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20.11.2024
Il mondo è un labirinto ad alta tensione, ma a volte è la famiglia che va in cortocircuito. Dopo 'Unfolding an Archive' di Zoë Demoustier
E’ quasi una sorta di cortocircuito, almeno dal punto delle cronache familiari. Ché è anche di questo, in fondo, che si parla a proposito di ‘Unfolding an Archive’ (Spiegare un archivio), assolo di danza, presentato a Milano in Zona K il 4-5 aprile scorso, da Zoë Demoustier che fa i conti con l’archivio di suo padre Daniel, giornalista di guerra per più di 25 anni.
Questa perfomance è stata il terzo atto del focus Transiti della stagione di Zona K, che porta il titolo complessivo di Geografie e più che lodevolmente contribuisce a portare a Milano tanti buoni esiti dalle nuove frontiere del teatro, con un’attenzione particolare al genere che si può definire ‘di realtà’ o documentario, che attraversa le varie discipline della danza, della prosa e delle perfomance artistiche, per uscire volentieri e spesso dall’angusto spazio della sala della rappresentazione.
Il cortocircuito familiare di Zoë, riassumendo il più possibile, è il seguente: una figlia giovane, ballerina di professione, ormai alla soglia della maturità decide di partire canonicamente alla ricerca del padre, un foto-video-reporter sempre in giro per il mondo e con le valigie pronte anche durante le brevi pause a casa, ma che adesso è bloccato tra cliniche e terapie invasive per combattere un tumore maligno ai linfonodi.
La figlia ne approfitta per prendere conoscenza in qualche modo della vastissima produzione di immagini del padre, studia l’archivio a fondo insieme con la madre e alla fine sceglie una ventina di tracce sonore da altrettanti diversi luoghi delle tragedie del mondo, intorno alle quali costruire una coreografia.
Ovviamente in questo caso - come si poteva apprendere anche dalla viva voce di Zoë stessa in un breve approfondimento dopo lo spettacolo - il movimento e la danza spariscono un po’ sullo sfondo, servono giusto per tracciare una mappa, come fa Zoë in scena, arzigogolando sul pavimento nero con una sorta di bastone caricato a polvere di gesso.
Per spiegare il cortocircuito, si tratta di un omaggio fatto solo di suoni, cioè senza mostrare niente, nemmeno una foto celebre, come se non ci fosse bisogno di vedere altro che i gesti, a volte inquietanti o grotteschi, della performer e una labile contorta traccia di gesso. Eppure si sta parlando di un padre che ha rincorso per il mondo un’immagine di realtà dopo l’altra, soprattutto le più drammatiche e commoventi.
Tra parentesi le immagini proprio di Daniel Demoustier sono state usate a teatro, eccome, per esempio da Milo Rau, per imbastire la base di realtà del suo ‘Oreste a Mosul’ (i video originali girati in Iraq s’intrecciavano con il consueto lavoro di Moritz von Dungern, il documentarista che ha collaborato in modo determinante a costruire il linguaggio misto dell’intera Trilogia dei Miti e dei lavori più notevoli del Maestro post-manifesto di Gent).
Ed è poi quasi paradossale che al risultato da cortocircuito contribuisca in qualche modo anche l’equivalente assenza, o meglio l’evocazione analoga sullo sfondo, della danza stessa. Considerando poi, per chiudere con le cronache familiari, che Demoustier è un vero e proprio appassionato di danza contemporanea, figlio di una ballerina e padre di tre figli che danzano professionalmente ad alto livello (una appunto è Zoë). Ha anche lavorato in vari progetti, papà Daniel, per la compagnia-mito Rosas di Anne Teresa De Keersmaeker e per la stessa Ultima Vez di Wim Vandekeybus con cui oggi collabora la figlia.
Allora, in questo progetto ‘Unfolding an Archive’ che cosa può aver confinato in disparte, così soltanto a livello evocativo, le immagini di una vita da inviato al fronte di papà Daniel, e pure il teatro-teatro di cui è stato collaboratore entusiasta (oltre a Rau ha lavorato anche alla trilogia sulla storia nera dell’Europa di Luc Perceval, altra firma di punta della scena belga di Gent) o addirittura, in fondo, la danza stessa, che è poi in qualche modo è la passione trasmessa ai figli?
La risposta che è arrivata con disarmante sincerità da Zoë, alla fine della rappresentazione il 5 aprile a Milano, riporta ancor più all’interrogazione sul paradosso e il cortocircuito. Ed è stata che, dopo aver esplorato l’archivio del padre, ha deciso intenzionalmente di non uscire dalla sua stessa storia e dal suo rapporto di figlia con un padre inviato sulle tragedie del mondo, tant’è che anche molti dei suoni riportano agli aspetti di relazione tra i reporter stessi e con i media che li mandano al fronte. Zoë ha scelto in qualche modo, cioè, di tenere fuori il mondo.
A evitare accuratamente la riproduzione di foto drammatiche l’ha spinta anche l’influenza diretta delle tesi di Susan Sontag nel celebre pamphlet ‘Il dolore degli altri’. E così ‘Unfolding an Archive’ appare un singolare esempio di teatro-danza-documentario che invero non documenta, se non evocando attraverso i suoni, e non mostra nemmeno troppo la danza.
Appare una perfomance che semplicemente sottolinea, anche grazie al cortocircuito familiare, il paradosso dell’eccessiva mediatizzazione che anestetizza la percezione non solo del dolore degli altri, ma del mondo intero e delle sue dinamiche.
Sembra un lavoro di passaggio, l’uscita da una linea d’ombra, del resto tutti nella vita, prima o poi, devono fare i conti con la figura paterna.
Zoë, che continua anche a lavorare come insegnante per i più giovani a La Geste di Alain Platel, saprà come far maturare ancora la sua poetica nei prossimi spettacoli con Ultima Vez, soprattutto dal più ambizioso e generazionale ‘Hear the silence'.
Come spiega una dettagliata scheda di Chiara Carbone, sul sito di Zona K, Zoë Demoustier ‘dal 2022 ha già realizzato con Ultima Vez la produzione su larga scala ‘What Remains’, un movimento poetico sospeso fra diverse generazioni che racconta il cambiamento delle persone, il meccanismo di creazione dei ricordi e la paura di perderli. Nel 2023, a Montreal, Zoë ha dato vita a ‘Choeur Battant/Beating Choir’ e al momento sta lavorando a ‘Hear The Silence’, una nuova produzione che vedrà la luce nel 2025. Sul palcoscenico saliranno sei artisti di estrazione e origine diversa, accomunati dal fatto di rappresentare la voce, il potere e la vulnerabilità di tutti i giovani del mondo’.