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Nell'Amphithéâtre di Kiefer scendendo dalle Torri fino alla Mesòpotamie

 Si può finalmente provare l’esperienza, davvero intensa e fin quasi mistica, di una visita a ‘La Ribaute’, lo studio museo di Anselm Kiefer. L'artista, che ora vive fuori Parigi, dopo aver lasciato la Germania nel 1992, si è rifugiato in questa tenuta di quasi 40 ettari che si stende intorno a una filanda di seta semi-diroccata, a due km dal borgo di Barjac. Siamo nel Lozère, che fa parte del dipartimento di Gard dell’Occitania, ma ancora quasi in Provenza, a una settantina di km da Avignone (che è un buon punto di partenza per chi viene dall’Italia).

In questo incantevole angolo occitan-provenzale, si può affrontare la prova d’immersione per circa tre ore in una grandiosa collezione di opere di Kiefer: prima bisogna però scovare per tempo la data utile in un calendario fitto di 'sold out', pagare online un ticket di 25 euro alla Fondazione Eschaton, e poi ci si può presentare al cancello dei visitatori, dal mercoledì al venerdì, muniti magari di adeguate calzature (consigliati stivali da pioggia in caso di maltempo) che sono utili già nel parcheggio provvisorio su una stradina sterrata dove si lasciano le auto.  

 Il primo impatto è inevitabilmente con la visione di decine e decine di Torri, simili a quelle dei Sette Palazzi Celesti custodite in Bicocca a Milano, su cui ancora oggi l’artista viene ogni tanto a lavorare. In genere si viene introdotti alla visita sotto al grande tubo metallico che Kiefer si era costruito come tunnel sospeso per andare dal corpo centrale dell’edificio storico alla casa di fronte, dove alloggiavano i suoi cinque figli.

Nemmeno dopo la vista di questo primo singolare 'dettaglio' con varie sculture sparse intorno, si può immaginare quanto e come si sia esteso dentro La Ribaute il processo creativo dell’artista: lo si vedrà nelle due ore e mezza seguenti, camminando tra nuove costruzioni, specificatamente create per ospitare un’ottantina di spazi per opere, ma anche giù nei grandiosi scavi che hanno prodotto un Amphithéâtre in cemento a cinque livelli, con opere in ogni ordine di piani, e dentro una rete sotterranea di cunicoli, spesso con aperture inusuali verso l’esterno, e provando l'esperienza della vera e propria Cripta ricavata sotto l'anfiteatro.

Non mancano gli alberi e alcuni stagni artificiali, le coltivazioni dei papaveri e delle granaglie che poi essicati diventano materiali artistici, una quantità di pietre di varia natura e tanti tanti blocchi o pezzi di piombo. Oltre alle già menzionate torri, ci sono varie sculture e anche parecchi dipinti: il clou è in una sorta di hangar simil-Bicocca, denominato Mesòpotamie, che contiene quindici grandiosi quadri recenti di Kiefer (2007-2020), con l’ultimo emblematico autoritratto dell’artista sdraiato, da dietro, ormai quasi nudo, in posizione del cadavere (shavasana nello yoga), sotto a uno dei suoi enormi girasoli grigio-plumbei, che simboleggia la rinascita.

 Nelle foto di Charles Duprat, copyright Ansel Kiefer, Die Himmelspaläste (2003-2018), in alto sotto il titolo; di seguito, Amphithéâtre (1999-2002)

Un grande artista, si sa, in qualche modo prosegue l'opera della Creazione. Ma con dio-Kiefer, un dio pur sempre ben cosciente della sconfitta dell'uomo quando si erge come divinità (è un po' questo il tema delle Torri Celesti), di fronte alla grandiosa realizzazione di questa sorta di 'area di culto' del suo stesso lavoro artistico, si fa fatica a riprendersi dalle emozioni. Un anziano eruditissimo visitatore del nostro slot, se n’è uscito con il commento: “anche per una persona che conosce bene e apprezza da tempo l’opera di Kiefer, vedere tutto questo insieme, tutto quanto, ha una forza d’impatto indescrivibile, sembra davvero troppo…”.

Alla fine della visita ci profondiamo tutti in ringraziamenti al ‘mediatore culturale’ che ha accompagnato passo dopo passo la nostra improvvisata comitiva d'europei di provenienza ed età variabile, con prevalenza di francesi intorno al mezzo secolo di vita. Le visite allo studio-museo affidato alla Fondazione Eschaton si possono fare solo in gruppi organizzati e guidati, e pure sorvegliati, nei vari passaggi più delicati, come la discesa nella Cripta, da altri due o tre addetti in t-shirt nera con logo 'La Ribaute' (purtroppo non in vendita: un museum-shop, per adesso, non si vede...).

Sarebbe troppo pericoloso lasciare liberi i visitatori in un contesto del genere, tra torri di svariate tonnellate l’una, messe su provvisoriamente, scavi e gallerie, depositi di vari pezzi per le nuove opere, in un dedalo di stradine con tanti lavori ancora in corso, con più di una ventina di operai in giro, per rendere più agevole la fruizione ai visitatori. E poi, in fondo, la guida conferisce tout court il tono museale che ‘La Ribaute’ oggi vorrebbe avere. 

