" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Il domani è la Domanda, già: e se la nuova Danza macabra di Morau riaprisse pure la stessa questione del teatro di ricerca?

Una scena di 'Totendanz' in prima mondiale a Triennale Teatro (foto di Lorenza Daverio)

 ‘Crea per te stesso e per il tuo pubblico e per tutte le persone con cui hai relazioni profonde e contro tutti gli altri’.

Jerzy Grotowski*

 E’ un’impresa essere all'altezza di un exergo così. Quasi pari allo spettacolo andato in scena, nell’opulenta Milano da (ri)bere del disastrato autunno del 2024, in un edificio museale anni Trenta di stile moderno tradizionalista.

Ancor più arduo valutare correttamente una prova ambiziosa e unica come la presentazione di una nuova ‘Totentanz’ (il termine originale da cui il francese Dance macabre, poi importato tal quale in italiano), oltretutto di base coreografica, pur nella legittima aspirazione ad essere uno spettacolo totale.

 Trattandosi poi dell'ultimo lavoro di un personaggio come Marcos Morau con La Veronal, ovvero di un fenomeno di prim’ordine sbocciato circa una decina d'anni fa, si scivola facilmente sul terreno accidentato dell’invidia o del pregiudizio. 

Non giova in proposito neppure la notizia che, dopo il successo mondiale, Morau ha trovato ora anche in Italia una notevole risonanza persino mediatica, Rai Cultura, addirittura, lo ha voluto e messo sotto contratto per il balletto di Capodanno da Venezia.

 Al solito, il racconto sulle reazioni e le percezioni del pubblico può cominciare dal momento in cui si ritrovavano a dover uscire le varie pattuglie di spettatori che hanno applaudito convinti le tre repliche a raffica di martedì 8 ottobre, alle ore 19-21-22.30.

Tutti hanno seguito attentamente, badando di non inciampare, l’itinerario degli attori-ballerini che sembravano usciti da un quadro del Barocco spagnolo, dentro la Triennale di viale Alemagna, dal prologo nello spazio centrale tra ingresso, libreria e  bar, al tragitto ‘penitenziale’ lungo scalone e poi nell’enorme curva vuota e semibuia al primo piano e, infine, appoggiati per una buona mezz’ora al muro o per terra nella grande sala, fino all’epilogo.

 Tra commenti vari e sempre molto sofisticati, considerato il livello da ‘audience-caviar’ dei triennalisti, s’incrociavano citazioni più o meno appropriate d’arte e cultura iberiche, con vari ricorsi del marchio Fura del Baus, così che Francisco de Zurbarán e Diego Velázquez s’incontravano idealmente con Marcel•lí Antúnez i Roca e persino con Pedro Almodovar, insieme con tanti richiami alle precedenti, e perlopiù travolgenti, esibizioni dei La Veronal nello stesso Teatro dell’Arte

 Facilmente molti, tra i non ‘già imparati’ che non si vergognano di esserlo, compulsavano subito il programma di sala, che si poteva raccogliere da un tavolo all'uscita dove campeggiavano anche le copie dell’opuscolo della nuova stagione ‘Legacy. 50 anni di teatro’ con cui Triennale vuol rendere omaggio all’eredità del CRT Centro di Ricerca del Teatro.

E così i più umili potevano scoprire - o mettersi bene in testa - che Morau è il nuovo vanto di casa, ‘Artista associato di Triennale Milano Teatro per il triennio 2025-2027’, proprio nell’anno in cui si conclude il periodo da ‘Grand Invité’ di Romeo Castellucci.

 E’ chiaro, ognuno ha il rango che si merita, e il volitivo guru della Raffaello Sanzio Societas non si fa certo mettere il sale da Associato sulla coda, nemmeno a Salisburgo o a Parigi. Gli è che, come spiega a chiare lettere la copertina del programma di Triennale Teatro, Morau è entrato nei titoli di testa subito sotto a sinistra del Grand Invitè in uscita, e sulla destra c’è Daria Deflorian, una attrice-creatrice che può passare subito dall’Odèon di Parigi con il suo nuovo ‘La Vegetaria’, per otto repliche in Atelier Berthier...

Oltretutto, come notava qualcuno più avveduto, quest’anno, in vetrina, Triennale, invece che confermarsi nell'ormai solito immaginario deliziosamente freddo, ha deciso di puntare su un’illustrazione più d’impatto, anche se sempre un po' 'intellectual coolnes', firmata dal graphic-designer veneziano Lucio Schiavon.

Siamo al limite del ‘chic-et-choc’, aggiungerebbe quasi perplesso il modaiolo borghese milanese di mezz'età e oltre, con tutte quelle scritte, i cognomi in maiuscolo, i segni e le sottolineature. Un cambio d’iconografia,  peraltro, molto coerente con il contenuto proprio dell’eredità del CRT originale, ma questo è un dettaglio.

