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E ora fate voi il titolo anche alla cronaca di questa prima con Romeo Castellucci 'Senza Titolo' in Triennale Milano

 Immaginate di partire dalla situazione di cui alla foto di Luca Del Pia sopra il titolo: aggiungete un’amplificazione, con un certo effetto riverbero, del rumore che possono fare quei capelli sciolti e bagnati sbattendo contro l’asta color oro che contiene i microfoni, mentre ogni tanto, casualmente, da lontano, risuonano delle campane; pensate a una ventina di spettatori sparsi a metà sala, intorno all’altare sospeso di questo rito de-sacralizzato, sei o sette performers dalle lunghe chiome che si alternano uno alla volta, dopo aver immerso la capigliatura in una bacinella trasparente piena d’acqua appoggiata laggiù.

 Volendo, notate pure che sul fondo della sala, dalla parte opposta, dove all’inizio stava una giovane assistente di palcoscenico con cuffia e microfono, poco dopo s’affaccia il Gran Sacerdote, avvolto nel suo abito simil-talare, un trench impermeabile lungo a redingote doppio petto, di un verde insolito, più vivo di quello militare, che potrebbe essere gradazione persiano, pantone 2272c o chissà: entra e scruta tutto e tutti con discrezione, poi esce e di nuovo rientra, dopo aver suggerito qualcosa alla regia audio o all’assistente stessa, lì accanto, dietro ai teli che celano l’improvvisata sagrestia con gli apparati tecnici. 

 Alla fine, dopo la ventina di minuti che da locandina sono previsti come ‘experience duration’, allo step delle 20 della prima assoluta del 2 maggio, di questo ’Senza Titolo’ allestito nel Salone d’Onore al primo piano del palazzo della Triennale di Milano, ecco che Romeo Castellucci è lì fuori, sul pianerottolo dello scalone, che parla con una bella ragazza vestita rigorosamente di nero, nero-nero, dalle scarpe e le calzette fino al cappellino e nera è pure la chioma che spunta, sopra i lineamenti del volto che richiamano qualcosa di familiare: potrebbe essere una Castellucci’s, forse la figlia Eva, che è anche fotografa di scena per i due ‘Edipo’ di mamma Chiara Guidi, in questi giorni di passaggio al Piccolo Teatro Studio Melato, in una sorta di tour ‘all inclusive’ a Milano della Societas Raffaello Sanzio di Cesena

 La ragazza si allontana subito discreta appena qualche spettatore s’avvicina per parlare con il Gran Sacerdote, che poi è un vero e proprio Mito riconosciuto. Chi non lo sapesse, aprendo il depliant-locandina stampato per l’evento, trova scritto in grande, sopra a un breve testo di presentazione e alle informazioni varie: ‘Romeo Castellucci è uno straordinario genio visivo’, citazione firmata in corsivo con il logo del giornale inglese The Guardian.

Dicono che Castellucci sia venerato come una superstar quasi ovunque in giro per l’Europa, nel mondo dei teatri e dell’arte, ma qui a Milano, dove pure viene chiamato ‘Grand Invité’ 2021-2024 di Triennale, s’apposta tranquillamente fuori dal Salone dopo la sua prima di ‘Senza Titolo’ e accetta di conversare amabilmente con gli spettatori. Non s’infastidisce più di tanto nemmeno alla richiesta di un autografo, o persino incassando l’osservazione di una signora che commenta: ‘mi ricordavo che lei fosse tanto più alto, ma parliamo di qualche anno fa’, ‘eh beh, non sono mai stato un giocatore di basket, però sarò invecchiato’ sorride lui. 

 Se non fosse che sta parlando del suo spettacolo per i 100 anni Triennale, con quella cadenza romagnola che emerge ogni tanto e con l’affabilità ammirevole che mostra, Castellucci sembra il classico cesenate, o forlivese o forlivese-cesenate (FC è la targa della provincia), che incroci in giro quando ti perdi nel piccolo centro di un paese dell’entroterra della riviera adriatica, ed è sempre un signore o al massimo una ‘sgnoura’ - ‘azdora’ si usa solo per la regina di casa -, che si ferma puntualmente con grande disponibilità e si dilunga gentilmente in spiegazioni, uno-una che potrebbe persino ben insegnare ‘mediazione culturale’ a questi ragazzi sottopagati che s’aggirano sorridendo, con indosso la T-Shirt ‘Ask me’, nei locali museali del fascistissimo Palazzo dell'Arte di Giovanni Muzio ora affidati al ‘rimboscatore verticale’ progressista Stefano Boeri

