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20.11.2024
L'effetto parallasse di un nuovo gioiello Proton-ico, scandaloso per l'Europa alla deriva e pure per la nostra ipocrisia borghese
E poi viene il momento in cui tocca di parlare di ‘Parallax’, lo spettacolo teatrale ungherese forse più emozionante e di certo anche più disturbante visto nei festival d’Europa, da Vienna Fiestwochen (dove è stato creato nel maggio di quest’anno), ad Atene Epidaure e infine a Parigi d’Automne, per non dire dell’accoglienza in Germania, dal Kampnagel di Amburgo a Berlino, HAU Hebbel am Ufer, piuttosto che a La Comèdie de Geneve.
E bisogna parlarne - anche se non sarebbe proprio il caso, Orban imperante - con la necessaria leggerezza nel cuore, perché è così che chiede d’avvicinarsi la sfavillante poetica teatrale stessa dell’ormai celebre regista Kornél Mundruczó (1).
Un piccolo sorriso, prima di tutto, va speso a priori per la quantità di accentuazioni sbagliate in cui s’incappa inevitabilmente dal magyar nyelv all’italiano, tra textedit, word e programmi vari di editing, con quei maledetti correttori automatici e nonostante i ‘copia-e-incolla’.
E’ che, purtroppo, bel aldilà dei riconoscimenti internazionali, o forse anche a causa del successo, la condizione attuale del Proton Theatre in patria non deve essere proprio leggera.
L’ineffabile tiranno ungherese che tiene in scacco l’Europa riuscirà a soffocare anche questa straordinaria esperienza che ha appena quindici anni?
In questi giorni continua a lavorare alacremente, nella sede del teatro a quattro passi dal Danubio di Pest, in Pozsonyi út, la cofondatrice Dóra Büki, che amministra la baracca e cura la produzione degli spettacoli.
Il che è tutt'altro che semplice: per mettere insieme i soldi e allestire il nuovo 'Parallax' ci sono voluti tre anni e passa di lavoro, e nemmeno un euro arriva dai finanziamenti pubblici ungheresi.
Ora, Mundruczó è uno che potrebbe pure far conto di non aver più particolari problemi personali, dopo i successi anche al cinema, tra cui un primo film in lingua inglese molto apprezzato, ‘Pieces of woman’, tra i più visti di Netflix.
Si potrebbe tranquillamente rifugiare ovunque, il nostro Kornél con la moglie e co-autrice Kata Wèber, persino a Hollywood, se non appunto in modo stabile all’interno di un teatro di lingua tedesca, oppure nel prestigioso Teatro d’Europa Odéon di Parigi, che è il primo co-produttore di questo ‘Parallax’.
Ma la fine dell’esperienza del Proton sarebbe comunque una mezza tragedia per tutti gli artisti e i professionisti ungheresi che hanno lavorato così bene insieme in questi anni, nonché una notizia parecchio preoccupante per il nostro vecchio disastrato continente dove arte e cultura sembrano disinteressare i più.
Aveva profetizzato il peggio Mundruczó stesso, durante la sua ultima intervista a Milano, per il sito di Triennale Teatro, in occasione dell’annuncio di una ripresa, riveduta e corretta a Vienna, della sua versione del ‘Winterreise’ di Schubert, con i rifugiati migranti come protagonisti.
‘Nella nostra struttura organizzativa, tutti i miei colleghi, sul e dietro il palco, sono miei partner artistici, insieme ai quali sviluppo i progetti, a volte per mesi e mesi’, spiegava il regista e autore ungherese a fine novembre del 2022: ‘Attualmente con Proton Theatre sto allestendo un nuovo spettacolo (il ‘Parallax’ di cui bisogna poi qui dire, ndr.) ma siccome sta diventando sempre più difficile operare in maniera indipendente in Ungheria, questo sarà probabilmente il nostro ultimo lavoro’. Sic.
Aldilà di quel che può succedere a Budapest, gli appassionati che hanno colto l’ultima occasione di vedere ‘Parallax’ al Festival d’Automne, dal 10 al 18 ottobre, confidano di poterlo di nuovo gustare con i sottotitoli in italiano, all’inizio della primavera del ’25, al Piccolo Teatro di Milano.