L'illustrazione di Lucio Schiavon scelta da Triennale Teatro per la Stagione 2024

 A proposito della sfida davvero notevole che Morau ha voluto affrontare in apertura di stagione a Milano, quel che sottilmente si poteva intuire - come in una sorta di messaggio subliminale della copertina stessa del programma, che confermava quanto appena visto - era in qualche modo il tentativo operato dal nuovo Associato di sentirsi appunto dentro la linea di un teatro artistico segnato dalla cultura degli anni Settanta.

E, pure, in un altro senso, anche lo sforzo di mostrarsi all’altezza, anche in termini di grandiosità, dell’ormai ex Grand Invité, maestro riverito del post-drammatico fine Novanta, il cui cognome campeggia sopra al suo stesso, di Morau, che pur appare evidentissimo, sottolineato da un punto cerchiato proprio sotto Romeo e ribadito da quel La Veronal riquadrato a incastro.   

 Ovviamente, in 'Totendanz' c'è soprattutto il distillato puro dell'onirico stile 'visionario' dei grandi successi di Iper-Marcos.

'Quando ti definiscono visionario significa che sei consapevole di quello che sta succedendo nel mondo e di come le regole della società, ma anche della creatività e dell'arte in generale si stanno evolvendo, stanno andando avanti' spiegava bene Morau stesso, in un'intervista del 2024 a Lorenzo Merlini.

Nelle stesse dichiarazioni al sito di Triennale (in cui tra l'altro si scopre il ghiotto particolare che il logo La Veronal si riferisce al nome di un ...sonnifero!), Morau ribadisce: 'come artista voglio essere comunque avanti (avanti, si noti bene, non d'avanguardia, ndr.) non nel senso di essere il primo, ma di provare ad anticipare. L'arte da sempre cerca di camminare un po' più avanti della storia e della società'.

In ogni caso stavolta, nella costante ricerca di Morau, c’è chi ha intravisto qualcuna delle Castellucci’s quotes, magari in un certo uso della luce, ma era forse più un sentore d’insieme.

Peraltro un effetto strepitoso d’illuminazione dall'esterno del sito nel passaggio chiave, sembrava simile a uno snodo del kolossal-capolavoro ‘Liberté Cathédrale’ di Bruno Charmatz con Wuppertal di Pina Bausch e Terrain insieme.

Nient’altro da dire, oltre a ‘tanto di cappello’, sulla visionarietà del progetto, del resto chi conosce già il miglior Morau regista e direttore artistico non poteva avere dubbi, e infatti i posti disponibili sono volati via in un soffio.

Anche solo il rapporto tra i ballerini e i due stupefacenti manichini di cadaveri femminili ha avuto momenti imperdibili; l’enorme croce di neon per terra e quell’assetto da luogo di culto nel salone, il ritmo ovviamente e i movimenti, fanno perdonare forse qualche piccolo eccesso nei costumi e il montaggio televisivo di spezzoni di realtà del mondo contemporaneo che danza ormai moribondo.

 Forse questo era il fulcro Seventies e pure la seconda parte della firma Marcos Morau. Cedendo la parola a un’esperta riconosciuta, come Francesca Pedroni, ecco quanto scrive su 'il manifesto' a proposito della consacrazione italiana di Morau, con la chiamata di Aterballetto per una nuova coreografia cui è seguito l'interessamento della tv pubblica.

'Dopo aver visto qualche suo lavoro più splendente, dal tellurico ‘Sonoma’ a ‘Firmamento’ dedicato all’adolescenza o a quel favoloso riflesso sul perché del teatro che è ‘Opening Night’, nati per il suo collettivo di Barcellona La Veronal, si esce animati da un desiderio di azione di fronte alla realtà in cui viviamo’.

Attenzione, spoiler: il gran finale della prima di 'Totendanz' (foto di Lorenza Daveri)

Nell’ormai fittissima agenda internazionale di Super-Marcos ci sarà presto spazio per la ripresa di ‘Totentanz’, che peraltro porta come sottotitolo quel ‘Morgen ist die Frage’ (il Domani è la Domanda) che campeggiò a caratteri cubitali nel 2020, in epoca pandemica, su uno striscione che fu affisso sulla facciata del Berghain, palazzo cuore della scena techno berlinese.

Non a caso, nell'elenco della trentina collaborazioni internazionali di Iper-Marcos, ora Morau segnala per prima, in verde fluo, quella più prestigiosa, di 'artista residente allo Staatsballett Berlin'.

Tra parentesi, in quel di Berlino, il coreografo nato a Valencia nel 1982, si trova collocato sul versante per così dire classico, di creatore chiamato a rinnovare la danza in un contesto tutt'altro che d'avanguardia, ma proprio istituzionale.

