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Essere Leonardo, Manzoni, Verdi e… pure Strehler! Al Piccolo Teatro si comincia a ballare sul serio, e non lo fa solo Marco D’Agostin per Jérôme Bel

Da sinistra, Pablo Tapia Leyton, Marco D'Agostin, Marta Ciappina e Chiara Bersani in 'Jérôme Bel' (foto di Masiar Pasquali).

  Non è soltanto un ballerino e coreografo che ha raggiunto una ragguardevole fama, Marco D’Agostin: è annunciato addirittura un trittico delle sue opere in apertura del festival ‘Presente indicativo: Milano Porta Europa’. E' che ormai potrebbe salire in cattedra senza problemi.

D’Agostin infatti riesce a far sfoggio, almeno in occasioni pubbliche come una conferenza stampa, di un linguaggio forbito e ricco di riferimenti culturali, proprio del genere di quello abituale al Professore direttore del Piccolo Teatro Claudio Longhi, che l’ha voluto e lo sostiene così attivamente. 

 Lunedì 15 aprile, al Chiostro Nina Vinchi in via Rovello a Milano, D’Agostin è stato chiamato a illustrare il suo ultimo lavoro ‘Jérôme Bel, da Jérôme Bel, di Jérôme Bel’ (sic), che sarà al Teatro Studio Melato dal 17 al 21 aprile. E forse anche per sopperire a quella certa ripetitività nella titolazione, si è esibito in una dotta e articolata presentazione, dove sono risuonate pari pari alcune delle espressioni in genere tipiche dell’assetto cattedratico di Longhi.

 Non s’è sentito il classico ‘liminale’, è vero, ma c’erano naturalmente ‘gli spazi interstiziali nei quali soprattutto abita il teatro’ - in mezzo a vari altri ‘abitare il luogo’ metaforici. E’ uscita anche una festosa ‘ri-vivificazione’, per sottolineare che non si tratta di un semplice ‘reenactment’. E, poi, a un certo punto D’Agostin ha fatto ricorso persino a un bel ‘paratattico’, ché al Piccolo nelle presentazioni delle ultime stagioni non è mai mancato, anche se in un uso quasi translato, cioè non riferito propriamente al linguaggio.

 Fuor di paroloni, lo spettacolo che è stato presentato sarà un omaggio al grande coreografo francese Jérôme Bel e ad alcuni suoi balletti più noti. ‘Un lavoro di disarmante semplicità, anche se è così complesso raccontarlo a parole’, si è giustificato D’Agostin.

La novità della costruzione è il rapporto con il pubblico, ‘che sarà direttamente chiamato in causa fino alla sua liquefazione sul palcoscenico’, quasi a legare i vari spezzoni ispirati a Bel, con lo stesso D’Agostin che farà anche la parte del coreografo al lavoro, prendendo appunti.

Insomma, par di capire, ci sarà anche stavolta quella spruzzata di meta-teatralità che è un po’ il marchio di alcuni dei nuovi artisti associati (lo stampino Carnevali, si dice, per esempio). Non a caso, Longhi li chiama affettuosamente ‘i miei figli’, quando ne parla alle riunioni interne. 

  Questo ‘Jérôme Bel’ nasce da una sorta di ‘auto-bio-coreo-grafia’ registrata su video dallo stesso Bel durante i lockdown da Covid e montata con spezzoni di riprese dei suoi lavori. Oltre che nel nome di quello che viene considerato ‘il padre della danza concettuale’, il vero potenziale dell’operazione ‘abita anche’ nel composito cast. In scena Chiara Bersani, una straordinaria performer diversamente abile, con altri sei interpreti affermati, due bambini, un ballerino affetto da sindrome di down, sette coriste e coristi milanesi, e l’étoile della Scala Chiara Borgia

 Alquanto nobile mescolanza, del resto è la seconda parte di un progetto internazionale finanziato con i fondi Ue STAGES, Sustainable Theatre Alliance for a Green Environmental Shift, ovvero, come da comunicato ufficiale, ‘un inedito esperimento teatrale che vuole rivoluzionare il modo in cui il settore culturale affronta il concetto di sostenibilità’. 

Nel caso, come ha specificato Longhi da par suo, ‘il tema della sostenibilità amplia il suo respiro radicandosi nella natura collettiva della creazione che genera ecosistemi, intrecci, inevitabili scambi…’. Insomma, ha tradotto poi D’Agostin, è una narrazione corale ‘perché nessun ragionamento sulla sostenibilità può essere individuale’.

 Il direttore Claudio Longhi, per l’occasione, ha mostrato di saper coltivare ancora tranquillamente il suo hobby di ‘armocromista’ e si è presentato in bianco/avorio con sciarpa naturalmente ‘paratattica’, un piccolo assaggio dei coordinati che sta preparando per gli appuntamenti internazionali dell’imminente ‘Presente indicativo’.

Con il contratto ormai in scadenza, tanto altro non può più fare, dopo aver imbastito una rassegna che può vantare quasi una decina proposte finalmente d’alto livello internazionale, forse a compensare un'altra stagione così così. 

