" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Se Longhi e Guanciale non fanno il miracolo, finirà incornato in salsa 'pop-camp sudamericana' il torero del povero Lemebel

Lino Guanciale con Claudio Longhi sul palco del Piccolo Teatro Grassi (foto di Masiar Pasquali)
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SI RICOMINCIA CON IL BOTTO

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 Va bene, l’anno passato è andato un po’ così, e in sede di bilancio ha spinto qualche esperto a notare che, dopo le stagioni falcidiate dal Covid, è come se si fosse smarrito il senso stesso di fare teatro, almeno in Italia, almeno a Milano.

In effetti gli appassionati che hanno potuto farlo, sono andati a cercare disperatamente in giro per il mondo nuove opportunità per vivere ancora esperienze autentiche da spettatori. 

 Come si è detto, il meglio è arrivato più spesso nella danza e nel perfomativo, magari pure ‘extra moenia’, nei capannoni industriali (come è stato il caso di ‘Liberté Cathédrale’ di Bruno Charmatz a Lione e degli FCBergman a Mestre) più che nelle tradizionali sale di prosa. Questo è il punto, aldilà delle stucchevoli ritualità dei premi ufficiali e delle auto-celebrazioni.

 Meno male che adesso ci sarà una ripartenza con il botto, sulla grande scena teatrale milanese. Di certo non proprio ‘più audace e internazionale’ come auspicato, per esempio, dalla giovane critica Giulia Alonzo, ma perlomeno con nomi e temi di grande richiamo in cartellone, per il grande pubblico e pure per gli spettatori appassionati.

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ODDIO, ELIO VS FABRIZIO VS LINO

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 Negli stessi giorni - prendete nota per tempo se volete cercare un biglietto - calerà nella sale più note una concentrazione di attori da copertina di ‘Vanity fair’: Elio Germano, impegnato sul dantesco 'Paradiso XXXIII' al Teatro Carcano con il musicista Teho Teardo; Fabrizio Gifuni, con due monologhi che scavano sui misteri d’Italia, da Moro a Pasolini, al Franco Parenti; e Lino Guanciale, insolito protagonista ‘queer’ al Piccolo Teatro Grassi in ‘Ho paura torero’.

 Ancora, da un pienone all’altro continuano le incursioni su Oscar Wilde dell’Elfo Puccini, con tanto di Maratona festiva dei tre spettacoli di Bruni/Frongia, per 6 ore più 90 minuti di intervalli; si riaccendono le luci anche al Teatro Gerolamo con Lucia Vasini, che ripropone addirittura le ‘Giullarate’ di Dario Fo e Franca Rame; al Filodrammatici Viola Graziosi si lancia nella sfida impossibile con la serie tv americana su ‘Il racconto dell’ancella’; debutta inoltre il nuovo ‘Zio Vanja (Scene di vita)’ di Mtm al Teatro Litta, in una messa in scena che ‘simula’ la scuola di teatro…

 In molti, prima di tutto, attendono con il consueto affetto che merita uno degli ultimi giganti dell’autenticità teatrale, Pippo Delbono, da martedì 9 gennaio al Teatro Menotti con la ripresa di uno spettacolo-concerto di qualche anno fa, da ‘La Notte’ di Bernard-Marie Koltès.

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NIENTE PAURA, E' GIA' UN EVENTO

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 Andando con ordine non si può non partire dall’evento intorno a cui si è creata più attesa, che è sicuramente la prima regia al Piccolo da direttore di Claudio Longhi, con l’adattamento teatrale del romanzo ‘Tengo miedo torero’ di Pedro Lemebel, pubblicato nel 2001 ma ambientato nel Cile di Pinochet. Il titolo riprende una canzone popolare che il protagonista, un travestito chiamato ‘La Loca del Frente’, sta cantando alla finestra nell’incipit del romanzo.

 Aldilà del celebre tango rilanciato da Sara Montiel, è tutta intessuta con citazioni di canzoni, in effetti, l’intera narrazione originale (da cui nel 2020 è stato tratto il film di Rodrigo Sepúlveda, presentato anche a Venezia, nelle Giornate degli autori), che racconta la relazione tra questa ‘Fata dell’angolo’ (come è stata ribattezzata ‘la Pazza del Fronte’ nella traduzione italiana proposta da Marcos y Marcos nel 2004) e un giovane terrorista che, nel 1986, prepara un attentato al vecchio dittatore, episodio realmente accaduto.

 Come anticipato nelle prime interviste a margine del battage che ha accompagnato la preparazione del nuovo spettacolo, questo aspetto musicale dell’opera di Lemebel, che Longhi definisce proprio un romanzo-canzone, sarà una chiave dell'adattamento teatrale.

E, accanto alla ‘Fata Guanciale’ e agli altri sette attori, non ci sarà solo la presenza incombente e onirica del Dittatore ma anche quella della radio, veicolo di canzoni e pure media politico della resistenza.

Lino Guanciale nella foto-locandina di Masiar Pasquali per 'Ho paura torero'
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DA ELIAS CANETTI ALLA TV DI MASSA

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 Il ritorno alla regia attiva del Professore Direttore Longhi sarebbe di per sé una notizia anche se avesse scelto un classico, magari sofisticato e poco percorso come aveva fatto con ‘La commedia delle vanità’ di Elias Canetti, tra 2019 e 2020, quando era ancora alla guida dell’Emilia Romagna Teatro ERT. 

