Sveglia, milanesi! Sarete anche i numeri uno per qualità della vita, ma una bella lezione d'umanità ci vuole
20.11.2024
Diavolo d'un Manzan, ancora lì a far pisciare in testa a Rossana da quei poveri cadetti di Guascogna?!
Ci sono almeno tre buone ragioni per correre a vedere, in questo fine settimana dicembrino, lo spettacolo ‘Cirano deve morire’ che opportunamente il Teatro Franco Parenti ha voluto presentare di nuovo a Milano (venerdì 15.12 e sabato 16 alle 19.45; domenica 17 alle 16.15).
Prima di tutto è divertente, per davvero, come capita ormai sempre più di rado; poi, sa ancora tanto di fresco, anche se in fondo è solo il nuovo allestimento di una rappresentazione andata in scena per la prima volta nel 2019 alla Biennale di Venezia; infine, è una rilettura intelligente di un classico, il Cyrano de Bergerac di Edmund Rostand, che dal 1897 è volato nell’empireo dei testi teatrali più belli e in assoluto dei capolavori della letteratura.
Divertente, fresco e intelligente sono tre aggettivi che introducono alla visione senza bruciare troppo la sorpresa a chi non è ancora riuscito a vedere questo imperdibile ‘Cirano deve morire’, perché, tanto per capirci, dopo la prima milanese di giovedì 14, una signora si è alzata dalla poltroncina in fila E della Sala Grande del Parenti, commentando con il vicino: ‘per fortuna che siamo venuti lo stesso a vederlo, dopo quegli articoli sui giornali avevo già deciso di saltare il turno…’
Ecco, non rende certo merito a ‘Cirano deve morire’ la presentazione tipo che malvolentieri, come ovvio per chi si sente chiamato in causa, lo incasella nel sottogenere ‘musical’, piuttosto che nella categoria universale dei testi ‘cattivi’ contro il teatro stesso e l’ambiente circostante.
Perché sì, è una sorta di rap-session; e sì, è pur sempre un’attualizzazione critica dei riferimenti metateatrali già insiti nello spirito originale dell’opera di Rostand: ma è teatro, questo, signore e signori, teatro allo stato puro, diretto, sviscerato con e per il pubblico, nient’affatto intellettualizzato o costruito artificiosamente.
Lo testimoniano le numerose interruzioni per gli applausi e le ola, per non dire dei dieci minuti di battimani che si sono aggiunti all’ora e trenta di spettacolo.
Attenzione, il discorso sul teatro-teatro vale pure per il linguaggio, a tratti osceno, e la volgarità anche dei gesti, per esempio quando i due cadetti bersagliano allusivamente con acqua dall'alto la povera Rossana: non sono le solite parolacce buttate lì come trucchetti giovanilistici dai registi blasonati.
Tre, come le buone ragioni per correre a vedere questo Cirano, sono gli attori in scena, giovani, bravissimi e già di collaudata collaborazione con l’autore regista Leonardo Manzan (1), che firma questo gioiellino con Rocco Placidi.
Prima di tutto, l’unica che sopravvive, e se lo merita fino in fondo, Paola Giannini, strepitosa Rossana, con tanto di toccante disagevole monologo finale, e in qualche modo anche facente funzione di narratore del canovaccio.
Ancora si fa notare per la bravura e il mestiere Giusto Cucchiarini, impareggiabile bello scemo nei panni di Cristiano; infine, il rapper Cirano, Alessandro Bay Rossi, antipatico perfetto, alle prese con un ruolo più facile, e quindi con una maggior difficoltà per farsi notare.
Sarebbe ingiusto non parlare anche del performer Filippo Lilli, che esegue dal vivo le musiche firmate dal giovane Alessandro Levrero con Franco Visioli, Leone d’Oro alla carriera come drammaturgo sonoro, a lungo collaboratore di Antonio Latella.
Ed ecco un altro spunto interessante, per fare luce sui mondi vitali che in qualche modo segnano la formazione del talento di Manzan e di questo suo gruppo.
Anche qui ci vogliono almeno tre citazioni: primo, Latella e il tocco magico delle sue Biennali di fine anni Dieci per la scoperta e il lancio di nuovi protagonisti della scena come Leonardo Lidi o lo stesso Manzan(2); poi, la scuola civica milanese Paolo Grassi del Piccolo Teatro sullo sfondo (anche evidente nelle polemiche)
Infine, da non sottovalutare, La fabbrica dell’Attore e il Teatro Vascello di Roma come polo di produzione aperto anche al nuovo. E si nota, per esempio, che la coabitazione con Rezza-Mastrella, deve aver lasciato qualcosa anche in Manzan...
Ma queste sono chiacchiere, l'importante è che nuove realtà e nuovi mondi si possano esprimere trovando poi, di rappresentazione in rappresentazione, modo di consolidarsi, senza farsi soffocare dall'establishment teatrale e culturale.
NOTE ALL'ELOGIO DI 'CIRANO DEVE MORIRE'
(1) Leonardo Manzan, nato a Roma nel ‘92 si diploma come attore alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano nel 2015. Debutta come regista, interprete e autore con ‘It’s App to You – o del solipsismo’, spettacolo-videogioco sul tema della realtà virtuale e del rapporto con la tecnologia che vince numerosi premi e riconoscimenti, tra cui InBox, Dominio pubblico, Kilowatt-Italia dei visionari.
Nel 2018 si rivela tra i giovani talenti alla Biennale Teatro di Venezia con lo spettacolo ‘Cirano Deve Morire’, riscrittura del Cyrano de Bergerac di Rostand in forma di concerto rap, che vince il premio come miglior spettacolo della Biennale College Registi.
Invitato nuovamente alla Biennale Teatro di Venezia nel 2020, presenta ‘Glory Wall’, spettacolo dissacrante e provocatorio sul tema della censura che viene premiato come Migliore spettacolo della Biennale Teatro.
Nel 2021 debutta al Teatro Verdi di Pordenone ‘Echo-Chamber’, liberamente ispirato a ‘L’ultimo nastro di Krapp’ di Samuel Beckett.
I suoi spettacoli, tutt’ora in tournée, sono stati presentati nelle principali città italiane e all’estero al Festival Internazionale di Buenos Aires e al Festival Printemps des Comédiens Di Montpellier.
(Scheda dal sito dell’Accademia Silvio D’Amico)
(2) Leggere, per esempio, la recensione originale di Enrico Fiore a 'Cirano deve morire', rigorosamente dopo aver visto lo spettacolo.