" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Milano città-mondo delle Geografie di 'Zona K e spada', che sfodera un'altra bella stagione di appuntamenti da festival berlinese

Foto Alessandro Sala/Cesura per la prima parte della stagione '24 di Zona K

 Formalmente è cascata nel 2023 la decima stagione teatrale dell’associazione culturale milanese Zona K, festeggiata con un grande numero 10 nel logo che campeggiava sul calendario dei vari appuntamenti.

Sostanzialmente, invece, il vero decimo anniversario di questa realtà - che contribuisce tanto alla proposta di un teatro internazionale e altro, rispetto a quello tradizionale delle sale - sarebbe da trovare in questa nuova programmazione del 2024 di ‘Geografie’, che si è aperta l’8 e 9 marzo con il racconto coreografico del ritorno in Congo, nel Kasai, di Amandine Ngindu (nome d’arte Mamu Tshi) con Faustin Linyekula

 Perché sia il 2024, in definitiva, il vero decimo anniversario teatrale di Zona K è presto detto. Del resto, ‘ogni tesi necessita di dimostrazione’, come spiega ai ragazzi con pazienza l’insegnante Carla Nowak (una magnifica Leonie Benesch, nel film che tutti abbiamo ancora in testa, ‘L’aula dei professori’ del regista Ilker Çatak e di Johannes Duncker). 

 E la dimostrazione, in questo caso, è molto più semplice di quella sul rapporto tra lo 0,9 periodico e il numero 1: Zona K è nata nel 2011 dentro all'Isola, prima che quest’area diventasse nel bene e nel male il quartiere della ‘foodification’ e la vetrina di quella ’invenzione di Milano’ come città modello post-Expo, oggi duramente criticata, con tanto di pamphlet-manifesto di Lucia Tozzi. 

 Da un punto di vista propriamente del contributo alla scena teatrale milanese, si può ben dire che Zona K sia nata due volte, perché è verso la fine del 2014 che definisce più precisamente la propria linea.

E la svolta porta il marchio berlinese dei Rimini Protokoll, che grazie alle antenne sensibili delle fondatrici di Zona K vengono finalmente invitati a Milano, ormai quasi un decennio fa, in contemporanea all’affermazione incontrovertibile, con tanto di consacrazione accademica, del nuovo fenomeno post-teatrale di cui sono stati in qualche modo l’emblema. 

 E’ quello che nelle università tedesche è stato battezzato come ‘reality trend’ ed è un po’ anche il risultato della risposta delle avanguardie alla mitologizzazione e istituzionalizzazione del cosiddetto teatro ‘post-drammatico’, all’acclamazione dei nuovi guru Romeo Castellucci, Jan Fabre e Jan Lauwers, tanto per fare i tre nomi apicali.

 Helgard Haug, Daniel Wetzel e Stefan Kaegi fanno teatro insieme a Berlino, dal Duemila, sotto il nome collettivo, volutamente più simile a un brand che altro, appunto di Rimini Protokoll. I loro singolari lavori sono stati definiti via via teatro post-post-drammatico, nuovo teatro documentario o, ancora meglio, ‘teatro degli esperti’.

Nelle pièce dei Rimini Protokoll - come spiega bene anche solo il saggio dell’esperto di letteratura tedesca Johannes Birgfeld, chiamato nel ’21 a presentarli dal Goethe Institut - ‘non vanno mai in scena attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: esperti per l’appunto della propria vita’.

  L’innovazione, basata sulle forme nuove di un’irruzione organizzata di ‘realtà reale’ nella rappresentazione, ha poi fatto scuola e prodotto discepoli tra i più disparati e interessanti: in Italia, per esempio, i fondatori di Kepler-452 si propongono quasi come uno spin-off politico dei Rimini Protokoll.

 La stiamo prendendo alla lontana, è vero, ma anche tanto lontano appare oggi, in effetti, quel 22 ottobre del 2014, quando Zona K ha chiamato a raccolta gli spettatori milanesi, di una scena teatrale ormai logora per quanto imbellettata, dando appuntamento al Cimitero Monumentale per la partenza della prima perfomance partecipata ‘Remote Milano’, allestita in giro per la città da Rimini Protokoll (1).

