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La Battaglia delle Parole dell'Auteur, ovvero Pascal Rambert prima di 'Prima'

Nella foto di Masiar Pasquali, il cast di ‘Prima’ in scena: da sinistra, Marco Foschi, Anna Bonaiuto, Lombardi, Pascal Rambert (con la barba), Anna Della Rosa, Leda Kreider.  

Ah, se Dio, o chi per Lui, avesse lasciato per il vostro misero cronista anche un solo pezzetto dello smisurato talento creativo di Pascal Rambert, l’autore-regista francese più noto del teatro contemporaneo, ormai per definizione l’Auteur…Persino dalla semplice presentazione a Milano del suo nuovo spettacolo, primo atto di una trilogia annunciata, si potrebbe ricavare del buon materiale per buttar giù un’altra piccola piece, all’impronta.

‘La battaglia delle Parole’ potrebbe essere il titolo provvisorio, giusto per richiamare il celebre quadro di Paolo Uccello che fa da sfondo e pretesto allo spettacolo che Rambert presenta al Piccolo, ‘Prima’. Trattasi - l’originale di Rambert, ovviamente - di una sorta d’istant-drama cucito su misura dall’Auteur, in questo stesso aprile 2023, man mano che approfondiva la conoscenza con la pattuglia di cinque attori all’uopo ingaggiati, ormai quasi un anno, fa tra 45 candidati.

Lo scarto di finzione iniziale in ‘Prima’, è che i cinque interpreti formano insieme una compagnia impegnata nella messa in scena di un testo sulla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, appunto. Ma veniamo alla possibile terza piece nella piece, che vedrebbe come situazione di partenza, nel chiostro intitolato a Nina Vinchi del Piccolo Teatro Grassi, ovvero la sede storica di via Rovello, la conferenza stampa di ‘Prima’, che si è tenuta nella tarda mattinata di un giovedì 27 aprile micidialmente in mezzo al martedì festivo del 25 e al fine settimana con il lunedì del 1° maggio.

Subito fuori la sala conferenze dove si stanno accomando i giornalisti, siede a salotto l’Auteur, forse arrivato un po’ in anticipo, in giacca nera sopra la T-Shirt bianca con scollo a V: si gode quel fiotto di raggi di sole già alla soglia 7 di UV Index, incurante anche della bell’aria milanese satura di particolati, ozono, biossidi e schifezze varie, affettuosamente circondato da due-tre dei suoi collaboratori francofoni e dalle attrici più puntuali, entrambe di scuola Piccolo, Anna Della Rosa, ovviamente, che ha recitato in tutti e cinque gli allestimenti italiani di Rambert, e Leda Kreider.

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SE NON HA LUI LA MISURA DEL MONDO…

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Attende un cenno, l’Auteur, e finalmente qualcuno arriva a invitare tutti a entrare. Sale sul palco, Rambert da solo, e si sistema al centro, accanto al direttore del Piccolo Claudio Longhi, sorridente in insolito abito blu informale, e a una terza persona che nessuno presenta, una giovane con la postura appena appena intimidita, che si rivelerà poi la malcapitata interprete.

In prima fila, davanti, s’accomoda il cast al completo, o quasi: s’intravedono da dietro anche Anna Bonaiuto, zazzera finto-bionda e stretegico occhialone scuro, l’austero Sandro Lombardi in grisaglia, che immaginiamo già provato dalle repliche di un impegnativo monologo da ‘Il soccombente’ e viene pure dimenticato dalla traduttrice ma poi, con un recupero immediato, citato da Rambert stesso con un cenno di saluto. Il quinto attore, Marco Foschi, quinto solo nell’ordine momentaneo, perché in realtà è il personaggio sul quale ruota un po’ lo scontro tra tutti gli altri preparato da Rambert, forse è in fondo dietro al banco regia, nei capannelli degli addetti ai lavori, o forse non c’è. 

 Per il resto saranno una decina o poco più i presenti, solo la metà con il taccuino alla mano, quando apre le danze, si fa per dire, il padrone di casa. Longhi stavolta si sforza di fare qualche battuta e di apparire meno cattedratico del solito, però poi s’impanca quasi subito a sottolineare, con orgoglio, che ‘Prima’ è ‘il primo testo in italiano’ di Rambert, nonché la prima produzione di questo straordinario autore internazionale con il Piccolo.

