

Identità, che parola sconvolgente nell'Europa di oggi: 'Parallax' e pochi altri appuntamenti imperdibili
09.03.2025
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I supereroi esistono davvero, si chiamano Michele Andrei, Paolo Giovannucci, Stefano Laguni e Isacco Venturini e sono gli interpreti di 'Zorro', il fantasmagorico, strepitoso spettacolo di Antonio Latella e Federico Bellini in scena al Piccolo Teatro di Milano sino al 16 febbario.
Improbabili cavalieri di una prossima apocalisse, forse solo moschettieri, o più semplicemente fantastici, i nostri quattro iniziano la loro mirabolante performance già nell’atrio del teatro, accogliendo il pubblico come questuanti di strada, freezati nelle plastiche pose del vecchio Elvis. Poi sempre mascherati da Presley in versione Las Vegas, scorrazzano indomiti tra palco e platea per le tre ore successive.
Inscenando una folle quadriglia in cui si scambiano continuamente i ruoli, di volta in volta saranno a turno il Povero, il Poliziotto, il Muto e il Cavallo, ovvero i fluidi protagonisti di quella che sarebbe riduttivo descrivere come una sapiente disquisizione sulla povertà e sul suo rapporto con l’autorità.
Il testo di Latella e Bellini semmai si interroga sulla possibilità e l’onestà del discorso, a partire dal senso stesso del linguaggio, smascherato dalle sue convenzioni sin dall’incipit della prima delle sette quadriglie in cui si articola.
Attraversando la narrazione di una realtà tanto ingiusta da sembrare distopica, approda all’urgente questione sul significato medesimo della rappresentazione, qui disinnescata delle sue consuetudini dalla tagliente scenografia di Annelisa Zaccheria e dalle luci potenti di Simone De Angelis.
Ma questo raffinatissimo percorso verso l’autocoscienza per spettatori rammolliti e creduloni, non sarebbe possibile senza la complice guida dei suddetti magnifici quattro: affiatatissimi, infaticabili e giocosi, saltabeccano leggiadri tra i lemmi sacri del teatro, disposti e disponibili a tutto pur di incarnare, anche solo sporadicamente, un Verbo in grado di restituire a tutti un’identità, per quanto complessa e sfiancante.
Attori maiuscoli e rigorosi, al punto che, come racconta Latella in un’intervista, non disdegnano di vivere nel quotidiano facendo lavori comuni (cassiere, gelataio) se non trovano progetti che li convincano.
Grazie a loro possiamo credere a quanto gli autori sembrano suggerire: il teatro forse non riuscirà a salvarci, ma può restituirci la dignità della consapevolezza, come nell’accorato monologo conclusivo del pertinace Zanni vestito a lutto.