" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Diario veneziano, quisquilie da spritz e applausi

Nella foto di Yes Pitt, una scena di ‘Broke House’

1. Bisognerebbe cominciare dalla Cerimonia di consegna del Leone d’Oro, seguita da delizioso abbondante buffet sulla notevole terrazza di Ca’ Giustinian, oppure, prendendosi sul serio, dalla bella sequenza di spettacoli dei primi giorni all’Arsenale, impegnativa da giudicare, ma a teatro s'impara che sono i dettagli a segnare le nostre vite. Così non si può non notare che ogni sera, mentre un operatore in camicia azzurra controlla i ticket, un altro receptionist allunga gentilmente l’invito, formato biglietto da visita rossonero, per il Late Hour Scratching Poetry, e ripete cortesemente: se vi fa piacere, vale un ‘free drink’ per l’ultimo spettacolo, dalle 22.30.

Il bar comincia poi a ritirare i cartoncini e a consegnare spritz, in genere, una buona mezz’ora prima del Late (che sarebbe il djset con letture di poesie di cui si è molto parlato per via della comparsata di Asia Argento): così il biennalista seriale, che ha fatto giornata tra conferenze e teatri, corre a trangugiare il suo calice e se la può dare a gambe. Purtroppo i buoni non sono cumulabili e non vale tirare fuori quelli dei giorni precedenti, hanno la data stampigliata in nero sul lato rosso di ROT (logo della Biennale 2022). Per arrivare perlomeno alticci a reggere la pseudo-Ibiza in salsa Alda Merini, tocca mettere mano al portafogli, e sono come minimo sei euro a birretta.

 2. La quisquilia da bar è buona per introdurre “Una foresta” di Olmo Missaglia, lecchese, classe ’91, che si è formato come regista in Belgio e ha vinto la Biennale College Under 35, uno in grado di raccontare la sua generazione di millennials (vedi la recensione in Open Bar). Con pregevole creativa levità si fa perdonare anche l’ennesima citazione della Pulp Fiction Dance di Tarantino. Il giorno dopo, Olmo e il suo Travolta (l’attore e co-autore Romain Pigneul) aspettavano l’inizio della festa post-cerimonia del Leone quasi nascosti in un angolo, ‘precari e nervosi’ come da catalogo.

Per la cronaca, ottima l’accoglienza del pubblico, anche grazie a una congrua schiera di amici e al ‘la’ entusiastico di un Forte applauso (Gianni Forte del duo ricci/forte, i direttori artistici: Stefano Ricci rimane nella parte del duro coi rayban anche quando il socio si lancia a fare il capo-claque con una professionalità da assistente di studio di David Letterman dei tempi d’oro).

 3. Si sono divisi a metà persino il discorso di conferimento del Leone d’Oro, ricci/forte, un fuoco d’artificio d’aggettivi che ha aperto Ricci con un bel ‘interstiziale’ appioppato a non so che, mentre Forte è ripartito da un ‘lancinante’ e s’è esibito pure nel colto e teutonico uno-due ‘brechtiano’ e ‘wagneriano’.

La povera Chris Jahaty, che ha poi parlato con notevole oggettività e understatement, s’è scrollata di dosso tali e tanti qualificativi e indicativi, saltellando in una sorta di balletto, Leone alla mano. I suoi attori in prima fila tra il pubblico, con un entusiastico casino, hanno fatto volare la sala.

 4. Tutta da metabolizzare la riproposta di “Broke House” di Caden Manson con Big Art Group, dichiarato sovvertimento in chiave queer del linguaggio da reality. Giù il cappello. Spettacolo teatrale davvero innovativo e complesso, un po’ ostico per chi, come noi, deve anche seguire la traduzione nei sottotitoli, che scorre opportunamente confinata su due rettangoli a lato del palcoscenico. 

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