Alla fine si chiede pure, Longhi medesimo, che cosa abbia a che fare questo nuovo spettacolo con la stagione da lui stesso intitolata 'la misura delle cose', il cui intendimento sarebbe, come recita la citazione in esergo dal best-seller ‘La misura del mondo’ di Daniel Kehlmann: ‘Gli artisti dimenticano spesso e volentieri il loro compito: mostrare la realtà’. E la risposta di Longhi semplicemente è che la realtà pervade, eccome, il teatro ‘strettamente verbale’ di Rambert. Pausa.

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PRIMI SEGNI DI CONTRADDIZIONE

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Viene invitato a prendere la parola l’Auteur, che nel frattempo si era guardato intorno già cominciando ad accavallare le gambe a turno, il che peraltro ha fatto risaltare le eleganti scarpette di cuoio nero con finissima suola, très chic e originali, vagamente a punta, che di riflesso farebbero sembrare un 38 anche il piede standard da uomo 42/43.

La prima battuta del protagonista non è proprio un incipit da piece alla Rambert, anzi: fa quasi il paio con gli inizi a tema di quanto sia difficile cominciare, genere Milo Rau ‘Histoire du théâtre’. ‘Non so bene che cosa dire, bon, se avete domande, sono pronto a rispondere’: vorrebbe sbrigarsi subito così, Rambert, uno che da anni produce normalmente fiumi di frasi al punto da essere ormai aggettivato come ‘auteur dramatique prolifique’, uno che è il francese da esportazione delle parole più tradotto, in 35 lingue, uno che dei suoi stessi spettacoli è anche quasi sempre ‘metteur en scène affûté’ (ovvero regista acuto, ma anche affilato o appuntito, come le sue scarpette; nota 1: entrambe le citazioni vengono da Philippe Chevelley, il capo della cultura del prestigioso quotidiano economico ‘Led Echos’).

 Non può finir così, proprio no. E allora Longhi sfodera la pazienza del Professore buono agli esami e invita Rambert a parlare del progetto: comincia qui un balletto, di una mezz’ora abbondante, che vede l’Auteur divagare, dalla sua passione giovanile per Strehler alla sua ammirazione per le professionalità del Piccolo, dalla sua riconoscenza nei confronti dei collaboratori francesi di questo progetto alla sua ammirazione per la disponibilità e l’apertura mentale assolute degli attori italiani.

Il monologo tocca vertici culturali quando Rambert accenna al ‘teatro classico’ che lui pratica, e al ‘post-drammatico’ di cui si parla tanto oggi (dove ‘il conflitto non viene più rappresentato, mentre per me è l’ispirazione’),e al rapporto proficuo con le varie arti e le varie epoche alla prossima tappa del progetto, ‘Durante’ (‘vedo già che si sta scrivendo per associazione di idee’).

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PICCOLI EQUIVOCI DI UNA CERTA IMPORTANZA

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Più di tutto, però, si fa notare quel martellante gioco d’interruzioni e puntualizzazioni dell’Auteur con l’incolpevole interprete. Rambert è educato e garbato anche nei rimproveri, per carità, niente a che spartire con le scenate di un Jan Fabre.

(Nota 2: non si può più parlare di Fabre, in ottemperanza alla cancel-culture, o parlarne ancora, almeno male, può essere wokeness? A Brescia, nel febbraio del 2016, in un dibattito al Teatro Grande dopo lo spettacolo ‘Attends, attends, attends’ il fu grandissimo e immenso regista-artista umiliò con cattiveria la sua interprete, rea di non tradurre esattamente le sue parole in italiano. Nota nella nota: si poteva forse intuire anche solo da quella scena, il fondo sadico oscuro della personalità che è emersa nel clamoroso processo di Anversa, dopo tre anni d’indagini, dal 2019, per le molestie e il bullismo nella compagnia Troubleyin? Domanda retorica fatta con il senno di poi, da un Fabre-fan che non rinnega certo la sua ammirazione di ieri).

 A un certo punto, addirittura, l’Auteur s’è lasciato andare a una posa ancor più trasparente degli scavalcamenti con le gambe: si è stretto tra i denti il dito indice di una mano, manco fosse una morsa per trattenersi da balzare sulle scarpette, e ha guardato prima la povera interprete e poi i giornalisti, con uno strano ghigno quasi minaccioso. Sarà stato un attimo, ma nella nostra ‘Battaglia delle parole’ sarebbe un momento topico, forse l’agnizione del protagonista.

