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Se fosse per Liv Ferracchiati sarebbe il Gabbiano-no-no e no, e c'è di mezzo pure un Impostore americano

Laura Marinoni (Madre) e Giovanni Cannata (Figlio) in 'Come tremano...' al Piccolo Studio (foto Masiar Pasquali)

 Ci fosse almeno un punto interrogativo, per esempio alla fine del titolo, e non una parentesi seguita dall’originale russo, al femminile, del termine che in italiano indica l’animale ‘gabbiano’: ‘Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka)’, di Liv Ferracchiati, è lo spettacolo che debutta sabato 27 gennaio al Teatro Studio Melato del Piccolo di Milano e resta in cartellone fino al 25 febbraio.

 Tanto per mettersi un po’ in modalità Ferracchiati, ovvero per stare sull’autoreferenziale e il contraddittorio, in questa effimera cornice elettronica si parla di teatro, come recita il logo dramaholic, ‘da spettatori fanatici, che amano lasciarsi trasportare sotto l’onda dei sentimenti umani’.

 E allora no, come direbbe subito Liv, per favore no: quante volte, ancora di recente, abbiamo dovuto chiudere gli occhi e sognare che siano ricomparsi degli eredi legittimi di Anton Čechov (e perché no? anche di Shakespeare) e grazie ai migliori studi legali internazionali riescano a gestire con la più rigida severità i diritti di rappresentazione. 

 Oddio, non è poi che questo tipo di filtri, per quanto dettagliatamente applicati, funzionino sempre a dovere, e non basta nemmeno aver lasciato didascalie a prova di bomba.

Ricordiamo, solo di recente, almeno uno/due disdicevoli Beckett, pur autorizzati, come di rigore, a fronte peraltro di diversi bellissimi adattamenti, da ‘Fin de partie’ in versione opera lirica di György Kurtág per la regia teatrale del franco-libanese Pierre Audi al Teatro alla Scala, cinque anni fa, fino all’ultimo ‘Aspettando Godot’ di Terzopulos.

 E no, allora, povero Čechov e povero Gabbiano, per giunta con tanti pulcini Malcovati (cognome non proprio bene-augurante del professore-traduttore e teatrante esperto Fausto Malcovati). A parte che l’altr’anno ne abbiamo visto un altro ‘malcovato’, integrale-originale, di Gabbiano, da applausi a scena aperta, firmato da Leonardo Lidi, in attesa di vedere come ha fatto ‘Zio Vanja’, ma serve soltanto per l'ennesima digressione.

 Tra l’altro, è bene ricordare come il Gabbiano sia diventato un capolavoro del teatro soltanto tre anni dopo il fallimentare debutto come ‘lieve commedia’ delle intenzioni cechoviane, e soltanto dopo il trattamento drammatico, a suon di punti di sospensione, delle regie di Stanislavskij…

 Però, no, sempre per contraddirsi: alla fine che cosa può mai rimproverare uno spettatore-lettore fanatico ad un autore come Ferracchiati, classe 1985, che perlomeno dichiara a priori di essersi ‘liberamente ispirato’, e niente più, al celeberrimo/a ‘Čajka’? 

 E, poi, che si potrà mai obiettare di fronte all’ambizione di un titolo, ‘Come tremano le cose riflesse nell’acqua’, così onestamente cambiato eppure altrettanto onestamente plagiato, e questa volta da una frase cardine del racconto di David Foster Wallace ‘Caro vecchio neon’? 

 ‘Per tutta la vita sono stato un impostore’ è l’incipit di questo straordinario testo di ‘finzione’, il monologo post-mortem di un suicida, pubblicato dall’autore del grande romanzo americano ‘Infinite jest’ qualche anno prima di decidere d’impiccarsi, al culmine di una straordinaria carriera.

 E no, ci vuole una bella dose di coraggio a mettersi apposta nei guai con cotanto DFW per rimaneggiare ancora il povero Čechov, quasi come a presentarsi nelle occasioni speciali con quelle giacche classiche oversize da uomo, e pure a sottolineare il maschile nelle risposte che parlano di sé, come ha fatto Liv l’altro giorno a Milano, per correggere addirittura la giornalista politicamente corretta che lo interpella al femminile, forse più woke, non sapendo come declinare in pronuncia la e rovesciata della schwa, piuttosto che un asterico…

 Ma no, suvvia: questo o questa ‘…(čajka)’ è un grande gioco letterario, che passa addirittura dichiaratamente pure per ‘un’orribile storia’ raccontata da Maupassant, ‘La madre dei mostri’, ed è un raffinato gioco a incastri tra testi che sono già essi stessi a incastri…

 E non è finita, perché d’incastri ne arriva poi un altro, fondamentale, scritto da Ferracchiati stesso durante le prove, che s’interseca direttamente con le personalità e le storie degli attori in scena (altro rischio da capogiro, soprattutto al Piccolo oggi, dopo quel ‘Prima’ di Pascal Rambert…).

