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Triennale Teatro 'si cala' una Cenerentola della Buonanotte per dare la scossa iniziale a FOG 2024

Nella foto di Christophe Raynaud un momento dello spettacolo-choc con Carolina Bianchi

  Anche armati delle peggiori intenzioni, magari con un bel Cronopio in tasca contro la Milano post-Expo (cioè il pamphlet di Lucia Tozzi), sfogliare in anteprima il programma di FOG Perfoming Arts in Triennale fa sempre un certo effetto.

 Basta partire anche solo dai numeri: alla settima edizione, nel 2024, dall’8 febbraio al 7 maggio, nell’antro teatrale del Palazzo dell’Arte di viale Alemagna e in vari altri luoghi della città, FOG presenterà 43 artisti e compagnie in arrivo da 14 paesi del mondo (Giappone, Brasile, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Francia, Svizzera, Grecia, Portogallo, Capo Verde, Italia, Australia, Islanda, Stati Uniti), 14 produzioni e coproduzioni, 4 prime assolute, 11 prime nazionali, 6 concerti e djset per un totale di oltre 100 repliche complessive, tra cui due non-stop di 6 ore.

 Passando velocemente dai numeri ai nomi e ai titoli in cartellone, la spizzicatura delle carte girate quest’anno dal direttore Umberto Angelini mostra subito due assi da sold out: Wayne McGregor, coreografo tra i più affermati, porterà il suo complesso spettacolo eco-techno-fantasy ‘UniVerse: A Dark Crystal Odyssey’; Romeo Castellucci, il guru del post-drammatico, sarà impegnato in un classico come la ‘Bérénice’ di Racine, con tanto di Isabelle Huppert in scena.

 Il tris di jolly arriva ancora una volta da Barcellona: gli Agrupación Señor Serrano con il nuovo-nuovo (anche come linguaggio teatrale) ‘Isla’, sull’intelligenza artificiale; El Conde de Torrefiel addirittura con due proposte (la prima di auto-teatro degli spettatori al Filodrammatici, la seconda performance in un cimitero); La Veronal con Marcos Morau e la potenza di coreografie immaginifiche come questo ‘Firmamento’.

  Arriveranno o torneranno anche altre personalità di particolare rilevanza artistica, come Gisèle Vienne, Marlene Monteiro Freitas, Ben Frost, François Chaignaud. Per la quota a parte della cosiddetta scena di ricerca, ecco la performer di origini brasiliane ma di casa ad Amsterdam Carolina Bianchi, con una favola nera-nera intitolata con il nome d’uso della droga degli stupri, ‘la Cenerentola della buonanotte’; ecco la brooklynese di origini nigeriane Okwui Okpokwasili con un racconto ‘fisico e spietato’ di adolescenza nel Bronx; ed ecco pure il collettivo Kor’sia di Antonio de Rosa e Mattia Russo, con base a Madrid, che prova a rifare ‘Jeux’ di Vaslav Nijinsky al circolo di tennis…

Insomma un trittico di spettacoli bello tosto, anche soltanto sul piano estetico.

 ‘Qui non si fa intrattenimento, ma cultura’ s’impanca a sottolineare Angelini, con una fermezza che ha persino qualcosa di sospetto, dato che non si può certo pensare che uno come lui diriga il Bagaglino. Forse, è come se avesse il dubbio che qualcuno pensi che anche FOG e Triennale Teatro si siano rassegnati al cartellone ‘marketing oriented’, e lo facciano benissimo rispetto al proprio pubblico. 

 Bisognerebbe a questo punto scomodare il solito Adorno francofortese di ritorno dall’esilio americano, primo critico impietoso dei cortocircuiti dell’industria culturale, ma lo spettatore appassionato alla fin fine bada al sodo e invidia persino chi fa il talent scout in giro per il mondo a segnalare spettacoli per un festival come questo, piuttosto che per un REF o una Biennale teatro. 

'UniVerse' di Wayne Mc Gregor, appuntamento clou di F0G 2024 (foto di Andrej Uspenski)

 Il comunicato ufficiale ribadisce le migliori intenzioni: ‘FOG 2024 mantiene il suo sguardo aperto sul presente, nel tentativo di restituire la complessità delle suggestioni che lo attraversano (la violenza, il potere, i temi dell’identità, l’equilibrio dell’ecosistema, il dialogo con la città), ma senza dimenticare la lezione della storia, affrontando i classici da una prospettiva inedita’.

