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'L'appuntamento' è prima di tutto con il coraggio di Andrée Ruth Shammah: una nuova sala, Roy Chen e la ripresa della 'storia di un cz ebreo'

Marta Pizzigallo in 'L'appuntamento' al Teatro Parenti

 Aldilà della travolgente personalità, bisogna onestamente riconoscere che ci vuol soprattutto coraggio per essere Andrée Ruth Shammah. Non le bastava l’attuale notevole molteplicità del suo Teatro Franco Parenti, riassunto nella scheda ufficiale: ‘5.400 mq distribuiti su 3 livelli, in 8 differenti sale e spazi che convergono verso il cuore del Teatro, l’ampio e luminoso Foyer ritmato da passerelle e vetrate affacciate sulle due piscine all’aperto’.

 Non erano sufficienti la preoccupazione di riempire, a 500 posti per volta, la Sala Grande, no, piuttosto che l’impegno per programmare tanti diversi spettacoli negli altri luoghi delle rappresentazioni, ormai estesi financo all’area della palazzina esterna, e in estate dei bordi della vasca, de I Bagni Misteriosi.

 No, voleva un’altra sala, giusto una soltanto in più, la Shammah (classe 1948! per quanto inelegante sia va pur sempre ricordardato): magari uno spazio concepito in modo meno classico, più vicino a quella che dagli anni Settanta è quasi diventata la nuova tradizione del teatro contemporaneo: ed ecco fatto la nuova sala A2A, dal nome dello sponsor istituzionale milanese, con 150 posti per il pubblico diviso in due tribune laterali e lo spazio centrale per la rappresentazione.

L'A2A del Parenti verrà inaugurata con una tre giorni di preview, 5-7 aprile, del nuovo spettacolo ‘Chi come me’, presentato semplicemente come ‘una pièce sul disagio giovanile che interpella e commuove il pubblico’. 

 E anche solo un’occhiata alle prime righe della locandina, offre l’occasione di ribadire il tema del coraggio della fondatrice-direttrice-animatrice infaticabile di questo grande spazio teatrale, culturale e sociale di Milano semicentro, zona Porta Romana. 

 ‘Chi come me’, che nasce da un’esperienza reale dell’autore in un centro di cura del disagio giovanile, è uno spettacolo di Roy Chen (giovane scrittore israeliano di prim’ordine, molto rappresentato a Tel Aviv e negli altri teatri del suo Paese), che è stato tradotto da Shulim Vogelmann (nientemeno che la figlia del fondatore, erede e oggi direttrice della pregevolissima casa editrice La Giuntina di Firenze) e viene messo in scena (adattamento, regia e costumi) da Andrée Ruth Shammah stessa. 

 Detto tra parentesi, ARS è ancora lì in pista, come prima e più di prima, per quanto ogni anno faccia balenare l’ipotesi di un suo ritiro dal ruolo di regista, per quanto voglia pur promuovere la carriera registica del figlio stesso, Raphael Tobia Vogel, per quanto s’impegni a legare al teatro figure di protagonisti in grado di rivestire alla meglio tutti i ruoli, davanti alla scena e dietro le quinte, non ultimo il più giovane dei post-ronconiani Fausto Cabra.

 Naturalmente un minimo di cultura ebraica tradizionale non guasta, per inquadrare meglio il caso del coraggio di Andrée Ruth, il cui secondo nome biblico, che afferisce alla progenitrice di Davide, è come una promessa.

‘Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te’, comincia così nella Bibbia la celebre frase di Rut (nella versione italiana 1,16-17), rivolta alla suocera Noemi - sono rimaste tutte vedove, lei, la sorella Opra e la mamma, perciò sono tornate a vivere insieme nella casa di famiglia - : ‘perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta’.

La scelta di Rut, di rinunciare a rifarsi una vita distante dalla suocera, determinerà, per farla breve, il destino stesso del popolo d’Israele: immortalata anche da una poetica illustrazione di Marc Chagall, ancora oggi affascina commentatori d’ogni confessione e indirizzo, anche laici e post-nietzschiani come il filosofo Massimo Cacciari.