 Nel nostro caso, il giovane professore di storia dell’arte che era di turno quel pomeriggio, parlando in francese e spesso anche in inglese, si è profuso in un’impossibile opera di divulgazione che doveva coprire l’arco d’interessi complessi di un artista che si muove nel tempo e nello spazio dai Ziggurat babilonesi alla numerazione ufficiale Nasa delle stelle in cielo, un pittore che sovrascrive in tedesco le opere con la sua grafia inconfondibile, e segna titoli, dediche, citazioni dall’Antico Testamento a Ingeborg Bachmann, da Paul Cioran a Andrea Emo (limitandosi alle prime lettere dell’alfabeto): per non dire che Kiefer gioca pure con le suggestioni di opere-mito, come il Viandante di Caspar David Friedrich, e i richiami ad altri artisti, per esempio Van Gogh... E si potrebbe continuare per pagine, in un elenco alfabetico che probabimente va oltre persino la W di Wagner. Durissimo lavoro, dunque, per il mediatore culturale. E poi può sempre capitare nel gruppo un visitatore del posto - gli abitanti di Barjac e dintorni non pagano il ticket-, così orgoglioso di avere vicino ai propri campi cotanta famosa bellezza artistica, che ferma la guida per specificare come vadano divisi i meriti dell'istituzione della casa museo tra il ministro della cultura e le autorità locali, piuttosto che al termine della prima spiegazione sul significato delle Torri, s'impunta a chiedere semplicemente: “Scusi, non ho capito bene che cosa c’entra questa Cabala? E soprattutto che cosa è?” 

 Ora, si dà il caso che l’arte contemporanea troppo spesso abbia bisogno di un apparato pre-interpretativo complesso (ed è forse un contrappasso che sia diventato così di moda, nelle mostre o nelle gallerie, togliere i cartellini dai muri accanto alle opere e rimandare il visitatore a consultare una mappa e i relativi riferimenti).

Stando all’esempio di Kiefer, è evidente quanto la sua arte comunichi immediatamente quel che deve comunicare, producendo almeno l’effetto di spaesamento, per esempio, di fronte alle rovine, invitando a riflettere sul senso della storia con la scelta di soggetti scultorei così evidenti, aereoplani, navi e sottomarini, grandi ali d’angelo, figure senza testa, interrogando il lato interiore di ciascuno con l’uso sintonico di determinati colori e materiali, con parole e numeri come abbiamo già detto.

Per non dire dell’efficacia delle citazioni religiose e dei richiami alla storia dell’arte o alla storia in generale, come per esempio s'intuiva nell'ultimo lavoro per il palazzo Ducale a Venezia. Si possono vedere le opere di Kiefer anche senza bisogno di pre-approfondimenti, introduzioni, mediazioni, indicazioni? Domanda retorica, ovviamente, ma forse non del tutto. 

Nella foto seguente di Georges Poncet, ‘Der Morgenthau Plan’ (2012), copyright Anselm Kiefer


 In effetti il bla-bla di una guida o del mediatore culturale potrebbe essere benedetto, per dire di un’altra opera che ora sta a ‘La Ribaute’, quando aprono il padiglione che contiene ‘Der Morgenthau Plan’, l’originale campo di grano dorato - non i successivi quadri a tema - che nel 2012 era stato allestito dentro a una grande gabbia di ferro aperta, presso la nuova galleria Gagosian Le Bourget, vicino all’aeroporto privato di Parigi. Già, ma che cosa potrebbe spiegare la guida? Poco più o poco meno di quel che per esempio scriveva Helga Marsala su ‘Artribune’: “Il riferimento del titolo è a Henry Morgenthau, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, che nel 1944 espose il cosiddetto piano di ‘pastoralizzazione’, finalizzato  a indebolire la Germania post-bellica come potenza: tramutata in Stato agricolo, sarebbe stata divisa in due stati indipendenti, smantellando tutta l’industria pesante e annettendo alle nazioni vicine i principali centri industriali. Una pagina delirante e cinica di storia contemporanea, tramutata in una delle grandiose, seducenti opere di Kiefer. Coaguli di tragica memoria collettiva e spiritualità solenne”. 

 Attenzione, però. Pochi mesi dopo la prima presentazione, nel maggio 2013, il gallerista stesso di Kiefer decise di voler precisare che ‘Der Morgenthau Plan’ andasse visto come una pura e semplice metafora artistica. Si legge ancora oggi ufficialmente sul catalogo Gagosian: “La mostra a Le Bourget e il successivo corpus di lavori in mostra a New York attingono al Piano Morgenthau come metafora di una comune trappola del processo creativo, vale a dire, opere che esprimono bellezza senza nessun altro motivo rilevabile. Kiefer presenta l'iniziativa come una rappresentazione di idee, artistiche e politiche, che ignorano la ‘complessità’ delle cose”. Ecco, quando si dice la mediazione. Larry Gagosian è di origine armena e sa bene di quali sensibilità si possono urtare quando si tocca un tema che ha a che vedere con i genocidi e l’Olocausto in particolare: portando nel cuore di Manhattan la serie ‘Der Morgenthau Plan’ si premura evidentemente di non alimentare equivoci con gli americani, ben cosciente di giocare oltretutto quasi in casa della comunità ebraica newyorchese, da una cui eminente famiglia veniva appunto Morgenthau. Tra l’altro, proprio a Le Bourget, nel marzo del 2021, sono stati presentati alcuni grandi quadri di Kiefer fatti perlopiù con lo stesso grano dorato dell’installazione ‘Der Morgenthau Plan’, riuniti sotto il titolo ‘Field of the Cloth of Gold’, ed eccezionalmente introdotti con un filmato dove l’artista dialoga con lo storico dell’arte James Cuno e assiste alle prove con il coreografo Florent Melac del balletto di Hugo Marchand e Hannah O'Neill, de l'Opéra national de Paris, su musiche di Steve Reich (è l'episodio 5 della serie Premieres di Gagosian online). Il gioco delle spiegazioni e delle guide è una danza che sembra non avere mai fine.


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