 Scherzi a parte, è interessante notare il crescendo degli equivoci di traduzione e il portato inevitabile di conseguenze. I primi rimbrotti sono arrivati per piccole dimenticanze, dopo che l’interprete stenografa non ha segnato qualcuno dei nomi citati e ha rimosso la qualificazione di lodevoli ‘artigiani’ per i tecnici e le squadre del Piccolo teatro. A un certo punto, mormorandole ad alta voce: ‘hai saltato anche il nome del traduttore’, Rambert ha quasi involontariamente costretto Longhi a rimangiarsi l’enfasi sul ‘primo testo in italiano’ dell’Auteur, con un intervento in extremis sui meriti di Chiara Elefante (che peraltro figura come secondo nome in locandina, dopo Testo e regia, alla voce Traduzione). 

 Un piccolo battibecco preventivo tra l’Auteur-Pozzo e la sua Lucky, per dirla con il Godot di Beckett, è stato speso sul significato di una parola francese con cui Rambert voleva alludere all’innesto tra le arti visive e il teatro. Persino una giornalista in sala ha voluto suggerire la traduzione esatta alla malcapitata, e di nuovo è successo qualcosa di simile quando Rambert ha citato il festival teatrale di Polverigi: visto lo smarrimento sul volto dell'interprete, l’Auteur con aria spazientita ha chiesto a Longhi di fare lo spelling del luogo in italiano.

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INTRECCI AMOROSI DA ‘PERVERS’?

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La precisazione clou è stata comunque sull’aggettivo ‘pervers’, quando Rambert ha dichiarato che odia descrivere preventivamente i contenuti dello spettacolo, come gli chiedono sempre alle conferenze stampa, precisando che evita di farlo da 40 anni. ‘Non voglio sembrare perverso con i giornalisti, ma…’ e, accidenti a lei!, l'interprete poverella dimentica di tradurre proprio la specifica ‘con i giornalisti’, dopo cotanto aggettivo: ‘con i giornalisti, ho detto perverso con i giornalisti’, chiosa prontamente l’Auteur. 

 Sorride l’elegante signora collega che ha chiesto di conoscere qualcosa di più dello spettacolo, e forse sono tutti ignari che in cartella stampa e sul sito del teatro ci sia poi già una sinossi di quel che succede all’interno della pseudo-compagnia in scena: ‘Una storia d’amore impossibile, tra una donna matura e un uomo molto più giovane, a propria volta diviso tra due donne; uno spettacolo ispirato al trittico pittorico di Paolo Uccello, criptico come l’universo dei sentimenti; attori e attrici che finiscono per smarrire il confine tra privato e pubblico’.

 Morale della favola, in un clima un po’ imbarazzato, alla fine chiude le danze, si fa sempre per dire, l’immancabile Longhi: forse riscaldato anche dalla divagazione colta sui generi ‘classique’ e ‘post-dramatique’, forse solo un po’ competitivo sul ruolo di Pozzo di turno, il direttore del Piccolo si ricorda d’essere un bravo professore e onestamente esibisce la definizione giusta per la drammaturgia di Rambert, un teatro ‘d’impianto meta-teatrale’, per chi non l’avesse ancora capito. (Nota 3, fuori piece: che poi questa stagione ‘la misura delle cose’, sia stata finora segnata, piuttosto che dall’irruzione della realtà, da un profluvio di parole di autori perlopiù d’impianto ‘meta-teatrale’, e di proposte di teatro non solo ‘classique’ ma anche tanto ‘technique’, sarebbe argomento da discutere a parte, ‘brìsa par critichèr’ come avrebbero detto a Longhi nella sua Bologna, e con ciò senza voler sminuire Rambert con paragoni che potrebbe giudicare offensivi).

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SCUSATE SE E’ POCO, STARE ACCANTO A MOLIERE