 E qui conviene ricordare che Longhi, da allievo devoto di Luca Ronconi, aveva raccolto molto bene la sfida di una ponderosa rilettura del genere, di un testo complesso, distopico e politico, in qualche modo datato ma pure sorprendentemente attuale, con una coerenza di linguaggio da regista di statura europea (complice un Fausto Russo Alesi in grandissima forma). 

 Con Guanciale, poi, Longhi vanta una tale consuetudine che qualcuno aveva addirittura parlato di un tentativo di lanciarlo come possibile successore alla guida dei teatri pubblici dell’Emilia Romagna, prima che spuntasse da Torino il nome di Walter Malosti

 E’ stato Longhi ad aver scelto di fare esordire come regista Guanciale, per l’altro testo di Elias Canetti riportato in scena cinque anni fa da ERT, ‘Le Nozze’, subito dopo aver contribuito a consacrarlo pure come icona dell’attore impegnato, con tanto di regolare Premio Ubu, nei panni che furono di Gian Maria Volonté, in ‘La classe operaia va in paradiso’.

 Ormai Guanciale è volato nell’empireo delle fiction tv, è andato persino a presentare una serie al festival di Sanremo, saltuariamente fa pure l’opinionista di giro, ovvero, come aggiungerebbe l’implacabile Cirano di Leonardo Manzan: ‘Bene, quello che avevo da dire l’ho detto, ma c’è un’ultima macchia nella carriera dell’eroe perfetto: è andato in televisione, ma compatitelo, siate carini, era ospite di Massimo Gramellini’.

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VALENZE POLITICHE E VALORI VERI

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 A questo punto, il significato di un recupero di un sovversivo autentico come Lemebel può avere tutti i sapori che ci si vogliono trovare: nell’Italia di oggi può suonare pure come una provocazione, politica e antropologica, come di certo penserà il nuovo consigliere d’amministrazione del Piccolo Geronimo La Russa

 Ma, stante anche la posizione apicale di Longhi e di Guanciale nell’industria culturale e le solide radici ideologiche, qualcuno può leggerlo pure come una consonanza piena con l'avvenuta ridefinizione dell’agenda dei valori della sinistra, che del resto si poteva già intuire dall’impegno di Guanciale accanto a Elly Schlein.

 Questioncelle tardo-piddine a parte, il punto paradossale è che nella Milano borghese del 2024 ‘Ho paura torero’ non suona come una nota a parte nella scena, non ha di per sé nessun afflato anticonformista nei tamburini del teatro, anzi: si accompagna con un’effervescenza particolare della proposta teatrale di grandi testi della cultura omosessuale, a partire appunto dalla stagione neo-oscarwildiana dell’Elfo piuttosto che dall’atteso rilancio di Koltés nello spettacolo di Delbono.

 Mentre il fronte femminista, a cui peraltro Lemebel in Sudamerica è stato così caro seppur persino in aperto conflitto, è sempre ben presidiato al Filodrammatici o al Gerolamo, con Lucia Vasini che ripropone Franca Rame, piuttosto che una settimana dopo ancora da Elena Arvigo all’Out Off e chissà mai in quale altre proposte ancora.

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CONTRO I COMPAGNI CULI FLACCIDI

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Del resto, oggi, un autentico provocatore anti-borghese a 36 carati come fu Lemebel, che ostentava anche le origini indie oltre alla diversità, è un autore che la vulgata woke ridefinisce ‘scrittore, cronista e attivista Lgbtq+ cileno, icona della letteratura queer e pop-camp sudamericana’ (citazione testuale dall’intervista di Longhi e Guanciale a ‘La Lettura’ de ‘Il Corriere della Sera’).

 Il che suonerebbe strano prima di tutto a Lemebel stesso, che i suoi seguaci considerano sempre ‘provocador, subversivo, intimidante’. E non è un caso se l'aggettivo 'intimidatorio' chiude la sequenza, dato che Lemebel ha lasciato come testamento politico un Manifesto contro il nascente (nel 1996) conformismo post-capitalista dei suoi compagni.

Non è stato tenero con la stessa ‘miserabile elemosina dei diritti civili’, ovvero ‘la sinistra che svende il suo culo flaccido nel Parlamento’. Ha scritto pure: ‘Mi fa schifo l’ingiustizia/ E non mi fido di questa cueca democratica/ Ma non parlatemi di proletariato/ Perché essere povero e frocio è peggio’. 

 Un autore barocco, eccessivo, forte di un linguaggio scorretto ostentato: ‘Non sono Pasolini che chiede spiegazioni/ Non sono Ginsberg espulso da Cuba/ Non sono un frocio mascherato da poeta (…) Parlo in nome della mia differenza’.


La citazione

A voi lascio questo messaggio
E non è per me
Io sono vecchio
E la vostra utopia è per le generazioni future
Ci sono tanti bambini che nasceranno
Con un’ala spezzata
E io voglio che volino, compagni
Che la vostra rivoluzione
Dia loro un pezzo di cielo rosso
Perché possano volare

di Pedro Lemebel, da ‘Folle affanno’ (traduzione italiana di Silvia Falorni, Edicola Edizioni, 2022). 

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