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Facciamo una bella 'attività di ricerca sul campo': troviamo i nomi giusti per cambiare e riportare un po' di vita vera a teatro. 4/Kepler-452

Una scena di 'Non tre sorelle' di Enrico Baraldi (foto Luca Del Pia)

 L’altra sera, alla fine di uno dei più importanti ‘spettacoloni’ di un primario ‘teatrone’, annoiati e ancora un po’ sgomenti per la sgangheratezza di cotanta produzione, alcuni dramaholici che s’alzavano lentamente dalle sedie hanno incrociato per i saluti un altro spettatore appassionato seriale, che per giunta è un po’ del mestiere. 

 All’immancabile giudizio sottovoce ‘tutto sbagliato, tutto da rifare’, ha fatto seguito la domanda: ma chi potrebbe mettere in scena, oggi, in Italia, un testo del genere, senza tradirne lo spirito? (perché si trattava di un grande classico tanto impolverato quanto impervio).

 Il solito ‘so-tutto-io’ ha trovato subito la risposta: ‘magari uno di quei due ragazzi di Bologna…sì, i kepleriani!’. E da uno degli altri che hanno annuito con un gran sorriso, si sentiva aggiungere: ‘già, sicuramente ci vogliono menti fresche, energie vere, idee originali, e bisogna credere per davvero in quello che si vuole dire’.

 Già, nella così sfibrata scena ufficiale italiana, dopo la fortuna di quel ‘Capitale…mai letto’, è come se fosse venuto alla luce il patrimonio immateriale di Kepler-452.

C’era qualcosa di promettente, del resto, già nella scelta di un marchio stellare (il 452b è uno dei pianeti più simili alla Terra tra quelli scoperti dal telescopio spaziale Kepler, il ‘cacciatore di esoplaneti’ della Nasa) per una compagnia teatrale che è nata, nel 2015 a Bologna, dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e, per la parte organizzativa, prima Michela Buscema e poi, dal 2021, Roberta Gabriele.

 E’ abbastanza naturale che adesso vogliano e invochino anche a casaccio i kepleriani tutti quelli che hanno già avuto la possibilità di vedere ‘Il Capitale’, o il più recente ‘Album’, nominando ovviamente soprattutto il frontman Borghesi, attore in grado di reggere la scena persino accanto a mostri di bravura come Enzo Vetrano e Stefano Randisi(1), e l’autore-regista Baraldi, fresco di ripresa di un commovente ’Non tre sorelle’ con tre attrici ucraine. 

 E’ improprio trattare come emergenti Kepler-452 e il duo bolognese con la doppia B, aldilà dell’età (Baraldi è un classe 1993, Borghesi 1986): eppure, dato che siamo nell’Italia dell’obsolescenza culturale, sicuramente vanno iscritti tra i primi nomi che dimostrano quanto un grande ricambio generazionale nel teatro sia oggi possibile, oltre che auspicabile. 

 Per dirla con una battutaccia, vivaddio c’è vita oltre Ronconi! Oltre i soliti nomi dei teatroni, oltre le presunte scuole e le effettive camarille, oltre le pastette dei mediocri, che peraltro di diminutivo non hanno niente aldilà del termine, vista la quantità di denaro pubblico in questione.

Tanto per capirci, con il valore di un pezzo soltanto dell’inutile scenografia del pessimo spettacolone da cui siamo partiti, un collettivo ‘indie’ ci fa quasi un’intera stagione. Amen. 

 Per fortuna che esiste anche una scena europea di qualità, dove non mancano istituzioni che sono più sensibili al nuovo: ed ecco che, in questa fortunatissima stagione, ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ è in dirittura d’arrivo addirittura al FIND di Berlino, il prestigioso festival internazionale del New Drama.

Saranno gli unici italiani, i kepleriani con gli operai della GKN, che calcheranno il palcoscenico in tanto di sala Globe dello Schaubühne Theater, dal 20 aprile, per tre serate.

 Sia detto tra parentesi, interrompendo la lettura per cliccare sul cartellone di questi giorni dello stesso Schaubühne, potete sognare di andare a teatro in quel di Berlino e vedervi qualche regia di Tomas Ostermeir, compreso un ’Gabbiano’ presentato nel 2013, o il nuovo allestimento in inglese di ‘status quo’ firmato Marius von Mayenburg; così, per gradire, c’è pure la ripresa di uno degli spettacoli più belli e commoventi del dopo pandemia, ‘Everywoman’ di Milo Rau con Ursina Lardi (forse l’attrice più brava dell’Europa continentale). 

 Un bel respiro, e dopo una pausa d’obbligo nell’auditorium della brechtiana Berliner Ensemble, per l’ultima parte più radicale di ‘Min Kamp’ da Karl Ove Knausgård della provocatoria Yana Ross, si gira mese allo Schaubühne: prima del FIND, aprile s’inaugura con la prima mondiale di ‘Bad Kingdom’ di Falk Richter, ovvero un duro apologo sul mondo di oggi che parte dall’assunto ‘c’è qualcosa di marcio nel regno del presente’. Un pugno dritto nello stomaco, che viene accompagnato, alla voce ‘sensitive content’ in rosso, dall’avvertenza: ‘la produzione tematizza la violenza e contiene rappresentazioni esplicite di atti sessuali’.

