" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Diario veneziano, il Leone invisibile

Dettaglio di ‘Shooting corner’ di Anish Kapoor (Venezia, Gallerie dell'Accademia) 

 “Per me l’atto più importante della tragedia è il sesto”, comincia così la poesia ‘Impressioni teatrali’ di Wisława Szymborska: racconta  la commozione che prova mentre intravede e immagina, alla fine, il mondo dei personaggi e degli interpreti che si ricompone dietro le quinte nella quotidiana routine delle vite vere; e conclude: “Ma davvero sublime è il calare del sipario/ e quello che si vede ancora nella bassa fessura:/ ecco, qui una mano si affretta a prendere un fiore,/ là un’altra afferra la spada abbandonata./ Solo allora una terza, invisibile,/ fa il suo dovere/ e mi stringe alla gola”. 

 Questo testo della poetessa polacca chiude idealmente, prima del controfinale, ‘La reprise. Histoire(s) du théâtre (I)’, lo spettacolo di Milo Rau che è stato riproposto venerdì 1 luglio alla Biennale Teatro di Venezia. E di nuovo sabato 2 luglio, l’incanto (che è la chiave della poetica della Szymborska, come ha spiegato il traduttore italiano Pietro Marchesani) si è steso come le notti stellate che sono calate fuori, dal Teatro dell’Arsenale e anche dalle Tese, dopo ‘Triptych’ dei Peeping Tom, capolavoro di teatro-danza che pur ci racconta di un mondo alla deriva e senza speranza.

Con le due mani impegnate a far scrosciare applausi e la terza invisibile che ha fatto il suo dovere, stringendosi alla gola, ai ‘dramaholic’ strafatti di emozioni restava solo un trasognato rimpianto: poter tornare a urlare ‘bravi!’ alla cerimonia di un altro Leone, il terzo, invisibile, per stare alla poesia, ovvero il ‘Platino’ del plus del pubblico, che va a Gabriela Carrizo e Franck Chartier con i loro straordinari ballerini. Senza nulla togliere né all’Oro Jatahy, né all’Argento Elagoz, e neppure all’omaggio a Rau, con un vasto programma, tre film oltre a questo eccellente ‘La Reprise’ che ha segnato, nel 2018, lo spartiacque nella sua carriera.

 E’ morto Peter Brook e non può smentire, ma avrebbe tifato pure lui Peeping Tom, ne siamo sicuri da bravi ‘dramaholic’ ricaduti nel vizio dopo una pomeridiana domenicale dei suoi ‘Frammenti’ di Beckett distillati purissimi. E, forse, un sano ripasso della lezione di Brook sulla virtù della ‘sottrazione’, farebbe bene anche ai ruggenti veneziani di questi giorni e ai lodevoli domatori/direttori di quest’ultima Biennale. In ogni caso, sia chiaro che Rot (è il titolo di questa Biennale Teatro, si sa, ma tocca ripeterlo) ha comunque offerto un pregevole carnet di sfumature.    

 Volendo riaccendere un attimo il cannone di Anish Kapoor che ha sparato cera rosso sangue sui muri delle Gallerie dell’Accademia, ci sarebbe un’altra piccola salve, a forma di secchiello, da tirare a Rot: l’ultimo commovente ‘Amore’ di Pippo Delbono, un vero re della foresta da ormai un quarto di secolo, poteva rientrare perfettamente nel tema e garantire altre due grandi serate. Peccato che sia mancato quest’incastro. Tra l'altro, sarebbe stato un curioso anche solo vedere i due ‘minuscolanti’ ricci/forte, che sono tanto à la page 2/3.0, accanto alla possenza d’altri tempi di Delbono, per giunta amplificata dal total-white che sfoggia in ‘Amore’. 

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