regista autore libanese che ha svolto la ricerca sullo storico inganno.

A costruire il teatro ‘documental fictionale’ che vediamo poi noi spettatori de ‘La Obra’ di Pensotti, contribuiscono anche le immagini proiettate di un documentario effettivamente girato in loco, tra Buenos Aires e Coronel Sivori. 

 Questa serie appunto ‘barocca’ di rimandi tra realtà e finzione, tra storia e presente, tra false rappresentazioni del vero e vere rappresentazioni del falso, ruota tutto intorno al contenitore teatrale, in senso lato sì, ma soprattutto effettivamente, grazie a un’essenziale scena girevole molto ben allestita da Mariana Tirantte.

Un ruolo chiave lo gioca pure il chitarrista Julián Rodríguez Rona che suona dal vivo e ha collaborato con il responsabile del suono e delle musiche Diego Vainer. Tirantte e Vainer, peraltro, sono i co-fondatori della compagnia di Pansotti, il Grupo Marea, e i primi collaboratori di queste sue costruzioni.

 La giostra narrativa si muove armonicamente e con estrema credibilità anche per via del livello di recitazione molto realista degli interpreti, praticamente tutti di formazione teatrale argentina o sudamericana. Per dire dei giochi di rimando in cui ci si può lasciare trascinare da Pensotti, nel cast con Rami Fadel Khalaf, Alejandra Flechner, Susana Pampin, Horacio Acosta, Pablo Seijo si legge anche il nome di Diego Velázquez.

In questo caso si parla (forse?) di un vero bravo giovane attore nato in Salvador, ma il Diego Velázquez per eccellenza sullo sfondo - quello anche dell’occorrenza immediata su google -, ricorre negli intendimenti dell’autore e regista che afferma di aver cercato di mettere gli spettatori, anche grazie alla scena girevole, sempre nello stesso punto di vista che Velázquez ha imposto a chi guardava i suoi quadri.

A un certo punto c'è persino un gioco di battute, legate alle prime esperienze registiche del protagonista in Libano, con titoli parodia della serie dei classici attualizzati di Milo Rau, da anni riverito maestro in Europa di un teatro documentario che si è tradotto anche in veri e propri 're-enactment' dei classici, come dicono gli snob dei suoi 'Oreste in Mosul' e 'Antigone in Amazzonia'.

 Così, con un mix di raffinatezze e di grande leggerezza, si viene catturati in un’affabulazione che lascia poi emergere alla fine il tema più attuale della mistificazione ideologica della storia e degli esiti disastrosi a cui inevitabilmente prelude. 

 Spesso le ridondanze meta-teatrali rischiano di rendere un po’ sterile il risultato della rappresentazione, ma la bravura di Pensotti sta tutta nel non far cascare mai questa sua Obra, come gli altri suoi lavori, dentro a un sottogenere che sembra ancora molto di moda anche dalle nostre parti e che nel contesto culturale di lingua spagnola (e in questo caso pure nell’Argentina delle tradizionali rappresentazioni popolari e del teatro comunitario) funziona ben diversamente. In ogni caso…

 Dio ci scampi dalle interpretazioni, pensavano gli spettatori che, come abbiamo subito detto, sfuggivano alla chetichella verso la fine del dibattito, al primo intervento esegetico, dopo la rappresentazione milanese de ‘La Obra’.

Ed è esattamente quello che sembra voler suggerire Pensotti a proposito della china menzognera del passato che incombe sul presente: c’è poco da capire quale sia la verità, siamo noi che ce la nascondiamo spesso e volentieri.

Il falso Simon Frank è esistito davvero e in mezzo mondo ci governano dei veri fantasmi di quello stesso passato.

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