 No, ma no, l’abbiamo appena visto, anche questo: l’ha fatto qualche mese fa Irina Brook con gli allievi della scuola del Teatro Biondo di Palermo e la solita straordinaria Pamela Villoresi, il titolo era ‘Seagull dreams’; l’aveva anche già fatto, divinamente, sia per il linguaggio misto sia per l’attualizzazione al Brasile contemporaneo, Christiane Jatahy con ’Tre sorelle’, lo spettacolo-gemma che ne ha rivelato il talento creativo (1). 

Come ha dichiarato in qualche intervista, Čechov è stato un autore di formazione per Ferracchiati, prima ancora di entrare nel mondo del teatro.

 E proprio un adattamento cechoviano ha fatto brillare nel teatro italiano la stella di Ferracchiati, con una Menzione Speciale per ‘La tragedia è finita’, Platonov, alla Biennale Teatro del 2020, dopo che si era già affacciato sulla grande scena varcando in fretta i confini della sua Umbria.

Vale la pena perciò di rileggere adesso la motivazione messa a verbale dall'allora direttore Antonio Latella: ‘Liv Ferracchiati affronta in modo semplice, ma convincente e toccante, il protagonista di un testo classico (Platonov di Čechov) con i suoi propri pensieri autobiografici come lettore della storia.

Nell’indagare i personaggi e le loro motivazioni da un punto di vista attuale, emerge un testo nuovo che non solo mette in discussione il ruolo del testo classico nel teatro di oggi, ma libera i personaggi dalla ‘prigionia’ dell’epoca nella quale sono stati creati.

Liv Ferracchiati non è soltanto autore e regista dello spettacolo. Interpreta anche la figura di un nuovo personaggio, il Lettore del testo, con una tale straordinaria e dedicata autenticità, che come personaggio diventa essenziale per il successo dell’opera, impostando un dialogo ironico e illuminante tra se stesso e l’autore russo.

Nell’eliminare alcuni personaggi maschili e mettendo invece quattro donne al centro della scena, gli spettatori del 2020, che potrebbero trovare antiquata la politica sessuale e di genere di Čechov, possono immediatamente ritrovarsi nei commenti satirici e imperturbabili del Lettore su ciò che accade in scena. 

  È ovviamente un valore aggiunto il fatto che Liv sia anche un attore straordinario’.

Da sinistra, Nicola Pannelli, Giovanni Cannata, Cristian Zandonella, Camilla Semino Favro, Marco Quaglia, Roberto Latini, Laura Marinoni e Petra Valentini in 'Come tremano...' al Piccolo Teatro Studio (foto Masiar Pasquali)

 Attenzione adesso: diversamente dal Platonov, e dall’applaudito precedente milanese di ‘Hedda Gabler’, nonché da varie altre esperienze, stavolta Ferracchiati cambia passo scegliendo lodevolmente di concentrarsi a fare soltanto il regista-autore.

Liv resta fuori dalla scena e mette addirittura un giovane debuttante, pescato per caso durante le prove, Cristian Zandonella, a recitare il personaggio, il Maestro, che aveva pensato per sé.

 Attenzione, ancora un passaggio: con il corpo di Liv attore si ha la sensazione che esca di scena anche proprio il simbolo fisico del sovra-tema dell’identità di genere, su cui Ferracchiati lavora da anni.

Stavolta si sottrae per meglio mettere a fuoco il problema della ricerca di una realizzazione e di una rappresentazione di sè attraverso l’espressione culturale, il che peraltro è un sottotesto universale del focus identitario, anche se in questo caso ruota cechovianamente sul fare il teatro, piuttosto che con DFW riconoscersi scrittore-impostore…   

 Ma basta bla-bla, andiamo al sodo: ‘lodevolissimevolmente’ ci sarà ancora un altro giovane attore esordiente, Giovanni Cannata, (allievo di Liv all'Accademia D'Amico a Roma) che è stato chiamato a fare addirittura Kostia, ovvero il protagonista ribattezzato tout court Figlio.

Un Figlio che qui è ancor più protagonista, perché la rilettura di Ferracchiati sembra giocarsi sulla voglia di liberazione di Kostia dal doppio giogo femminile della madre (Laura Marinoni) e della fidanzata Nina (Petra Valentini).

 Nel cast, che tra le donne vede anche Camilla Semino Favro (la Vicina), spiazza la scelta di Petra per Nina, che nell'originale in russo sarebbe una bella ragazza giovanissima.

E, altro che vamp: questo metro e cinquanta d’energia teatrale che è la Valentini, a ben vedere appare ormai qualcosa di più che l’attrice per eccellenza del Ferracchiati-associato-Piccolo, fa quasi l’alter-ego di Liv, e con il Teatro-istituzione fondato da Paolo Grassi si è appena guadagnata l’Ubu come migliore under 35 (era anche nel cast dell'iper-costruzione teatrale e mediatica di ‘Anatomia di un suicidio’).