Nella stessa capitale teatrale artistica tedesca, peraltro, il lato vero e proprio dell' innovazione è fiorente e rapidamente esonda nelle sale tradizionali, dove lavora, tra gli altri, quella Florentina Holzinger che in tema di coreografie-spettacolo forti fin quasi allo scandalo è la vera nuova stella d'Europa, dopo le incursioni accanto a Milo Rau e il nuovo spettacolo alle Wiener Festwochen.

(Magari il valente direttore di Triennale Teatro Umberto Angelini sta già pensando di giocarsi la carta Holzinger per l'edizione 2025 di FOG?!)

 Ora, restando a Iper-Marcos, sarebbe alquanto interessante andare a vedere quali ritocchi eventualmente Morau apporterà a ‘Totentanz’ per il prossimo 9-10 novembre, quando il nuovo show, sempre in una versione site-specific museale, è atteso al Festival de Otoño ‘Pilar de Izaguirre’ di Madrid, da molti anni riferimento di punta per le nuove tendenze internazionali.

E, soprattutto, quali saranno le reazioni di un pubblico decisamente più abituato alle varie evocazioni artistiche sottostanti, insomma culturamente più corrispondente, come capiterà poi ancora in occasione delle altre repliche spagnole. In particolare, volendo essere fino in fondo turisti-dramaholici, varrebbe la pena di non mancare al Teatro Llure de Gràcia, dal 5 al 15 dicembre, in quel di Barcellona, dove è la casa vera e propria dei suoi La Veronal.

 La prima scheda di presentazione ufficiale per il festival madrileno racconta infine meglio di qualunque cronaca lo spettacolo:

 ‘Se c’è una verità scomoda, è quella della morte. Nel presente sembra essere rimandata. La si dà per scontata, ma allo stesso tempo appare lontana, remota, incomprensibile. Nel Medioevo si ballava una danza, giustamente chiamata danza della morte, per esorcizzare la paura dell'aldilà. È possibile oggi riprendere quell'idea di liberazione medievale, di assunzione della finitudine celebrandola nuovamente, quando sembra assumere forme decisamente contemporanee come parate, photocall, sale da ballo, rave?

 Marcos Morau, fondatore della compagnia La Veronal nel 2005 e vincitore del Premio Nazionale della Danza nel 2013, ritiene che questa prova sia possibile rivolgendosi al rito per affrontare la fine della vita, riprendendo quelle eterne domande che il mondo si pone quasi dalle sue origini: chi siamo, dove andiamo, cosa significa questo luogo che abitiamo?

 Per il suo nuovo spettacolo, ‘TOTENTANZ - Morgen ist die Frage’, ha pensato a un luogo non teatrale, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, dove prenderà forma la concezione scenica de La Veronal, tra danza, immagine, letteratura e musica. Tre gli spazi in cui verrà proposta 'Totentanz': uno per la proiezione di un video, un altro per un'installazione e il terzo per una performance, gli spettatori saranno coinvolti fin dall'inizio in una sorta di seduta spiritica, ‘inquietante ma ridicola’, come la definisce Roberto Fratini, autore della drammaturgia dell'opera.

 Durante la seduta spiritica, i corpi ‘sembrano parlarci dalle ultime soglie del mondo’. Da lì inizia un viaggio che mette in conflitto l'eterno dilemma che separa la vita dalla morte. Quest'ultima è allegoricamente incarnata da due corpi inerti e ossuti. ‘Sembra’, spiega Marcos Morau, ‘che abbiano più indizi sull'aldilà, come se lo visitassero spesso. O forse sono solo due marionette, due figure congelate sotto l'inverno infinito di Madre Morte’. 

 Come le danze medievali, anche queste nuove rianimano l'agitazione dei corpi, che si perdono nell'oscurità dei sensi e soccombono alla trance della musica e della danza che porta alla catarsi.

 Più di cinque secoli dopo, la danza della morte torna così a convocare gli esseri umani. ‘La nostra Totentanz’, dice Morau, ‘non è altro che un invito a celebrare la fragilità della vita e a meditare sulla sua perdita di valore. L'attuale disprezzo per i valori della vita è direttamente proporzionale all'incapacità generalizzata di interpretare, danzare e officiare la morte come mistero’.

P.S.: Sulla stessa pagina di presentazione, dopo questa bella chiusa che non sarebbe dispiaciuta a un Norbet Elias, con un tocco cult degno di un festival di tendenza compare anche il link a una pagina di un sito universitario madrileno. E si vede così la riproduzione di quella che viene considerata la prima opera d’arte che raffigurò queste rappresentazioni allegoriche tradizionali del Medioevo, la Dance macabre anonima dipinta sui muri del cimitero degli Innocenti di Parigi e purtroppo perduta da secoli, ma fortunatamente ricopiata da Guy Marchat in un disegno del 1486, oggi conservato nella Biblioteca di Grenoble.  

 * citazione posta in exergo da Mauro Bigonzetti sul suo sito personale.

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