Ecco, oggi, a maggior ragione dopo il 7 ottobre e con la guerra a Gaza, ci vuol coraggio per davvero a mantenersi così fedeli al proprio nome e alla propria storia di ebrei nell’attività teatrale e culturale, anche a Milano, appunto, dove non sono mancati episodi di antisemitismo e ogni settimana sfila un corteo contro Israele. 

 E non è che la Shammah viva sulla luna o sia il tipo propriamente disinteressato, anzi: sa bene come incontrare i gusti del pubblico e offrire anche una programmazione per così dire ‘d’intrattenimento’, che facilmente riempie persino la Sala Grande, con titoli e protagonisti di richiamo pop. In questi giorni, per esempio, è di scena Lino Guanciale ma la collezione dei ‘francobolli’ del Parenti in cartellone è, anno dopo anno, impressionante.

 Epperò si vede che, chissà, da qualche parte, lo spirito errante di Antonin Artaud - uno che da ragazzo ha cominciato a dar di matto quando ha scoperto le radici ebraiche e ‘deicide’ della sua famiglia - spira fin dentro al Parenti di Milano, con l’eco del suo incipit al manifesto: ‘Non si può continuare a prostituire l’idea di teatro, perché il suo valore risiede esclusivamente in un rapporto magico e atroce con la realtà e con il pericolo’.

  In effetti, scorrendo più attentamente le molteplici occasioni che Andrée Ruth raccoglie e ripropone, si scopre subito anche la notevole quota più impegnata, nel senso di esplicitamente indirizzata a un teatro vivo, vero e al presente, senza sconti e senza inganni.

I più critici possono accusare di ambivalenza la programmazione complessiva, e amen, ma nessuno può negare che sia puntuale ad abbassarsi verso il largo, con una certa dignità, restando però sempre attenta a mantenere anche il profilo alto, fosse pure per pochi spettatori. Un esempio, uno soltanto: l’ultimo preziosissimo ‘Album’ di Kepler-452 è andato in scena a Milano nella piccola sala Zenitale della palazzina dei Bagni del Parenti, per una trentina di fortunati.

La nuova sala A2A ospiterà 'Chi come me' di Roy Chen per la regia di Andrée Ruth Shammah

 Così, in questi giorni, en attendant ‘Chi come me’ di Roy Chen, il Parenti ha tirato fuori di nuovo, addirittura, ‘L’appuntamento, ossia la storia di un cazzo ebreo’. E’ l’adattamento teatrale, firmato dal regista d’opera e di eventi Fabio Cherstich, e interpretato da una valentissima attrice milanese d’adozione, Marta Pizzigallo, del romanzo-monologo ‘Un cazzo ebreo’, best-seller d’esordio della scrittrice tedesca Katharina Volckmer.

 Già solo il testo di partenza è del genere da immediata aggettivazione banalizzante: come da titolo, appare quanto mai ‘audace e provocatorio’, considerando poi che mette insieme due problemi di quelli che aveva accostato per primo giusto il sessuologo Wilhelm Reich, il teorico della ormai quasi dimenticata ’energia orgonica’ e del rapporto stretto tra autoritarismo e repressione sessuale.

 In realtà 'L'appuntamento, ossia la storia di' (questo è il titolo ridotto sui ticket), che debuttò al Festival di Spoleto nel 2022, lavora sorprendentemente su uno dei temi sottostanti - ovvero, quanto sia impossibile provare ad essere autenticamente se stessi tanto siamo tutti abitati dalle vite degli altri che ci hanno preceduto - al provocatorio flusso di coscienza della protagonista. 

 Lei è una donna tedesca, nipote di ferrovieri che furono direttamente collaborazionisti nell’Olocausto, che ama e odia la sua nazione, sogna persino di incontrare Hitler nell’intimità, ha una vita disordinata e una relazione occasionale con un pittore, è in piena crisi di genere e adesso vuole farsi trapiantare un membro maschile ebraico, da un ginecologo pure lui ebreo, che assiste immobile al delirio pre-operatorio…

 Com’è evidente, siamo dunque prima, e in qualche modo anche ben oltre, ‘La zona d’interesse’, il film di Jonathan Glazer purtroppo travolto dagli strali polemici post-Oscar. Senza rovinare troppo la visione a chi volesse recuperare ‘L’appuntamento’ nei prossimi giorni, entro l’11 aprile, dovere di cronaca porta a registrare l’ammirato entusiasmo degli spettatori nei confronti della bravura di Marta Pizzigallo, e pure lo sbigottimento di una buona fetta di un terzo dei presenti, alla replica del 4 aprile nella sala piccola, ora ribattezzata Blu. 

