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Eccellenza, venga a vedere 'L'arte della commedia', gli spettatori accorreranno e imparerà la lezione

Russo Alesi e Paolo Zuccari (foto di Anna Camerlengo)

 Lettera aperta al Ministro della Cultura, dottor Gennaro Sangiuliano (invero è per gli spettatori milanesi)

‘Eccellenza’… 

(E no, non posso darLe dell’Eccellenza: potrebbe risentirsi. Il titolo di Eccellenza è stato abolito. Potrei dire…)

Signor Ministro... 

(No, è meglio…)

Dottore...

(è un titolo che generalizza... E poi, diciamo la verità, fa piacere sentirsi chiamare ‘dottore’. Ma... uno che occupa la sua carica, che fino a poco tempo fa aveva diritto all’Eccellenza... rinunciarci è duro. Io dirò...)

'Eccellenza…’

…scusi se La disturbo in un momento tanto delicato, sono un semplice spettatore e mi permetto di ripetere con il grande Maestro (avrà già riconosciuto, Lei che è un napoletano e pure un dichiarato lettore onnivoro, le parole di Eduardo De Filippo, dal prologo de ‘L’arte della commedia’ ): 

‘Venga a teatro, Signor Ministro! A Teatro la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema finzione…’.

 E annunci magari stasera stessa che verrà, nei prossimi giorni, entro il 5 novembre, al Piccolo Teatro di Milano, così gli spettatori accorreranno numerosi, come vuole il copione. E’ un’ottima compagnia di attori quella guidata da Fausto Russo Alesi che riporta in scena - nell’enorme sala intitolata a Giorgio Strehler - quel piccolo capolavoro che ha per tema proprio il teatro e il suo rapporto con l'autorità politica (1). 

 Immagino che abbia altri impegni di maggior rilievo, signor Ministro, in caso dica di venire almeno al suo Onorevole Sottosegretario Gianmarco Mazzi, a cui ha delegato per decreto ‘le attività e le funzioni concernenti lo spettacolo dal vivo’ e che sta mettendo mano al Codice dello Spettacolo. 

 Tra parentesi suggerirei, in questo caso, di comperarsi i biglietti, non costano tanto: personalmente mi sono seduto in fila 11, poltroncina 7, dove si vedono benissimo anche le facce degli attori, con l’esborso di 12 euro, prezzo promozionale per gli iscritti alla newsletter del teatro, ora sul sito sono in vendita posti a partire da 14 euro.

Apprezzerà un consiglio del genere, Lei che si fa vanto, giustamente, di rispettare al massimo il dovere di non sperperare il denaro pubblico, al punto da pagare di tasca propria tante spese, e capirà al volo pure il Suo on.Sottosegretario, che viene addirittura dalla gestione di un ente teatrale.

 E comprenderà meglio il valore di quei pochi euro, quasi subito, appena ne ‘L’arte della commedia’ il capocomico ridotto in miseria dopo l’incendio del suo già precario spazio teatrale, spiega con orgoglio: ‘Io appartengo a una generazione di comici i quali da secoli riescono a dominare la fame ingoiando saliva’. Poi ci si mette pure una generosa oste che prova a fargli venire l'acquolina in bocca: ha già regalato un pasto a ‘tre artisti de lu capannone andato a fuoco’ e vuole offrire anche a lui ‘nu piatto di minestra calda’.

 Già, devono pur mangiare anche questa decina di attori, tutti così bravi. Certo non ha problemi del genere Russo Alesi, che qui fa il capocomico, in scena e fuori. Avrà magari guadagnato benissimo al cinema e nella fiction con Bellocchio - del resto gli è toccato far di tutto, persino Cossiga depresso.

Ma quando s’impegna a fare il regista a teatro, lui come chiunque altro, se non fanno l'opera alla Scala non è che si mettono in tasca i compensi da centinaia di migliaia di euro che Lei, Signor Ministro, non vuole più far versare coi soldi pubblici ai vari Muccino e Genovese e Costanzo (clap-clap).

 Eppure Russo Alesi è bravo, davvero parecchio bravo: stavolta si è misurato con Eduardo e prima di tutto ha cercato saggiamente di fare in modo, da un lato, di non evocarlo per niente (ha tenuto addirittura la barba e si è persino ingobbito in scena, per non dire poi della cura con cui ha evitato qualunque napoletanità) e, dall’altro lato, di provare a restare sulla scia di uno stile di recitazione così magistralmente essenziale, si direbbe quasi dimesso, come l’allestimento stesso.

