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Facile indovinare chi vinca la sfida tra l'Intelligenza Artificiale e quella naturale di una compagnia che si sa rinnovare, no?

Carlota Grau in 'Una isla'

 Vien voglia di cominciare con una nota di genere, a rischio di far diventare questa cronaca un passaparola degenere. Sarà stato lo stimolo della giocosa e arrembante presenza dell’editore arcobaleno Sui Generis, con banchetto all’ingresso del TPE Teatro Astra di Torino, per questo evento domenicale del Festival delle Colline con Agrupación Señor Serrano. Sarà, però viene subito da dire che stavolta, nonostante il maschile inscritto nel logo della compagnia e nei nomi di Àlex e del nostro Pau (Palacios è italiano d’adozione), i Serrano si mostrano tanto al femminile.  

 ‘Una isla’, che è poi un titolo al femminile, si fa infatti notare per la presenza di una protagonista in carne ed ossa, la talentuosa performer Carlota Grau Bagés, per l’insolita e indovinata coreografia, curata da Nùria Guiu, e per una macchina perfetta, iper-tecnologica, che si deve al contributo di tanti creativi coinvolti ma sicuramente anche alla capacità organizzativa dietro le quinte di Barbara Bloin, storico ‘Jefa de Gabinete’ dei Serrano. 

 Porta al femminile anche il tema prescelto, davvero arduo, dato che è un po’ il convitato di pietra dell’umanità occidentale di oggi, l’eterea e oscura Intelligenza Artificiale. Per non dire che alla fine spetta a una bambina, seppur mascherata da Gufo Giallo, chiudere la pièce risolvendo in qualche modo la situazione.

 Da fonti attendibili era trapelata la notizia che Àlex e Pau aspettassero con una certa apprensione questa prima torinese, per valutare le reazioni allo spettacolo che segna un cambio di rotta dei Serrano, e che dall’esordio al Grec di Barcellona si era portato dietro qualche pur misurata perplessità critica.

 Dopo le prime repliche, anche nella compagnia stessa ‘Una isla’ aveva lasciato un po’ l’effetto che fa in auto 'una sequenza di brusche sterzate con il volante', così ha detto qualcuno, e forse è stato necessario operare piccoli aggiustamenti, come d’abitudine si fa con grande cura nel teatro artistico di ricerca.

 Gli spettatori da Festival delle Colline torinesi non sono proprio di bocca buona. E anche se nella tiepida domenica pomeriggio del 22 ottobre molti potevano essere arrivati all’Astra passando in mezzo alla festa municipale di 'Cit Turin', tra le parate degli anziani ballerini e le bancarelle, su una strada intitolata alla Duchessa Jolanda, all’ingresso del teatro la sensazione era già netta: no, ‘Una isla’ non si sarebbe misurato con la cara, vecchia e buona borghesia della Piccola Torino.

 Si notavano subito tanti giovani anche un po’ hipster e in sostanza un pubblico dall’aria decisamente intellettuale, alcuni con relativa ‘tote bag’ per libri, giornali o cataloghi, e soltanto uno, apparentemente, che aveva riempito la spòrta cult con vasetti di salsa verde e antipasto piemontese al mercatino rionale (indovinate chi, è facile).

 Oltretutto, a una prima così, non mancano gli addetti ai lavori, magari arrivano trafelati da una gita con il pile ancora addosso, e ci sono pure i reduci da festival, biennali e altre meraviglie. Tanto per dire, al primo crocchio origliato, un giovane alto e chiccoso incantava gli amici con il racconto dell'estatica visione a Mestre, in un capannone industriale, di ‘Het land Nod’ (La Terra di Nod) del collettivo belga FC Bergman.

 Tanto per dire, ma poi mica tanto: parliamo di una compagnia che si è giustamente meritata anche il Leone d’Argento quest’anno, e di uno spettacolo eccezionale, messo a punto nel 2015, lo stesso anno in cui, guardacaso, sempre parlando di Biennale Venezia, Agrupación Señor Serrano si è portato a casa il ‘Leon de Plata’ per l’innovazione (1), che ancora mostrano orgogliosamente sulla testata del loro bel sito web.