 Oggi, dieci anni dopo, la situazione è ben diversa. Nel mondo che sarà sì quello ‘dopo la fine della storia’ ma è pur sempre un frullatore dove i fenomeni si susseguono a una velocità esasperante, anche il teatro è cambiato. E si vede bene dalla seconda sezione della stagione ‘Geografie’ di Zona K, che s’intitola ‘Territori’.

Si aprirà a giugno con l’evento della tappa milanese del grande progetto ‘Paesaggi condivisi’, dove dieci artisti europei di otto diversi Paesi (2) si sono impegnati a proporre in varie aree extraurbane ‘micro-drammaturgie’ di una quarantina di minuti l’una, ‘tra campi e foreste’, per contribuire a una riscoperta e a una ridefinizione del rapporto con la natura e la rappresentazione.

A Milano ci saranno sette performance in luoghi diversi, tra cui un insolito picnic con gli italiani Chiara Bersani e Marco D’Agostin.

 Questo importante progetto post-pandemico è stato ideato dal fondatore dei Rimini Protokoll Stefan Kaegi con Caroline Barneaud del Théâtre Vidy-Lausanne, che vanta vent’anni di attività per il rinnovamento della scena, di cui una decina al festival d’Avignon.

Adesso, un’idea che dieci anni fa sarebbe stata snobbata dalle istituzioni culturali, è addirittura finanziata dalla Comunità europea e viene coprodotta da vari teatri e festival, con tanto di una decina di righe di bolli ufficiali (3), e in Italia vede accanto a Zona K addirittura il Piccolo Teatro(4). 

 Anche l’evento forse più significativo collocato verso la chiusura di ‘Geografie’, un saggio d’insolito teatro-documentario musicale intitolato ‘The Making of Berlin’ e proposto dai belgi del gruppo Berlin, potrebbe figurare ormai abbastanza agilmente nel cartellone di un teatro istituzionale.

Tant’è che i fondatori di Berlin Bart Baele e Yves Degryse sono artisti associati al Centquatre-Odeon di Parigi, oltre che residenti al deSingel di Anversa, e a Milano si sono già affacciati anche a Triennale Teatro, sempre in collaborazione con Zona K ovviamente.

 ‘The Making of Berlin’ è un atteso gioiello di quel filone di nuovo teatro documentario europeo cui Zona K ha prestato così meritevolmente attenzione anche nella scorsa stagione, e chiude idealmente la terza parte intitolata ‘Rotte’, a metà novembre, al teatro La Cucina/Olinda.

A dire il vero ci sarà ancora un doppio curioso finale dicembrino, con lo spettacolo pop-onirico e fumettaro ‘Daniela’ di Giulia Scotti e il progetto al femminile ‘A più voci’ affidato a Tolja Djokovic, che sarà ospitato nella case private selezionate da Stanze.

 Ecco, Olinda e Stanze sono partner di tipo associativo e volontaristico con cui Zona K ha consolidato vere e proprie collaborazioni che si connotano per affinità d’indirizzi e di scelte.

Per il festival di Olinda ‘Da vicino nessuno è normale’ nel 2021, per esempio, è arrivato a Milano il capolavoro ‘The Mountain’ degli Agrupación Señor Serrano, altro collettivo di cui a buon diritto Zona K può vantare l’adozione, fin dagli albori del particolarissimo genere di narrazione di realtà che pratica così efficacemente la compagnia d’origine catalana di Serrano e Pau Palacios

 La citazione di ‘The Mountain’ casca a proposito per evocare, in quanto metafora dell’impossibile conquista della verità, un po’ anche la scalata mai conclusa all'Everest che la stessa Zona K deve affrontare anno dopo anno, con l’aria che si è fatta sempre più sottile, man mano che in qualche modo sulle nuove conquiste del linguaggio teatrale mettono il cappello anche le istituzioni, mentre peraltro la stessa immagine del modello Milano comincia a scricchiolare. 