 La scena teatrale è questa, il livello a Berlino è questo, i nomi dei registi sono questi: coraggio Nicola, non troverai facilmente nemmeno qualche pinta di una buona Ipa, perché nelle birrerie prevale ancora lo stile tedesco classico! Puoi sempre provare a vedere al pub italiano Birra, in Prenzlauer Allee, guarda caso a un km dalla cupola del Grande Planetario Zeiss, magari c’è ancora una ‘imperial’ Quarantot del Lambrate alla spina. 

 Scherzi e divagazioni a parte, in fondo, a Berlino, Baraldi e Borghesi, è un po’ come se ci fossero nati: nel senso che il teatro di Kepler-452 prende origine dalla loro passione di spettatori giramondo e in particolare da una lunga stagione passata a inseguire Rimini Protokoll per l’Europa.

Questo collettivo fondato da Helgard Haug, Daniel Wetzel con Stefan Kaegi come punto di riferimento, ha preso stanza a Berlino, dall’inizio degli anni Duemila, presso il teatro indipendente Hebbel am Ufer (HAU 1), nel cuore di Mitte, in quella Stresemannstraße che fu inglobata per decenni nella ’striscia della morte’ intorno al Muro.

L’HAU, com’è noto, è stato plasmato come culla delle avanguardie post-Duemila dal primo mitico direttore Matthias Lilienthal, che da drammaturgo a Basilea aveva lavorato con due nascenti guru del post-drammatico come Franck Castorf e Christoph Marthaler (e lì conosciuto anche Kaegi e i Rimini Protokoll, che sono svizzeri d’origine).  

 Tanto per non girare ancora troppo in tondo, tra i primi eventi teatrali di realtà firmati dai prolifici Rimini Protokoll c’è stata un’assemblea dei soci, con i rappresentanti degli operai, della fabbrica Daimler-Benz nel 2002 e nel 2007 hanno presentato, riscuotendo premi e consensi, ‘Karl Marx: Il Capitale, Primo Volume’. L’orizzonte di riferimento è appunto quello di una scena dove non ci sono attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: ‘esperti’, come li chiamano i Rimini Protokoll, per l’appunto della propria esperienza biografica e visione del mondo.

 Anche nel singolare spettacolo ‘Non Tre Sorelle’, che Enrico Baraldi ha allestito per il Teatro Metastasio di Prato - e che lodevolmente è stato riproposto in questi giorni da ERT nella sala sotto l’Arena del Sole di Bologna -, la vera storia di vita di tre giovane attrici scappate dalla guerra in Ucraina (Natalia e Julia Mykhalchuk con Anfisa Lazebna) viene scavata a partire dal pretesto di una messa in scena in sospeso del classico cechoviano (2), toccando quindi così bene anche il problema scottante del confronto con la cultura russa. 

 Lo spettacolo viene recitato in quattro lingue: le altre due interpreti, Susanna Acchiardi e Alice Conti, parlano quasi sempre italiano, ma poi s’intersecano inglese, ucraino e russo: il testo va seguito nei sopratitoli doppi, in italiano e in ucraino. Eppure, per tutti i settanta minuti della rappresentazione del 19 marzo scorso a Bologna, per esempio, nonostante ben due scolaresche di adolescenti in sala, non si è sentito letteralmente ‘volare una mosca’ (allusione che non spoileriamo oltre, al momento forse più esilarante di una piéce drammatica peraltro così intensa). 

 Va infine ascritto a merito di Giuliana De Sio, che si è aggiudicata soltanto quest’anno il premio Duse, di aver indicato proprio per la ‘menzione d’onore a una personalità emergente nell’interpretazione femminile’ il cast intero di questo ‘Non Tre Sorelle’.

Si è così raddoppiato il palmares kepleriano di queste ultime stagioni, dove campeggia il ‘Premio speciale per l’attività di ricerca sul campo’ arrivato a corollario dei vari regolari UBU 2023. 

 Ecco, a pensarci bene, senza offesa per nessuno, ‘hic Rhodus, hic salta’.

E’ pur vero che Kepler-452 pratichi un preciso genere di teatro per così dire documentario, piuttosto che sia diventata la compagnia protagonista del rinnovamento di un filone d'impegno politico che in Italia vanta illustri precedenti...

...ma la dice lunga sullo stato dell’arte anche solo il confino ipocrita a margine dei riconoscimenti ufficiali: un’elemosina, pur apprezzabilissima, della grande Giuliana De Sio per le straordinarie interpreti di ’Non tre sorelle’; uno dei sei marginali Ubu, ‘per l’attività di ricerca sul campo’ (sic!), a uno spettacolo che certo è stato tra i migliori in assoluto, come ‘Il Capitale’, di gran lunga più vivo - e/o anche soltanto meno noioso e tristemente borghese - di quasi tutti i titoli che arrivano alle varie nomination e statuette e targhe d’onore.