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Come in un altro contro-finale, di quelli che al Piccolo adesso si possono copiare da Davide Carnevali, nell’intervista a Rambert che compare anche nel programma di sala, e che era la chicca anche della cartella stampa, ci sarebbe da prendere l’analessi, o flashback che dir si voglia, dell’incontro con Giorgio Strehler in carne ed ossa del futuro Auteur ancora ragazzino: ‘Sono nato a Nizza e credo di aver visto ‘Arlecchino servitore di due padroni’ nei primi anni Ottanta, nel teatro della mia città’, racconta Rambert. ‘E’ stato uno choc assoluto. Così, come facevo sempre, alla fine dello spettacolo sono andato a incontrare il regista, per parlare, per capire. Strehler allora mi ha detto: ‘Bravo, vieni a vedermi provare!’. Gli ho chiesto: ‘Come faccio?’. E lui: ‘Vieni a Parigi, all’Odéon’. Così ho preso il bus del Partito Comunista, che costava solo cinque franchi, e invece di andare alla Festa de l’Humanité (il giornale del PCF), sono andato al Théâtre de l’Odéon, per assistere alle prove, trovando almeno altre duecento persone alle quali Strehler aveva detto la stessa cosa, mentre io credevo di essere il solo… Adoro raccontare questa storia, perché, per me, essere invitato al Piccolo in quanto autore, con le mie parole, in questa sala, mi provoca la stessa sensazione di quando tocco un membro della Comédie-Francaise: l’emozione di stare, di fatto, toccando Molière’.

 E’ finita così la piece ‘La battaglia delle parole’? Eh no, l’impianto meta-teatrale richiede l’ennesimo ribaltamento, e dunque, terminata la conferenza-stampa, vedendo che Rambert s’attarda un attimo da solo sul palco con la traduttrice, il compassionevole cronista ne approfitta per avvicinarsi, forse anche perché sente risuonare il campanello inconscio che suggerisce di non fermarsi al pregiudizio dell’apparenza. No, non può essere tutto lì, soltanto corazzato nell'Ego, l’Auteur.

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QUEI DUE MINUTI DELLA LUCE DEI GENI

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E infatti Rambert poi si scioglie e diventa un altro: si fa educatamente supportare dalla giovane interprete, che da vicino mostra peraltro un viso bellissimo e dolce, per rispondere alla provocazione di uno sconosciuto che lo incalza sui suoi gusti attuali da spettatore, per esempio se conosce e ama qualcuno del teatro italiano, oppure se quando va in giro per il mondo si diverte ad andare a vedere qualche autore specifico. Il colmo è la domanda se si emoziona ancora quando va a vedere altri spettacoli d’impianto ‘meta-teatrale’, come i suoi (sottointeso, freddini, anche se la cerebralità viene magari ben mascherata nello scontro, nelle urla e nelle pulsioni dei protagonisti). 

 Invece d’arrabbiarsi, l’Auteur a tutta prima s’incanta come un disco rotto, sul nome unico di Romeo Castellucci, ‘il mio amico’, ‘è il più grande’, ‘ogni cosa che fa è sempre il meglio’, forse dimenticando di aver indicato poc’anzi il peccato mortale dell’assenza di rappresentazione del conflitto nel teatro ‘post-dramatique’, di cui pure Castellucci viene considerato la star originale, al pari dei due Jan belgi (Fabre e il nostro adorato Lauwers di Need Company).  

 Finisce, finisce, ancora un attimo di pazienza. Prima di concedersi con estrema cortesia a un autografo d’Auteur, con la grande firma in sigla che sa d’artistico (grazie mille, vedi sotto), Rambert chiude con una frase articolata e degna di plagio, che risponde all’ultima piccola provocazione. Non è che magari anche lui va in giro per il mondo a vedere un sacco di teatro e qualche volta pianti lì a metà uno spettacolo, o ne veda soltanto qualche pezzo, come fanno i critici e gli spettatori irrequieti? E' forse per questo che vuole citare solo il nome di Castellucci come esempio del teatro che gli piace? Non ne vede anche tanti altri, possibile che non ne elogi neanche un altro?

 Eh no, niente di tutto questo: adesso l’Auteur vuole scrive a impronta le ultime parole sulle ultime parole anche del protagonista di questa possibile piece post-meta-teatrale. Explicit: ’Nella mia vita non mi sono mai alzato durante uno spettacolo e non lo farò mai, perché c’è sempre il momento, magari anche solo nel finale, che può farmi cambiare idea, un punto di svolta. E poi gli ultimi due-tre minuti, nei grandi artisti, sono quelli decisivi per comprendere tutto, è lì in fondo che arriva la luce’. 


 P.S.: Fino al 28 maggio, ‘Prima’ di Pascal Rambert è al Piccolo Teatro Grassi di Milano, dura 120’ senza intervallo. Il 5 maggio alle 17.30 ci sarà un incontro pubblico con la compagnia e il 20 maggio, addirittura, gli attori e le attrici saranno impegnati alle 15.30 in un insolito Walk_Talk ‘Prima della Prima’ dietro le quinte tra i teatri Strehler e Grassi (su prenotazione).

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