 Certo, tornando alla stagione in corso, sulla carta appare alquanto intrigante e innovativa la sequenza anche solo delle prime proposte di ‘Geografie’: il prossimo appuntamento, per il 22-23 marzo, con Lina Saneh e Rabih Mroué, artisti libanesi di stanza a Berlino, con un evento di teatro documentario di ricerca intitolato ‘Photo-romance’, e quello a seguire, il 4-5 aprile, con ‘Unfolding an Archive’ della coreografa Zoë Demoustier, dedicato al lavoro del padre fotoreporter, e allestito con la compagnia belga Ultima Vez.

Per non dire della singolare chiusura di questa prima sezione, che il 16-17 maggio vedrà la lettura collettiva, con un libro fotografico in mano, di ‘Borderline Visibile’ di Ant Hampton, svizzero di origine inglese che vive in Germania, artista multidisciplinare ‘che crea performance basate sulla tensione tra fotogrammi fissi e interpretazioni variabili’.

 Si chiama ‘Transiti’ questa prima parte della stagione ‘Geografie’, ed è abbastanza curioso un accenno che si può pescare nella scheda di accompagnamento del primo Focus, affidata al giornalista Angelo Miotto di Qcodemag, ‘magazine online di geopolitica, diritti e cultura che predilige la forma del giornalismo narrativo, del reportage e della multimedialità’.

‘C’è una via a Milano dove opera una associazione che aiuta i migranti senza documenti. Si chiama Via dei Transiti’, scrive quasi a chiusa Miotto: un’indicazione che dall’Isola porta direttamente al nuovo quartiere hipster di Nolo, verso cui negli ultimi anni, tra cinema Beltrade, librerie, locali, Fringefestival e gallerie d’arte, si è un po’ spostato il baricentro di un certo tipo di vita culturale meno plagiata dal marketing.

 Ecco, forse bisognerebbe andare a sentire che cosa si dice oggi della proposta di Zona K e dintorni, tra i più ostinati spettatori d’avanguardia e gli intenditori di scene off, quelli che liquidano come campioni di ‘radical-chic-ismo’ un certo genere di borghesi impegnate.

Sarebbe superfluo sondare anche, per esempio, i frequentatori della libreria-bistrot di Nolo, che porta il logo di Anarres, 'pianeta libertario', che è in via Crespi proprio nello stesso block dove c’è anche via dei Transiti. Certo, chi si dichiara a proprio agio tra ‘I reietti dell’altro pianeta’ - titolo originale di ‘Quelli di Anarres’, romanzo distopico rivoluzionario di Ursula K. Le Guin - difficile che possa considerare ancora quelli dell’Isola e di Zona K compagni di strada ‘dispossed’.

Di sicuro dal mondo anarchico di Anarres si guardano con grande sospetto i tentativi dei maggiorenti del pianeta gemello di sopra, Urras, di allungare i tentacoli del sistema e inglobare il più possibile il movimento…

 Ma questo è un discorso a parte, complesso e un po’ sterile, come la gara a chi si sente, o si dichiara, più puro: conta, alla fine, soprattutto quello che si potrà vedere e vivere come spettatori.

E bisogna dire onestamente che non sono certo mancate, ancora per l’ultima stagione di Zona K, nel ’23, quelle piccole perle che brillano a lungo nella testa e nel cuore degli appassionati. 

Una scena di 'The Mountain' di Agrupación Señor Serrano (foto Jordi Soler)


NOTE: EREDITA’, PAESAGGI E CONDIVISIONI 

RIMINI PROTOKOLL E LA SCENA TEATRALE

 (1)Viene introdotta cioè una svolta definitiva rispetto al declino del teatro borghese tradizionale, ammuffito nelle sale con un consunto repertorio di testi, e come sempre le svolte ripartono dalla realtà: fuori, alla ricerca di un insieme indefinito tra performativo e partecipativo, Rimini Protokoll in pochi anni diventano capofila di una tendenza a rifondare il teatro e a farne invece un mezzo da utilizzare per mettere il pubblico in contatto diretto con la realtà. 

 Uno dei principi ordinativi del gruppo è: ‘Le storie stesse non hanno bisogno di essere inventate, bensì di essere inquadrate, scelte, individuate, collegate tra di loro in modo che il pubblico possa esaminarle con il proprio microscopio ermeneutico’. Ovvero: ‘cercare storie che modificano, arricchiscono, mettono in discussione il nostro sguardo sulla realtà, invitando le persone stesse a raccontare queste loro storie, in modo diretto, ad altre persone’.