Il direttore riconfermato del Piccolo Claudio Longhi, che fu tra i primi a valorizzare Proton in Italia con il festival ‘Vie’, quand’era a capo di ERT Emilia Romagna Teatro, è entrato pro-quota già nella partita della produzione del nuovo Mundruczó, accanto a Wiener Festwochen, che ha tenuto a battesimo lo spettacolo nel primo anno della direzione di Milo Rau e, soprattutto, all’istituzione gemella nobile parigina, l’Odéon appunto.
Ora di ‘Parallax’ se ne può - anzi se ne deve! - cominciare a parlare proprio per l’incertezza sul futuro del Proton, sperando che non caschi tutto nel silenzio dell’indifferenza, com’è successo per esempio nel caso di Lev Dodin e del suo Malyj di San Pietroburgo, fatto chiudere per settimane dalla polizia politica di Putin dopo l’invasione dell’Ucraina, poi ridotto a portare in tour nel ’24, soltanto una rappresentazione - una! - di ‘Zio Vanja’, e per giunta ovviamente in Russia, e faticosamente ora alla riapertura con ‘Reparto n.6’.
Bisogna ora riprendere bene il filo della leggerezza, perché ‘Parallax’ è uno spettacolo tutto da godere, con passaggi molto divertenti e un catartico finale, commovente e trasognante, nonostante sia una storia che parla di ebrei sopravvissuti all’Olocausto nella Mitteleuropa delle risorgenze nazi-fasciste.
Sarebbe facile ricominciare dal significato effettivo di quell’avvertenza in neretto sul programma dell’Odéon, ‘À partir de 16 ans. Ce spectacle comporte des scènes à caractère sexuel pouvant heurter la sensibilité du public’.
‘Possono urtare’, bell’eufemismo: qui si parla - attenzione, spoiler! - di un’orgia omosessuale realistica nuda e cruda, con droghe e condom berlinesi e sex-toys relativi, sederi e piselli bene in vista, che ha fatto alzare dalla poltrona e uscire subito almeno due-tre signore...
E parliamo pur sempre di un piccolo selezionato pubblico da festival, in sala Berthier, che sarebbe poi un Teatro Studio in periferia a Parigi, non di una grande sala in centro dove una certa borghesia va quasi per default.
E il bello è che una mezz’ora dopo la fine di quella rappresentazione, in un piovoso sabato 12 ottobre, ‘en attendant’ uno dei convogli notturni della linea 13 o 14 della metropolitana, sull’ultimo marciapiede alla stazione ‘Porte de Clichy’, al limite della ‘zona urbana’ - la sala Berthier è nel 17mo arrondisment - sono arrivati alla spicciolata e divisi in due gruppi quasi tutti gli attori di ‘Parallax’.
Riconoscibilissimi perché vestiti più o meno come in scena, alquanto informali e non certo da eleganti borghesi.
Seguita da tre dei colleghi maschi la superba protagonista Emőke Kiss-Végh, che sarebbe poi una normalissima signora sui quaranta, era intabarrata in uno sgualcito impermeabile: dagli stivali di cuoio belli vissuti spuntavano dei calzettoni sportivi alti.
Il giovane bravissimo co-protagonista, Erik Major, sceso per ultimo sul binario della metro in compagnia dell’attore che in scena faceva il personaggio più sordido, come uno studente universitario che trova casualmente il professore alla fermata dei mezzi di trasporto pubblico, s’è appalesato in jeans e giubbotto con un cappello da baseball in testa e lo zainetto in spalla.
Ebbene, a parte ‘les italiens’ in trasferta teatrale, non li ha omaggiati né salutati con enfasi e gratitudine nessun altro degli astanti sul marciapiede della metro, che erano perlopiù l’ultima pattuglia di spettatori uscita dal teatro.
Anzi, sembrava proprio che alcune signore che avevano appena visto i Proton-ici magiari così impegnati nell’orgia in scena, avessero persino abbassato apposta lo sguardo.
Sarà stata soltanto una sensazione, certo. Per analogia ricordava quella provata a Venezia, due o tre Biennali teatrali fa, di fronte alla coppia di porno-attori ingaggiati all’uopo di un’indimenticabile versione teatrale di ‘Interviste con uomini schifosi’ di Foster Wallace, firmata da Yana Ross per il teatro di Zurigo.