 Castellucci, prima che lo lasciamo a parlottare fitto con una conoscente che aspettava paziente il suo turno per farsi avanti, ripete più o meno il senso della brillante analisi riportata in locandina con la firma di C.C. - che potrebbe essere la sorella Claudia, artista di fama e co-fondatrice della Societas Raffaello Sanzio. Ecco, a memoria, le varie frasi che Castellucci pronuncia dopo la generica prima domanda 'ci dica qualcosa di più': ‘beh, come suggerisce il titolo, ogni spettatore ci trova poi quello che vuole, anzi per me è interessante capire che magari a qualcuno fa scattare qualcosa cui non avevo nemmeno pensato’; ‘certo è la ripetizione di gesti che hanno qualcosa di primordiale e anche di religioso’; ‘avete notato? ognuno di loro (i performers) è diverso dall’altro, non sono stati pescati a caso, e dal vivo ciascuno segue un po’ il ritmo e lo schema che vuole’; ‘le bacinelle di acqua? già, ora che mi ci fa pensare, non sono soltanto funzionali ma alludono alla purificazione dei riti’; ‘i capelli simboleggiano l’apparenza? sì, forse, ma ci sono interi trattati di psicanalisi sul loro significato’.

 Come fa ben capire C.C. nella sua analisi di Senza Titolo di R.C., quest’azione scenica che ‘evoca una nostalgia primordiale’ e che ‘ha i tratti di una forma di preghiera’, interpella nel profondo lo spettatore che accetta di decodificarla come tale, perché in qualche modo porta dritto alla grande angoscia dell’umanità contemporanea secolarizzata - la Perdita del Padre, suggerirebbe il Recalcati di turno -, ovvero ‘il dramma di rivolgersi a qualcuno quando non può esserci nessuno’, e in effetti anche in questa chiesa c’è solo il vuoto del bianco assoluto.

Perciò, al netto di una ragazza che continua a compulsare il cellulare per dieci minuti e poi sarà tra i primi a uscire, diversi spettatori si sentono a disagio, forse anche un po’ beffati nelle aspettative: qualcuno si muove a centro sala, altri sei o otto escono a coppie, soltanto una persona se ne va da sola, allo scoccare del ventesimo minuto esatto, forse una neomarxista morettiana da ‘Sol dell’avvenire’ reduce dal Primo maggio in piazza, perché poi più tardi fuori la sentiamo brontolare con un amico: ‘bisognerebbe capire quanto guadagnano quei disgraziati che devono spezzarsi l’osso del collo per Lui, magari prendono la paga di un giorno da mimo, una miseria da 40-50 euro, altro che arte, bisognerebbe finirla con lo sfruttamento’. 

 Lo spettatore ‘castellucciano’ doc, invece, si sente spaesato dinanzi a questo ‘Senza Titolo’ perché, alla fin fine, trova forse che non faccia così scandalo e non provochi più di tanto, cioè che non gli arrivi dritto in faccia il tanto atteso pugno, che il cuore non salti per le emozioni forti. Lo fa capire inequivocabilmente all’interessato proprio la signora che aveva osato chiedergli se per caso era diventato più basso, e lo saluta dichiarando: ‘Senza voler togliere nulla a questo né ai tanti altri suoi grandi successi, niente mi ha colpito come quella povera ragazza ripresa dal suo letto d’ospedale in coma vigile, di qualche anno fa, mi pare in ‘Orfeo ed Euridice’, terribile e bellissimo, che forza’.

E al Gran Sacerdote, al Mito, all’artista superstar, non resta che ammettere, con un sorriso che potrebbe diventare amaro ma invece è soltanto l’opportuna fine di quella stessa divertita e un filo imbarazzata espressione di poco fa: ‘In effetti neanch’io sono mai riuscito a dimenticarla’.  

Fino al 7 maggio ‘Senza Titolo’ di Romeo Castellucci è in Triennale Milano, biglietto intero 10 euro:

3 e 5 maggio ore 18.00-19.00 | 19.00-20.00 | 20.00-21.00 | 21.00-22.00

4 maggio ore 18.00-19.00 | 19.00-20.00 | 20.00-21.00

6 maggio ore 15.00-16.00 | 16.00-17.00 | 18.00-19.00 | 19.00-20.00 | 20.00-21.00 | 21.00-22.00

7 maggio ore 16.00-17.00 | 17.00 - 18.00 | 18.00-19.00 | 19.00-20.00

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