La Grecia torna al ruolo guida anche nel post-teatro: prendete nota di quest'altro nome, Mario Banuschi
02.12.2024
Louise Brunet, una chimera alla Biennale di Lione
Louise Brunet da bambina lavorava come operaia in un setificio di Lione a inizio Ottocento.
Da ragazzina partecipò alla rivolta dei Canuts (i tessitori della seta) del 1834 e per questo venne imprigionata.
A diciotto anni, uscita di prigione, si imbarcò insieme ad altre venti giovani donne alla volta del Libano, per finire a lavorare in un setificio di Btetir, nel governatorato del Monte Libano.
Dopo qualche mese dal suo arrivo, nel 1840, organizzò una rivolta, per via delle condizioni di lavoro disumane e delle continue molestie cui erano sottoposte lei e le sue compagne. Venne di nuovo imprigionata.
Sin qui tutto vero, documentato negli archivi della città, poi di Louise Brunet non si sa più nulla, sino al 14 settembre scorso, quando ricompare come indiscussa protagonista della sezione più intrigante della 16 Biennale di Lione.
“Le numerose vite e morti di Louise Brunet” costituisce infatti l’anima del primo dei tre percorsi in cui si articola questa importante edizione, ed è straordinario, in quanto è a sua volta una specialissima opera d’arte, un po’ installazione e un po’ summa teorica, di grande bellezza, nel senso più etico del termine.
I curatori Sam Bardouil e Till Fellrath, partendo dalla storia della Louise originale, danno vita ad una narrazione che travalica i limiti tra finzione e realtà, mischiando con sapienza documenti d’archivio ed opere d’arte, per illustrarci le molteplici declinazioni della violenza nei confronti di chi cerca di emanciparsi dalla condizione in cui è nato, di chi insomma è e si sente diverso da come lo si vorrebbe. Attraverso il racconto delle varie vite, perlopiù fittizie ma più che mai reali, della giovane lionese, ci parlano di colonialismo, segregazione, sfruttamento, abusi e discriminazioni perpetrati attraverso i secoli ai danni di quella moltitudine anonima di oppressi cui scelgono di dare finalmente un nome, quello di Louise, appunto.
E lei, splendida chimera di un mondo migliore, attraversa tutte quante queste esistenze in un percorso espositivo assai riuscito, che rimanda alla tessitura(!) lieve dei sogni. Ora Venere Nera che fugge dall’esposizione universale, ora promettente artista gay stroncato dall’Aids, ora madre/madonna, ora soldato, Louise Brunet incarna con fierezza quel miscuglio di libertà e leggerezza sognato da Virginia Woolf nel comporre Orlando, modello cui sembrano ispirarsi Bardouil e Fellrath, veri artisti della curatela, forse un po’ cugini di quel François Chaignaud, studioso di lotte operaie dell’800, che qualche tempo fa ha incantato il palcoscenico della nostra Triennale danzando Un Autre Orlando…
Manifesto of Fragility – 16 Biennale di Lione- sino al 31 Dicembre 2022
Arni Canali
Nelle foto, due opere della sezione della Biennale di Lione su Lousie Brooks