 Bon, sia quel che sia, viene da aprire subito il bigino di Freud notando come stavolta Ferracchiati se ne sta accucciato dietro le quinte a contemplare il suo protagonista che prova a scrollarsi di dosso l’oppressione sia di una madre che non sa essere una buona madre nemmeno quando deve fasciare la testa al figlio (spoiler, è la scena chiave) sia di una matura fidanzata che è un po’ la personificazione del Teatro come scelta di vita…

Ogni ipotesi è lecita, compresa quello di un messaggio trasversale, molto amletico, forse persino al Direttore-tutor Claudio Longhi... Ma no, dai, suvvia...E forza Petra! 

  Eh no, però, davvero no: basta provocazioni. Ci vuole rispetto, ormai Ferracchiati è un protagonista a tutto tondo, viaggia per i quaranta anche se sembra un ragazzo, è un potente e riverito Signor Associato al Piccolo Teatro, è uno che può dire a buon diritto che, se Čechov gli sembra ormai un amico, non sarebbe mai uscito a bere qualcosa con Ibsen...(motivo in più, tra i tanti, di dramaholica simpatia).

E, per sua fortuna, Ferracchiati può esprimersi ancora al Melato, che è un contesto perfetto per chi è in grado di cimentarsi con un teatro di livello artistico innovativo.

 Il piccolo Piccolo, già Teatro Fossati, denominato Studio e dedicato a Mariangela Melato nel 2013, ha ospitato tante splendide occasioni, da tutto il mondo, per spettatori appassionati, e ancora in quest’ultima stagione ha visto librarsi nell’aria una ventata di fresco con la complessa e intrigante ‘Trilogia della città di K.’ di Fanny&Alexander.

 Oltre al vantaggio del piccolo Piccolo, Ferracchiati incassa l’appoggio convinto di una macchina potente dell’industria culturale come quella del teatro pubblico milanese, che garantisce non solo consenso e pubblico, ma prima di tutto può mettere a disposizione mezzi e professionalità in abbondanza, e quindi anche attori di livello.

Il che può essere pure un problema, perché poi vanno gestiti e pure tanto coccolati, se non sei Strehler o Ronconi. 

 E stavolta c’è più di un talento per così dire maturo e difficile, anche al maschile. Tanto di cappello al coraggio di Ferracchiati che deve alzare la bacchetta e far suonare primi violini con scaffali già pieni di premi, come, per esempio Roberto Latini, il Romanziere (o Trigorin), ma anche lo ‘Zio barbudos’ Nicola Pannelli, fiero di mostrarsi in T-Shirt filo-palestinese alla conferenza stampa, oppure Marco Quaglia che si dice intimidito e amante dei contesti teatrale off, lui che pure in tv ha fatto ‘Incantesimo’.

 Alla fine ‘Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka)’ sarà dunque osservato da tutti con la massima attenzione, anche per il forte sapore meta-teatrale.

Qualcosa fa pensare che cotanta carne al fuoco possa trasformarsi in un piatto da Masterchef, ovvero addirittura una creazione che costituisca anche per Ferracchiati un ‘turning point’, come ha detto Giorgio Locatelli presentando in tv il Cyber Egg di Scabin (2). Così anche quest’uovo cibernetico tra Gabbiano, Maupassant e Foster Wallace, è un appuntamento da non perdere. 

  Le repliche non mancano, basta riuscire a procurarsi per tempo il biglietto

NOTE

(1) Chris Jatahy - peraltro prima firmataria di un autografo d’incoraggiamento per dramaholic - sta preparando il debutto di marzo all’Odeon di Parigi di un suo nuovo ‘Hamlet’ tutto al femminile - tanto per stare in tema, di rimaneggiamenti e, che diavolo!, poichè anche il Gabbiano per qualche studioso è un po' Amleto...

…E, per quanto riguarda 'Tre Sorelle', a Torino dal 30 gennaio al TPE Teatro Astra, ridebutta la versione contemporanea firmata Muta Imago, ovvero : 'Come delle maghe o delle medium le sorelle mettono in campo strategie di sopravvivenza, vengono attraversate dalle voci e dai corpi dei protagonisti maschili, rivisitano momenti, luoghi e situazioni del racconto'.

La prima a Roma è stata un successo, e la tournée poi toccherà Milano, in Triennale.

(2)  L'uovo cibernetico creato dallo chef stellato torinese Davide Scabin si presenta come un fagottino trasparente chiuso da un filo di nylon sottilissimo (0,3 millimetri). Al suo interno ci sono caviale Asietra (o Oscietra), scalogno, tuorlo d'uovo, pepe bianco e qualche goccia di vodka. (da 'La Cucina Italiana')

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