 In apertura, ancora Angelini si era speso una bella frase sul criterio di scelta delle personalità chiamate da FOG a esprimere questa interazione con la realtà presente, e citando la sua prima collaboratrice, Bianca Ramponi, aveva parlato di una sorta di ‘leggerezza del pensiero artistico’ come filo conduttore.

 A questo punto verrebbe naturale tornare al punto di cui all’inizio, delle cattive intenzioni da letture di pamphlet sull’invenzione di Milano, quella del Bosco Verticale con la Biblioteca degli Alberi come emblema…

Non a caso, in conferenza stampa, gioca in anticipo con la battuta sul ‘gne gne’ del pubblico fidelizzato da Fog, la presidente manager di Triennale Teatro, Paola Dubini. E’ una elegante signora bocconiana, Dubini, e non riesce a sembrare antipatica nemmeno quando commenta le presentazioni artistiche con un trasognato: ‘mi veniva da pensare all’operazionalizzazione di quest’idea che la cultura sia un fattore di trasformazione’. (1). 

 Ma torniamo a quel ‘gne gne’, che si potrebbe anche tradurre come la coscienza di una certa imperturbabilità (culturale, politica e, per così dire, morale) di questo pubblico specifico da Triennale Milano. E’ un blocco decisamente più giovane e apparentemente meno borghese di quello delle sale istituzionali tradizionali: qui non si crede ancora, per esempio, ‘al dominio del testo teatrale’, per dirla con una battuta d’apertura di Angelini, casomai è la corporeità la base di questa proposta multidisciplinare. 

 Rimanendo sulle grandi categorie, le ormai quasi sette edizioni di FOG e in generale la linea di questi anni, accompagnate da un’attenta operazione appunto di marketing, con gli sconti progressivi di un programma ‘membership’, hanno riunito un pubblico particolare, aldilà di quello proprio dei festival internazionali. Verrebbe da dire, traducendo al rovescio di Roma, un preciso spaccato del nuovo ‘generone’ milanese post-borghese da Triennale di Stefano Boeri, l’architetto di buonissima famiglia autentico campione della cosiddetta classe creativa, con millennials vari di complemento.

 Presentate le dovute scuse per questo grande giro di parole, si può dire che in un cartellone di FOG è più arduo che altrove ormai identificare le proposte che suonino autenticamente e profondamente nuove o radicali, che possano insomma ancora produrre quello che una volta si sarebbe chiamato l’indispensabile effetto ‘épater le bourgeois’. 

 E’ sicuramente questo saper far leva sul turbamento che ha contribuito, per esempio, alla grande fama negli anni Duemila del ‘Grand Invité’ di Triennale, Romeo Castellucci, che sarà presente a FOG 2024 anche per un talk con Dimitris Papaioannou, altro riverito maestro del XXI secolo, coreografo greco folgorato sulla via di ‘Café Müller’ di Pina Bausch (sarà proiettata la versione filmata del suo capolavoro metateatrale 'Nowhere').

 Certo facevano scandalo o erano persino la vergogna dei familiari, per dire, anche gli artisti underground newyorchesi morti di Aids a cui è dedicato uno degli ultimi progetti originali di questa prossima edizione, ma parliamo di quarant’anni fa e di allievi riconosciuti di David Hockney, non proprio di art brut.  

 E, forse almeno per dare l’idea di non voler mancare questo bersaglio della provocazione ‘anti-borghese’, si parte l’8 febbraio proprio con una discesa agli inferi del Ghb (la cosiddetta droga dello stupro) della performance ‘Trilogia Cadela Força – Capitolo I: La sposa e la cenerentola della buonanotte’.

Questo lavoro di Carolina Bianchi è stato già un po’ l’evento scandalo dell’ultimo festival di Avignone e viene presentato con tanto di avvertenza: ‘Alcune scene potrebbero urtare la sensibilità degli spettatori (+18)’. Considerate che al festival ITI di Francoforte, quest'estate, la Nota sul contenuto era di quattro righe e aggiungeva proprio: ‘Contiene riferimenti allo stupro e alla violenza di genere’. Vedremo le reazioni del pubblico in sala, chissà che non si riveli mica poi tanto ‘gne gne’.           

 (1) Non ci si può nemmeno lasciar sfuggire ‘la presentificazione dell’inquietudine del reale’ evocata dallo schermo di un i-phone come ‘gobbo’ da Stefania Tansini, danzatrice interprete con i Motus e ora anche autrice in proprio, alle prese con la riscoperta de ‘L’ombelico dei limbi’ di un Artaud giovanile, ancora surrealista, un decennio anni prima dei manifesti sul Teatro della Crudeltà.


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