 I maligni che vorranno fare l’ingrato e assurdo confronto con l’originale (si trovano facilmente spezzoni video di Eduardo settantenne ne ‘L’arte della commedia’ registrata per la Rai, nel 1976: qualcuno magari ha visto l'ultima replica integrale, nel 2020 su Rai5). Ma... Intanto era un’occasione sui generis, per le riprese televisive, e quasi a fine carriera di uno dei due più grandi attori-autori italiani che si sono guadagnati la fama internazionale del dopoguerra (De Filippo e Dario Fo, diceva Paolo Grassi).

  E così non si può nemmeno dire, per esempio, che nel 2000, al ri-allestimento di Luca De Filippo, Umberto Orsini aveva fatto meglio il prefetto di come lo renda oggi Alex Cendron, Cendron che pure ce la fa bene a reggere anche i testa-a-testa con Russo Alesi e gira a dovere nei duetti con il Segretario, il perfetto Paolo Zuccari

 Per la cronaca, nei capannelli fuori dal teatro si sentivano grandi elogi per tutti gli attori: alcune signore notavano ammirate l’efficacia di Imma Villa nel monologo della follia della maestrina. E bisognerebbe aggiungere quanto riesce bene la parte del medico a Filippo Luna. E, ancora, che sotto la barba finta di quel prete strappa-risate secondo la locandina c’era Gennaro De Sia, e via elencando, ma non vorremmo far perdere troppo tempo a Vostra Eccellenza.

 Il confronto, casomai, Lei lo potrà fare poi tra Russo Alesi e il Suo concittadino Lino Musella di ‘Tavola tavola, chiodo chiodo’, che raccontava proprio del rapporto tra Eduardo e lo spettacolo, della delusione per il flop del suo teatro San Ferdinando quando sbagliò le scelte (De Filippo volle portare a Napoli il cartellone del Piccolo di Milano e il pubblico non comprese), della famosa lettera che scrisse nel '59 al ministro dello spettacolo di allora, Umberto Tupini (2). 

 Eduardo, però, lasciamolo stare. Forse avrebbe spinto ancora più sotto la recitazione del nostro pur misurato Fausto, e sai che tirata d’orecchi avrebbe affettuosamente rifilato a ‘chillo buono guaglione’ di Lino, che fa sempre un po’ troppo il grande attore, così sopra le righe. 

 Di Russo Alesi regista di un teatro povero di qualità e anche di classe, qualche spettatore avveduto aveva di recente apprezzato un notevole riadattamento teatrale del capolavoro di Turgenev ‘Padri e figli’. Peccato che la produzione non sia stata portata in giro di più, ma era la prima stagione post-Covid.    

 Vedrà Lei di persona se alla fine unirsi al coro degli applausi entusiasti del pubblico, in standing ovation com’è capitato al sottoscritto, ma sarà facile farsi catturare perché il discorso sul teatro, che Eduardo mette così bene a fuoco in questo testo, è ancora vivo e vero, tale e quale. 

 Addirittura Le potrà capitare di sentire, durante l’intervallo, qualcuno davanti, com'è successo l'altra sera in fila 10, che indicando l’enorme palco vuoto e si chiede se, invece delle quattro assi, di un tavolo e di poche sedie che giustamente bastano per ‘L’arte della commedia’, sia rimasta ancora lì dietro l’ultima scenografia kolossal costruita l’altr’anno al Piccolo da Margherita Palli.

Quel gigantesco albero di scena per gli amici di Romeo e Giulietta, per carità meraviglioso, ma quanto meno esagerato... Del resto, Luca Ronconi è morto e non lotta più insieme a noi, le sue macchine sceniche più memorabili restano le prime firmate da Uberto Bertacca nel 1969 e il segno più vivo nel teatro lo ha lasciato Peter Brook che s'accontentava di pochi rami o di un bastone.   

 Ecco, a dire il vero, bisognerebbe partire proprio da quel prologo di Eduardo, così illuminante, anche sull'inutilità di troppe scenografie, e da quel primo confronto tra l’Autorità e il Teatrante, riprendendo pure in mano la famosa lettera sulle macerie del teatro al Ministro Tupini, come ha fatto al San Ferdinando due anni fa il buon Musella. 

 Sa benissimo per primo Lei che i suoi predecessori purtroppo hanno fatto disastri non solo nel cinema, ma anche e forse soprattutto nel teatro, nella danza, nella musica e nelle arti performative in genere: non crederà che Le basti soltanto tagliare qua e là o cambiare qualche direttore. 

 Come dice uno dei migliori protagonisti della nostra scena, in Italia è stata portata avanti ‘deliberatamente una politica per distruggere il teatro di ricerca e sopratutto le compagnie, vera e unica fonte di bellezza e drammaturgia’.

Si faccia anche solo leggere dall’on. Sottosegretario le regole per accedere a quattro spiccioli di finanziamento pubblico, il numero di giorni di rappresentazioni che una compagnia teatrale italiana deve garantire, le giornate lavorative e così via. 

