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Eh no, Carolina: avrai pure le tue buone ragioni, ma non ci lasceremo fregare la catarsi

Carolina Bianchi al Festival d'Avignone

 Qualche spettatore se ne va alla chetichella, prima delle scene più indigeribili, approfittando anche dell’interruzione dovuta a un guasto tecnico. Ma, poi, puntualmente, come da copione, sviene almeno una spettatrice in platea, durante quel prefinale di cui Anne Diatkine su ‘Libération’ - non una bacchettona ma una giornalista culturale femminista e progressista - aveva scritto addirittura che ‘non può essere raccontato, e bisognerebbe interrogare l’impossibilità della narrazione che la visione di questa nuova violenza produce’.

 Resiste invece seduto e attento fino alla fine, applaudendo convinto, Maurizio Cattelan, il più noto di una platea di Triennale Teatro che in fondo somiglia tanto all’idea che uno può avere del pubblico che apprezza lo stile cosiddetto ‘dissacratorio’ delle sue opere. Peraltro lui, l’artistar in persona, si è presentato in sala con insolito look total-white, perfettamente sintonico con il non-colore che riveste in scena la stessa Carolina Bianchi durante questo controverso primo atto della ‘Trilogia Cadela Força’ (trilogia sulla forza della cagna, si potrebbe dire traducendo dal portoghese).

  Fuori, tra i vialetti pieni di pozzanghere del parco intorno alla Triennale, un'insolita pioggia fitta, in un inconsueto venerdì sera milanese poco vivace, il 9 febbraio, accoglie i reduci dal durissimo monologo sulla violenza contro le donne che la performer brasiliana ha presentato quest'estate 'scandalosamente' al festival d'Avignone. E la piovosa notte si presenta quasi come la promessa di un salutare stacco in un altro mondo, per non dire un lavacro di necessario rientro nella normalità.

 Resta nel cuore, certo, soprattutto l’omaggio a Pippa Bacca, la giovane artista nipote di Piero Manzoni violentata e uccisa fuori Istanbul durante un viaggio-perfomance vestita da sposa che doveva terminare a Gerusalemme, utopia irenista e umanista finita malissimo. Quasi tutti in sala hanno sofferto davvero per la storia di Pippa, più di uno spettatore l’ha conosciuta proprio di persona.

E’ lei naturalmente ‘La Sposa’ del sottotitolo, che include anche un ambiguo ‘Buonanotte Cenerentola’ così spiegato in locandina: ‘Boa Noite, Cinderela’ è ‘l’espressione con cui vengono chiamate in Brasile il Rohypnol, il GHB e le altre droghe dello stupro, che possono avere effetti sedativi, ipnotici, dissociativi e vengono somministrate alla vittima, insieme a cibi o bevande, senza che questa se ne renda conto (il cosiddetto drink spiking)’.  

 Bon, come direbbe la Diatkine di cui sopra: ‘Non bisogna però pensare a uno spettacolo violento. Al contrario, c’è una grande dolcezza, un’attenzione al gesto e un’infinita premura per gli spettatori così come per Carolina Bianchi, all’inizio sola sul palco, che con grande energia metterà in scena un tentativo di “resurrezione” della memoria e del trauma. È dopo lo spettacolo, durante la notte, che ci rendiamo conto di come la forza delle immagini, il terrore di quello che può succedere quando non si fa attenzione c’impedisce di addormentarci. Speriamo solo che questa sensazione piano piano si dissolva’ (dalla traduzione per ‘Internazionale’ della recensione su ‘Libération’).

 Già, seppur si può anche ridere per qualche battuta all’inizio, si esce a bocca storta e ci si deve preparare a una brutta notte dopo aver visto questo spettacolo scelto coraggiosamente per aprire FOG 2024, il pregevole festival di Triennale Teatro.

Lo si poteva intuire anche solo notando quel ‘Fuck Catharsis’ come targa dell’auto che domina la scena quando la perfomance di Carolina Bianchi volge ormai al termine e la protagonista sta per subire la poco riferibile simulazione di una violenza carnale, prima di venire risvegliata dagli effetti della droga dello stupro che ha assunto.

 La lunga scena con riprese video sull’auto, detto tra parentesi, all’appassionato suona quasi come citazione dello spettacolo più riuscito di Milo Rau, ‘La reprise. Histoire(s) du théâtre (I)’.

E, in effetti, al netto del valore di contenuto, questo primo Capitolo di ‘Trilogia Cadela Força’ è sembrato, come commentavano i più critici all’uscita, un po’ affastellato di riferimenti, pur molto onestamente dichiarati, e non proprio perfettamente riuscito dal punto di vista del linguaggio e dello stile teatrali. 

 Vattelappesca se poi queste critiche che si potevano sentire nei capannelli fuori dalla Triennale - e anche altre più feroci relative all’impossibile riproposta, fuori tempo massimo, di un atto d’arte perfomativa al femminile, piuttosto che all’insieme non proprio coerente di già visto, con un testo che anch’esso è un po’ l’assemblaggio di citazioni disomogenee - siano poi anche il risultato paradossale di quello stra-maledetto ‘Fuck Catharsis’.

Foto di scena della prima rappresentazione dello spettacolo di Carolina Bianchi

 Citando un raffinato linguista e critico letterario come Massimo Arcangeli da 'il Post‘, per Aristotele la catarsi era la purificazione dalle proprie passioni di chi assisteva alla rappresentazione di una tragedia, poiché l’arte drammatica era per lui imitatrice della realtà e, riproducendone fatti gravi, sanguinosi o luttuosi, li “sublimava” in un sentimento di pietà e di terrore insieme, ponendo in qualche modo rimedio alle angosce quotidiane.

 E allora, anche le stroncature del dopo ‘Trilogia Cadela Força’ possono essere state, in fondo, una sublimazione della catarsi che Carolina Bianchi non vuole concedere al pubblico. O no? 

 Senza nemmeno aspettare troppo, domanda e risposta sul ‘Fuck Catharsis’ di Carolina Bianchi passeranno in secondo piano tra una settimana, quando sabato 17 e domenica 18 febbraio gli habitué di FOG si ritroveranno davanti alla magia del nuovo spettacolo ‘UniVerse: A Dark Crystal Odyssey’ di Wayne McGregor, tra i più considerati coreografi europei. 

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