 Ed è anche proprio sui bilanci del difficile triennio, parzialmente investito dalla crisi post-pandemica, che si gioca la delicata partita in atto della riconferma. Per riepilogare dall'inizio, il sindaco di Milano Beppe Sala aveva voluto, d’accordo con l’allora ministro della cultura del Pd Dario Franceschini (e pare dietro input del solito asse familiare Bazoli-Prodi), portare il post-ronconiano Longhi a Milano dall’Emilia Romagna Teatro.

Per questo Sala aveva dovuto affrontare, ormai tre anni fa, un primo scontro durissimo con i rappresentanti della Regione dentro la Fondazione del Piccolo, e con le forze politiche di destra, in primis la Lega. 

 C’è da considerare che nel frattempo, come è noto, è avanzata la presa politica di Fratelli d’Italia, in specifico attraverso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che fin da subito, nell’ottobre del ’22, si è messo esplicitamente all’opera con l’intento di scardinare la cosiddetta ’egemonia culturale’ della sinistra.

 Peraltro, ai fruitori di arte, cultura e spettacoli interesserebbe casomai la svolta di un passo indietro degli uomini di partito e dei loro burocrati, con una riscrittura delle regole ministeriali che penalizzano chi è fuori dalle solite lobbies. Finora, purtroppo, si vede solo la controffensiva rispetto al precedente indirizzo politico. 

 In ogni caso, nei primi mesi del ’23, l’avvocato Geronimo La Russa è stato indicato dal ministro come nuovo membro del Consiglio d’amministrazione al Piccolo: primo plateale atto di ‘contro-egemonia’, che ha suscitato persino una manifestazione di protesta fuori dal teatro pubblico milanese. 

 Così, pressoché nel contempo, Sala ha deciso di investire della Presidenza dell’istituzione fondata da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, il notaio Piergaetano Marchetti. Già professore e prorettore della Bocconi, considerato una sorta di custode degli snodi economico-finanziari di Milano, Marchetti è stato tra l’altro per anni garante dei delicati equilibri tra gli azionisti del ‘Corriere della Sera’, ovvero i cosiddetti 'poteri forti' al completo. Figurarsi se i La Russa possono fargli impressione.

 Classe 1939, personaggio di raffinata cultura, collezionista di libri, frequentatore dell’intellighenzia locale da decenni (ricorda bene anche gli inviti alle prove di Strehler), amico personale di tanti intellettuali (a Umberto Eco, per esempio, ha garantito la via di fuga dal trust editoriale berlusconiano con la fondazione de La Nave di Teseo) è anche uno spettatore appassionato.

Marchetti si vede spesso a teatro, quasi sempre insieme alla signora Ada Gigli, professoressa universitaria pure lei, di storia contemporanea, con interessi che hanno spaziato dal giornalismo alla moda. Tra parentesi, chissà che cosa si dicono dopo, a casa, gli spettatori Marchetti…  

 Da gran signore cordialmente impenetrabile qual è, l’Arbitro Marchetti sa di essere stato chiamato per tentare di tenere in mano la delicata partita sul futuro dell’istituzione teatrale che, oltretutto, è tra le prime anche per peso economico dell’Italia intera. 

Il ministro non si è ancora pronunciato in modo netto e nella stanza dei bottoni del teatro la destra ora pesa tanto quanto la sinistra, grosso modo, dato che il voto del Presidente è fondamentale: non a caso, nella controversia sulla nomina di Longhi fu decisivo il ruolo del predecessore di Marchetti, Salvatore Carrubba, già direttore del Sole 24 ore e assessore della giunta Albertini.

 A proposito di precedenti politico-amministrativi, siede sempre incombente nel Consiglio del Piccolo anche l’ex assessore alla Cultura in éra Moratti, nonché attore e regista, Massimiliano Finazzer Flory. Di recente si è fatto notare per le letture de ‘I Promessi Sposi’, nel Duomo di Milano e in Piazza San Fedele, alle celebrazioni di ‘Manzoni150’.

Finazzer Flory ha anche presentato lo spettacolo ‘Essere Leonardo’ al Teatro Studio Melato, dove si è calato personalmente nei panni di Da Vinci, dopo aver indossato pure quelli di Giuseppe Verdi. Ha appena riproposto anche un suo Borges all’Istituto dei Ciechi. Figurarsi se non la sente pure di fare...Strehler! 

 Per ora altri nomi in campo non ce ne sono, ma possono pur sempre spuntare a sorpresa. Pare che Sala e Marchetti provino a tenere il punto chiedendo un rinnovo del mandato di Longhi, magari solo per un biennio, giusto per dare un contentino a chi vorrebbe un nuovo direttore di altro indirizzo politico-culturale.

In fondo, dicono i sostenitori di Longhi, per rispondere in qualche modo anche a un certo disagio manifesto tra i dirigenti e i quadri intermedi del Piccolo, non si può valutare obiettivamente un mandato che è stato investito subito dal periodo di chiusure del Covid.

 Chissà come andrà a finire, tutto è possibile, vedi il caso del Teatro di Roma o il tiremmolla che si è consumato su Mayer e Chailly alla Scala.  

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