 E pensi che fortuna, non ha nemmeno bisogno di farsi fare la lezioncina da qualche orgoglioso capocomico di oggi, ‘L’arte della commedia’ se la può godere tranquillamente in poltrona, ridendo anche di gusto, al prezzo di un aperitivo, in centro a Milano.

Imma Villa con Alex Cendron in 'L'arte della commedia' (foto Anna Camerlingo)

(1) ‘L’arte della commedia’, scheda e analisi

Scritta nel 1964, è tra le opere più particolari di Eduardo: non a caso, uno dei testi meno rappresentati dalla sua compagnia. Conobbe infatti maggiore fortuna all’estero. Alla prima rappresentazione del 1966 a Leningrado, ne seguirono altre quattordici in varie città europee. Tra queste, si ricorda la messinscena del 1981 a Berlino e quella parigina del 1983. 

 Debutta per la prima volta a Napoli l’8 gennaio 1965 al Teatro San Ferdinando, e dopo un breve giro nei piccoli teatri di provincia fu sostituita nelle grandi capitali italiane con altre opere del repertorio, temendo il risentimento delle autorità politiche che erano state, nel testo, oggetto di critica. Verrà ripresa solo nell’edizione televisiva, dove compare anche il prologo, fino ad allora mai pubblicato né rappresentato.

 L’arte della commedia muove senza dubbio una sottile polemica contro lo Stato ed una profonda riflessione sul teatro, sulla sua natura più intima e sul suo ruolo all’interno della società. È utile un teatro - appunto - che sappia solo intrattenere futilmente gli spettatori, che diverta senza educare, che distragga le masse dall’avere un’opinione, che rinunci a sottolineare carenze morali o sociali?

È questa volta la vita stessa di Eduardo, il teatro, a dare una risposta all’interrogativo. Da una parte, dunque, l’embrione di un manifesto di poetica teatrale, dall’altra, conseguenza ideale di una lettera inviata qualche anno prima all’allora ministro dello Spettacolo Tupini per dirsi preoccupato sul destino della scena italiana. Molte battute del protagonista, Oreste Campese, ricalcheranno le parole contenute nel messaggio.

 Campese è il capocomico di una compagnia di attori girovaghi, rimasti bloccati in una piccola cittadina abruzzese dopo l’incendio del capannone utilizzato per dar spettacolo. L’attore si reca dal Prefetto De Caro per invitarlo a presenziare al suo spettacolo, ospitato in via eccezionale al teatro comunale. Ne nasce un vivace contraddittorio sui rapporti fra teatro e Stato; alla fine, indispettito, il Prefetto nega la sua presenza e offre un foglio di via.

Al suo posto Campese prende non volendo la lista delle persone in attesa di udienza, che il prefetto, insediato da poche ore, non conosce. In mano ai comici, la lista diventa una minaccia: quelli che si presentano, ciascuno con un caso drammatico, sono persone reali o attori travestiti? Neanche la morte di uno di loro, scioglie l’enigma: con la sua sola esistenza il teatro insidia la logica degli apparati.

di Vincenzo Albano, Università di Salerno

(2) Contro la 'camorra teatrale' e il giogo politico

1959: il boom della televisione ruba al teatro non solo spettatori ma anche attori, e il botteghino tocca i minimi storici. Nell’ottobre dello stesso anno Eduardo De Filippo scrive una lunga lettera al ministro del turismo e dello spettacolo Umberto Tupini dalle pagine di 'Paese Sera', denunciando la 'camorra teatrale imperante', la burocratizzazione, la mancanza di visione organizzativa e la depressione del teatro italiano in merito alla condizione soprattutto dell’attore e dell’autore.

I tavoli di lavoro che ne seguirono misero al centro del dibattito i criteri e il controllo dei finanziamenti, la detassazione, i trasporti, il riconoscimento anche dei teatri delle piccole città, il bisogno di scritture almeno triennali per gli attori per consentirne la formazione, un’analisi del rapporto teatro-televisione, l’unificazione degli enti dello spettacolo e l’abolizione della censura. La lettera provocò polemiche in molti ambienti teatrali, mentre per altri divenne una sorta di Manifesto.

Sebbene alcuni dei temi siano mutati negli anni, ancora nell’82, due anni prima di morire, in un incontro alla Sapienza con Carmelo Bene, Eduardo espresse il desiderio di rimettere in circolazione la lettera: 'Quella lettera al ministro di tanti anni fa, solo quello potrei leggere oggi al Senato. Poi alzarmi e andarmene dall’Italia. Non sai sotto quale tallone ho dovuto vivere io, sotto il fascismo, dopo il fascismo, e ancora oggi. Fanno finta di niente...'

(da napolimonitor.it)

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