Ebbene, ben pochi spettatori avevano salutato, dopo le rappresentazioni all’Arsenale, e-o in giro per il quartiere Castello, i due riconoscibilissimi interpreti hardcore, mentre gli altri ‘normali’ e molto meno identificabili attori svizzeri, qualcuno li ha pure riconosciuti e riveriti.
Imbarazza anche noi illuminati borghesi, in fondo, il realismo estremo e crudo di questo doppio schiaffone a Orban caricato da Mundruczó con Kata Wéber al manrovescio, che colpisce dritto sull’omofobia muovendo dal tema ancor più sensibile dell’antisemitismo.
E pesa tantissimo perché - superspoiler! - a voler organizzare l’orgia, mettendoci un sacco di soldi, è un rispettabile professore universitario compagno di scorribande di un esponente politico sovranista, che si dichiara felicemente sposato con figli e s’impanca poi in un'autodifesa assolutamente bizzarra in un simile contesto.
Il ‘parallasse’ del titolo, che allude alla diversità di vedute rispetto alla prospettiva di chi guarda e da cui si guarda, funziona dunque perfettamente, anche nei confronti degli spettatori. Lo raccontano alcune reazioni immediate e anche solo la prima rassegna stampa di critiche imbarazzate.
Già, gli stessi ‘espertoni’ francesi, pur dichiarati progressisti e/o di sinistra laica, soprattutto le signore critiche teatrali, manifestamente imbarazzate dopo aver dovuto assistere a un’orgia omosessuale maschile ‘chemsex’ così da vicino, non sanno bene come prendere questo piccolo gioiello troppo spinoso.
E tendono a esprimersi sulla base di criteri estetici, sottovalutando il significato politico dell’opera. Così si spendono in perplessità piuttosto vaghe Joëlle Gayot di ’Le Monde’ (è un racconto ‘troppo ellittico’, quasi di maniera) e Lucile Commeaux di ’Liberation’ che chiosa: ‘si esce con la tenace sensazione di un esercizio eccellente di arte del montaggio che vuole nascondere la ripetizione del già visto’.
Una studiosa da riviste militanti come Catherine Châtelet espone la sua compiuta analisi di ‘Parallax’ su ‘sceneweb’, e dopo averne evidenziato le presunte forzature, sentenzia: alla fine lo spettacolo è proprio come un parallasse ‘qui ne tranche jamais’, che non decide mai…
Spiega lo stesso regista nell’intervista concessa per il dossier francese di ‘Parallax’: ‘Ho scoperto il termine parallasse grazie al thriller di Alan J. Pakula ‘The Parallax View’ (che fu tradotto in italiano, ahinoi, ‘Perché un assassino’, ndr). Questo concetto viene applicato nella scienza e nell’arte per mostrare come un cambiamento nella posizione dell’osservatore possa modificare radicalmente il modo in cui un oggetto viene osservato. In relazione alla storia è tutta una questione di prospettiva!’
‘Il punto di partenza del mio ‘Parallax’ è l’esperienza della Shoah negli anni ’40’, continua Mundruczó, ‘ma la storia si sposta nella prospettiva di una madre dei giorni nostri e di suo figlio, che rappresenta il futuro. Per il giovane affermare la propria identità gay è più urgente che affermare quella ebraica. Vive a Berlino e torna a Budapest, dove incontra altri giovani gay. Ma anche loro hanno altre prospettive sull’identità queer, a causa del contesto socio-culturale. La prospettiva, come posizione politica, linguistica e culturale da cui si parte, contribuisce a creare identità estremamente distinte all’interno dello stesso Paese o della stessa famiglia’.
Onestamente non si può chiudere così, senza citare ancora almeno l’indimenticabile prova di Lili Monori, già icona femminista di metà anni ’70 nel film ‘Nine Months’ di Márta Mészáros, e qui nei panni dell’anziana sopravvissuta, nata e cresciuta nel campo di Auschwitz, protagonista dello strepitoso prologo con riprese dal vivo e…(no, basta spoiler!).
La precisione con cui vengono ritagliati i personaggi si deve ovviamente, di base, al testo scritto dalla Wéber: valga anche solo la sequenza dei nomi Eva-Lena-Jonas, che caricano già tanto di senso biblico la successione generazionale. Ma, aldilà del significato letterale e letterario, è l’impasto complessivo della proposta di Mundruczó e del Proton a colpire di nuovo nel segno.