 La giovane davanti in fila H cercava di seguire lo spettacolo e insieme le reazioni del fidanzato, che la tranquillizzava sussurrando ‘no, no, mi piace, è forte…’. La signora della coppia al centro in fila I, addirittura, continuava a provare a distrarsi dalla crudità della rappresentazione cercando conforto negli stramaledetti social sul cellulare; il compagno ogni tanto le rivolgeva la parola e pare d’aver sentito più di una volta l’invito: ‘usciamo?’  

 Stando alla rassegna stampa appesa alla lavagna fuori dalla sala, ‘L’appuntamento’ ha fatto breccia sul versante femminile della critica titolata, anche se, guardandosi meglio intorno, l’altra sera, sembravano più a proprio agio gli spettatori uomini, che infatti hanno trascinato anche con vari ‘brava!’ il coro degli applausi che ha costretto la Pizzigallo a numerosi rientri in scena. 

 L’eclettico e visionario Cherstich è sicuramente un regista da tenere d’occhio, il contesto scenico e d’allestimento di questo ‘L’appuntamento’ è proprio d’impatto, in modo pregevole e nient’affatto volgare va dritto allo scopo ‘del cazzo ebreo’, ossia picchia duro (senza paura d’apparire ripetitivi, è condivisibile anche stavolta il giudizio con appunto critico finale di Enrico Fiore). 

  Deve piacere particolarmente il lato oscuro, a Cherstich, visto che ha appena affiancato un’altra delle promesse latelliane del teatro italiano, Fabio Condemi, nell’ideazione, per ERT Emilia Romagna Teatro, del nuovo ’Nottuari’ da Thomas Ligotti. L’autore americano di ‘Teatro grottesco’ è più conosciuto come filosofo a cui erano ispirati i dialoghi più letterari, e neo-nichilisti radicali, della prima serie di ‘True Detective’. 

 Il nuovo spettacolo, che di certo confermerà lo standing di Cherstich come regista di riferimento per le generazioni post-borghesi millennial, dopo un fortunato debutto al Teatro India di Roma, è in scena fino al 14 aprile all’Arena del Sole di Bologna (e, a sfregio dei bolognesi trapiantati più a nord, è stato preceduto dalla ripresa di 'Non Tre Sorelle' e sarà seguito dalla prima di 'Santa Giovanna dei Macelli' di Bertolt Brecht, che vede in scena per ErosAntEros la band slovena Laibach e un insolito cast internazionale).

 Per tornare a Milano, da un punto di vista del contenuto ‘L’appuntamento’ è consigliabile soltanto a chi non trovi a priori irritante la mescolanza delle questioni di genere, così tanto percorse di questi tempi, con il Tema storico che secondo Adorno non avrebbe reso possibile nemmeno un verso in più di poesia, e che invece è per eccellenza il più evocato e narrato e divorato dalle parole e dalle immagini di tutte le arti. Una sorta di Non Inedito, talmente sviscerato che non ha lasciato scoperto nessun risvolto, non certo, nello specifico, l’intreccio perverso tra nazismo e sessualità. 

 E con la sola evocazione delle teorie reichiane la memoria corre veloce agli anni Settanta, e a qualche scena indimenticabile di realtà che imita il teatro, nelle toilette-salotto degli studenti ribelli, o anche solo recalcitranti, del liceo classico Luigi Galvani di Bologna. Tra gli inevitabili ‘La sai l’ultima’ e ‘Che c’hai una paglia?!?’, capitava di sentire berciare dietro al fascistello di turno, tutto diversamente virile e palestrato, che aveva provato a dir la sua in assemblea ed era stato azzittito: ‘si vede subito che è soltanto un povero busone represso, come diceva Reich dei nazisti, un omosessuale mancato’…

Già, è proprio vero, alla fine ‘Il cazzo ebreo’ e la poetica di Katharina Volckmer insegnano soprattutto che ogni persona resta inevitabilmente impigliata nelle proprie radici.

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