Vale la pena anche solo di rileggere la breve presentazione del singolare evento teatrale con cuffie per gli spettatori organizzato dieci anni fa da Zona K: ‘Una colonna sonora scritta per Milano, che trasforma il viaggio urbano in un film collettivo. Un mezzo tecnologico che dirige e lancia una sfida ai suoi 50 partecipanti: fanno parte di un’entità collettiva, ma il singolo può prendere decisioni per sé; è al contempo attore e spettatore, osservatore e osservato. “Gli altri ascoltano ciò che ascolto io?” “Come potremo prendere decisioni comuni?” L’intelligenza artificiale dirige, ma stimola anche una percezione alterata che spinge a guardare la realtà e se stessi con sguardo del tutto nuovo. Un gioco, un’esperienza, un viaggio. Milano come non l’avete mai vista’.

 

(2) ‘Paesaggi condivisi’ è parte del progetto europeo ‘Performing Landscape’, che vede coinvolti otto partner provenienti da Germania, Austria, Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Svizzera.

 ‘Paesaggi condivisi’ ha debuttato il 14 maggio 2023 a Chalet-à-Gobet con il Théâtre Vidy-Lausanne, e viene attualmente adattato e rappresentato nei diversi territori coinvolti: Avignone, Berlino, Milano, Lubiana, St. Pölten, la regione di Girona e la regione di Lisbona.

Con pièce di: Chiara Bersani e Marco D’Agostin (Italia), El Conde de Torrefiel (Spagna), Sofia Dias e Vítor Roriz (Portogallo), Begüm Erciyas e Daniel Kötter (Turchia, Belgio, Germania), Stefan Kaegi (Germania, Svizzera), Ari Benjamin Meyers (Stati Uniti, Germania), Émilie Rousset (Francia). Interpretato da performer e partecipanti locali.

(3) Produzione e coordinamento Isabelle Campiche, Aline Fuchs (Théâtre Vidy-Lausanne). Con il supporto dei team produzione, tecnica, comunicazione e amministrazione del Théâtre Vidy-Lausanne. Coordinamento di PERFORMING LANDSCAPE Chloé Ferro, Monica Ferrari, Lara Fischer (Rimini Protokoll). Assistenza artistica Giulia Rumasuglia. Direzione tecnica Guillaume Zemor.

Produzione Rimini Apparat (Germania) e Théâtre Vidy-Lausanne (Svizzera).

Produzione locale ZONA K e Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa.

Coproduzione PERFORMING LANDSCAPE, consorzio europeo: Bunker and Mladi Levi Festival (Slovenia), Culturgest (Portogallo), Festival d’Avignon (Francia), Tangente St. Pölten – Festival für Gegenwartskultur (Austria), Temporada Alta (Spagna), ZONA K e Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa (Italia), Berliner Festspiele (Germania).

Cofinanziato dall’Unione Europea.

Con il sostegno di Bundeszentrale für politische Bildung per l’ideazione del progetto.

Con il sostegno di INVR.SPACE GmbH per i visori VR Cinema Solution. 

(4) A dire già nel gennaio del 2018 Rimini Protokoll erano stati ‘sdoganati’ dall’istituzione fondata da Paolo Grassi con Giorgio Strehler, e nell’ambito di un’attività costante di ospitalità degna del logo Teatro d’Europa, al Teatro Studio Melato era stato allestito per una decina di giorni ‘Nachlass’ (l’eredità).

Con questo titolo venne presentata quella che da molti è considerata la costruzione capolavoro di Stefan Kaegi e Dominic Huber, i due fondatori d’origine svizzera del collettivo berlinese. ’Nachlass’, paradossalmente, dato che si tratta di una sorta di mini-condominio con stanze e proiezioni, si rivela in realtà una delle più toccanti esperienze di nuovo teatro europeo: otto stanze, dedicate ciascuna a una persona che non c’è più, tra cui gli spettatori possono scegliere in libertà dove entrare per vivere un racconto che dura circa otto minuti, all’inizio e alla fine dei quali le porte si aprono e chiudono automaticamente. 

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