 Alla fine, uscendo dallo spettacolo torinese, in un altro capannello si poteva per esempio origliare una signora sui quaranta che diceva alle amiche: ‘meno male, dalle foto temevo un’altra perfomance come l’altro giorno…e invece che bella questa, e quanta roba, rispetto a quella delusione di…’ (seguiva il nome di un'arcilodata compagnia, ma si dice il peccato ma non il peccatore).   

 Del resto, in sala, gli spettatori erano stati di un’attenzione e d'una concentrazione come raramente capita di vedere a teatro, e ha avuto il giusto effetto ammaliante la sequenza dei singolari movimenti di finto stretching di Carlota Grau (tra l’altro applaudita anche all’Antic Teatre di Barcellona con la sua prima creazione personale dal titolo ‘Tsunami’, chissà se qualche volonteroso di Zona K o che, la vorrà invitare a Milano…).

 Gli applausi non sono certo mancati, anzi, sono stati ripetuti più volte, con varia intensità ma consenso generale, a parte un solitario tiepido, chissà perché, in prima fila a sinistra.

Chi è fresco di ricordi delle urla, con battuta di mani e piedi in sincrono, dei giovani spettatori francesi entusiasti per l’energia sprigionata dai ballerini di La Horde o dei Dyptik, all’ultima Biennale di Lione, deve però fare lo sforzo di ri-contestualizzare.

Torino è un mondo austero e il pubblico preparato non si entusiasma mai così tanto; è assai dosato il linguaggio della danza contemporanea, a cui giustamente si sono aperti anche Àlex e Pau; l’uso così perfetto delle nuove tecnologie strega, ma in qualche modo stordisce pure...

 E si potrebbe continuare: quel grande gioco di parole affidato alle sovrascritte è davvero impegnativo da seguire (come peraltro si poteva già notare dai primi esperimenti di El Conde de Torrefiel); ‘Una isla’, pur piacevolissimo spettacolo, è prima di tutto una vera sfida intellettuale, che diventa dichiaratamente ‘troppo imbarazzante’, e non si può nemmeno chiudere, se non con una metafora insieme altamente simbolica e dispettosa… 

 … commenti e riflessioni del dopo non sono mancati e chissà quanti avranno continuato a parlarne. Tenete d’occhio l’agenda di questa compagnia, ‘Una isla’ non si può perdere: cominciate a segnare il 3 febbraio al CSS di Udine.

 Purtroppo nella bacheca di Agrupación Señor Serrano un bel premio per l’innovazione c’è già: è che continuano a voler fare i conti con il presente, e lo fanno così bene, con una misura insieme leggera e profonda. Dio solo sa quanto sia difficile, lavorando su contenuti difficili davvero, rinnovare la sfida del teatro, però tutti possiamo vedere quanto siano preziosi quelli che ci riescono.

 (1) LA MOTIVAZIONE DEL LEONE 2015

Il Leone d’argento per l’innovazione teatrale - recitava il comunicato della Biennale di Venezia del 3 agosto 2015 - è stato attribuito alla compagnia spagnola Agrupación Señor Serrano secondo la motivazione del Direttore Àlex Rigola: ‘per la ricerca di un teatro personale in cui il linguaggio delle immagini raggiunge una forma universale. Per la capacità di convertire i suoi spazi scenici in spazi installativi. Perché sa convertire la videocamera in protagonista di storie teatrali. Per aver assunto il linguaggio del cinema nel mondo delle arti sceniche senza perdere i valori insiti nella materializzazione viva delle storie; il che significa un equilibrio perfetto tra ciò che si mostra e come lo si mostra. Per aver ottenuto un’attenzione internazionale rapida e di successo in pochissimo tempo. Per il senso, lo sforzo e il valore che comporta scommettere oggi su una compagnia del sud Europa e mantenersi saldi nelle proprie convinzioni etiche ed estetiche'.

In passato il riconoscimento era stato attribuito a Rimini Protokoll (2011), Angélica Liddell (2013) e Fabrice Murgia (2014).

Da sinistra, Pau Palacios, Barbara Bloin e Àlex Serrano (foto di Jordi Soler)

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