 E non sono certo i kepleriani, quelli che non si rendono conto di com’è urgente una radicale rifondazione del teatro italiano. Quand’era ancora solo ‘uno tra gli altri’ giovani autori impegnati e militanti, Nicola Borghesi aveva messo molto bene a fuoco, in un intervento pubblico durante la pandemia, la situazione del teatro italiano, e i guasti di una predominanza nelle sale di un ‘teatro rassicurante e spesso ornamentale, aderente a quella retorica della ‘bellezza che ci salverà’ che spesso si sente ripetere in televisione’.

 Ma è ancor più significativo, in effetti, il monologo d’autocoscienza che Borghesi interpreta a un certo punto proprio de ‘Il Capitale’, raccontando i suoi stessi pensieri e le preoccupazioni per così dire di natura etica che lo sopraffanno durante una pausa di ritorno a casa a Bologna, dopo il ‘lavoro di ricerca sul campo’ di settimane trascorse tra gli occupanti della GKN di Campo Bisenzio. 

 L’autore, l’attore e soprattutto la persona, dopo un’esperienza del genere, si ritrovano totalmente fuori luogo nel ritorno alla piacevole normalità, come se il comodo divano di casa fosse diventato più disagevole della brandina da campeggio in un angolo della fabbrica in via di dismissione.

 E’ un’invettiva vera e propria, fatta davanti a uno specchio ideale con su scritto ‘Fuck you’, del genere che a qualche dramaholico evoca vagamente la spettacolare tirata anti-newyorchese di Edward Norton per Spike Lee nella ‘25ma ora’ (‘Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it’): solo che questa volta è la città del teatro al centro di un’analisi lucida e fredda, che tanti del mestiere dovrebbero cominciare a leggere e meditare.

Nella foto di Bea Borgers, tra gli operai del collettivo di fabbrica della GKN, Enrico Baraldi (da sinistra, il terzo, dietro, in camicia), e Nicola Borghesi, che mostra 'Il Capitale' di Marx

 FUCK YOU, TEATRANTE MESTIERANTE E WOKE

 (il titolo è nostro, il testo dal Capitale di Borghesi e Baraldi)

 …Odiavo noi teatranti che in questi anni ci siamo occupati di moda, di glamour, di grandi apparati, delle performance, che cazzo performiamo. 

 Odio quelli che hanno fatto politica, che si sono preoccupati del cambiamento climatico senza pensare che cambiare il modo di produzione delle merci dalle fondamenta è l’unica possibilità di salvare questo pianeta al collasso.

 Odio chi si è accontentato di linguaggi inclusivi, asterischi, schwa, diritti civili, splendide astrazioni solo e soltanto per rimuovere che le merci, le cazzo di merci le fa qualcuno. 

 Qualcuno, per tutta la sua vita, fa le merci che noi non facciamo. E noi è l’unica cosa che davvero non vogliamo sapere. 

 Qualcuno che non incontriamo mai fa le cazzo di merci, di giorno, di notte, all’alba in dei posti dimenticati da dio che vogliamo giustamente rimuovere dalla nostra vista perché fanno schifo e puzzano di morchia e chimica. 

 Qualcuno fa le merci, idioti.

 E ancora di più odio me stesso che in una fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho nemmeno finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più. 

 Perché mi interessa solo del teatro, solo che questo spettacolo sia bellissimo, e poi di farne un altro, con una produzione ancora più grande, più luci, più tecnici, più biglietti, più soldi,

 perché io in quella fabbrica ci sono entrato solo per produrre. 

 Pezzi. Pezzi. Pezzi.

Ancora Baraldi con Borghesi al lavoro durate una prova (foto di Luca Del Pia)

NOTE

A MARGINE DELLA SQUISITA PROVA E DI UN GIARDINO DEL 2018

(1) Lo spettacolo ‘Grazie della squisita prova’, nato dall’incontro casuale tra Vetrano e Randisi e Kepler-452, torna in scena per una mini-tournée dopo il lungo impegno dei due attori con Terzopoulos per ‘Aspettando Godot’. ‘Grazie della squisita prova’ riparte da Rubiera il 3 aprile, passa da Chianciano il 6, fa tappa il 13 aprile a Imola, dove i due attori sono di casa, e poi a maggio arriverà in Sicilia, terra d’origine di Vetrano e Randisi, che in scena rievocano persino gli esordi familiari da bambini, il 22 maggio a Palermo e il 23 a Noto.

(2) Non è il primo 'non-Cechov' di Kepler-452, che nel 2018 si era fatta notare da Ert per aver proposto, con tanto di Lodo Guenzi dello Stato Sociale e Paola Ajello in scena, ‘Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso’, che nasceva dalla storia vera di Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna e che sono stati poi sfrattati.

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