Si è di fronte a una sorta di ‘iper-realismo magico’ all’europea, per dirla con una definizione approssimativa, dove una riproposizione cruda e fin quasi chirurgica di realtà è interrotta da alcuni momenti fantastici, ‘trasognati’.
‘Parallax’, dopo aver costretto lo spettatore a tenere lo sguardo basso, fin quasi alla vergogna, lo trascina ‘oltre il sogno’ negli snodi chiave, con passaggi a effetto assolutamente unici. Peccato solo non poterli/volerli spoilerare, nella speranza che Proton viva e lotti insieme a noi, speriamo in tanti, a metà marzo, nel teatrone di Milano intitolato a Giorgio Strehler!
(1) Kornél Mundruczó e l’Italia
(Dalla biografia nel Dossier de la presse di ‘Parallax’, distribuito dall’Odéon di Parigi). ‘Nato nel 1975, Mundruczó ha studiato all'Università ungherese di cinema e teatro e oggi è un rinomato regista europeo di cinema e teatro, i cui lavori sono presentati nei più prestigiosi festival del mondo.
Lavora con grande entusiasmo per il palcoscenico dal 2003. Per creare i nuovi progetti si affida anche agli stessi attori che lavorano con lui e, dopo aver consolidato la collaborazione con lo stesso gruppo di persone per diversi anni, nel 2009 ha fondato a Budapest la compagnia indipendente Proton Theatre, con la produttrice teatrale Dóra Büki.
Nel 2017 è stato candidato in Germania per il Faust Award (prima nomination per una compagnia teatrale non tedesca, nella storia di questo premio) per la sua straordinaria regia dello spettacolo ‘Imitation of Life’, il vero e proprio cavallo di battaglia del Proton, che ha celebrato la 100ma replica il 27 aprile del 2023 a Budapest.
La sua regia di ‘Evolution’ è stata considerata il momento più saliente dell’edizione 2019 del festival Ruhr-triennale (istituzione capofila della produzione stessa dello spettacolo). L’adattamento cinematografico della pièce è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes nel 2021, nella sezione Cannes Première.
Dal 2003 Mundruczó è anche regista d'opera. ‘L’affare Makropulos’, presentato in anteprima al Flemish Opera House di Anversa, è stato nominato per l'International Opera Award nella categoria Best New Production, un risultato senza precedenti per una produzione ungherese.
Nel 2003 Mundruczó ha fondato la società di produzione cinematografica Proton Cinema Ltd. Il suo terzo lungometraggio, ‘Johanna’, adattamento operistico della storia di Giovanna d'Arco, è stato presentato al Festival di Cannes. Nel 2014, il suo sesto lungometraggio, ‘White God’, ha vinto il premio principale nella stessa sezione. Sempre a Cannes ma nel concorso ufficiale, sono stati presentati poi i suoi film ‘Delta’ (2008), ‘Tender Son’ (2010) e ‘Jupiter's Moon’ (2017).
Il suo primo film in lingua inglese, ‘Pieces of a Woman’, è stato presentato alla 77ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2020 ed è diventato un successo su Netflix’.
In Italia Proton è conosciuto da alcuni anni, dopo il passaggio a Roma Europa Festival nel 2012 con 'Disgrace', della prima versione di ‘Winterreise’ al Mittelfest di Cividale del Friuli nel 2018, le rappresentazioni di ‘Imitation of Life’ alla rassegna Vie di ERT nel 2019, al Festival delle colline a Torino nel 2021 (lo stesso anno in cui vengono invitati alla Biennale di Venezia con 'Hard to be a God) nonché al Teatro Bellini nel '22, con varie occasioni d’incontro poi a Milano in Triennale Teatro.
Il vero primo debutto italiano si deve comunque al Festival di Santarcangelo del 2011, dove è stato rappresentato il lavoro che per primo ha rivelato Mundruczó sulla scena internazionale, ‘Frankenstein-Project’. Lo scrittore esperto di teatro Gianni Manzella, tra i primi avvertiti cantori del Proton-style, scrisse un’entusiasta recensione su art'o che terminava così: ‘Agghiacciante, bellissimo. Il momento di teatro di più forte emozione di questa estate’.