" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Noi Umani siamo, e dopo 'W.H.a.M' ancor di più: ma Sir Wayne McGregor è su un altro pianeta

Una scena di 'We Humans are Movement' di Wayne McGregor per La Biennale di Venezia (foto di Andrea Avezzù)

 Prima di tutto, le dolenti note: l’evento finale della Biennale Danza 2024, al Palazzo del Cinema del Lido di Venezia, è stato variamente citato, qua e là, con un singolare balletto delle maiuscole. 

 Sul biglietto erano quattro, una per parola, ‘We Humans Are Movement’.

 Accanto alle indicazioni di rito, sul ticket elettronico-ecologico il logo annuale del festival compariva però tutto in maiuscolo, ‘WE HUMANS’ (scelta che, a suo tempo, si poteva considerare un po’ presuntuosetta, se non che poi, a cose fatte, risulterà più che giustificata dalla superba programmazione). 

 Come a strascico, in varie citazioni stampa e online, il maiuscolo del titolo dello spettacolo conclusivo è rimasto solo nelle prime due parole, ‘We Humans’ e quella povera forma attiva di ‘are movements’ se ne è andato via così, come in minuta. 

 Attenzione, però: lo spettacolo correttamente s’intitola 'We Humans are Movements' - in sigla W.H.a.M. - , con una sola minuscola verbale.

 Così ha deciso e controfirmato lo stesso autore, coreografo, regista, e pure direttore del pregevolissimo festival, Wayne McGregor, addirittura nelle didascalie delle poche foto di scena di cui ha autorizzato la distribuzione.

 Dettagli non insignificanti, perché dicono - a chi non l’avesse ancora capito - quanto sia proprio un certosino del suo artigianato artistico, questo inconsueto Sir e Commendatore del Britannico Impero, nonché Knight Bachelor (che sarebbe Cavaliere ad honorem), che vanta pure, come coreografo, un elenco impressionante di creazioni, di collaborazioni e di premi.

 Nato nel 1970 a Stockport, la cittadina della Greater Manchester celebre per le manifatture di cappelli, londinese d’adozione da più di trent’anni, McGregor si è presentato al dialogo con il pubblico dopo la prima di ‘W.H.a.M.’ con il consueto look informale dark vintage, neri t-shirt e pantaloni cargo con anfibi chic ai piedi, testa lucida quasi da skin heads, ma grandemente sorridente e affabile. 

 Alla fine si è capito che doveva scappar via quasi di corsa: è sempre strapieno di impegni, fa di tutto nella sua factory artistica con sede nel cuore tecnologico della Londra post-olimpica, Here East.

Ha comunque voluto salutare bene, con tanto di un bacio sulla guancia, sia la giornalista che lo intervistava, sia l’interprete che ha tradotto in italiano il suo semplice ma accurato ‘speach’.

 Da notare che ha concluso il discorso, dopo i ringraziamenti di rito, con un appello agli spettatori a proposito dei sedici ragazzi esordienti della Biennale College di Venezia, che sono stati in scena con i nove navigati ballerini della sua compagnia.

‘E’ fondamentale che nascano e si affermino nuove generazioni’, ha detto Sir Wayne, ‘ed è importante che voi, il pubblico, continuiate a seguirli anche quando faranno altri spettacoli, magari più piccoli e meno di richiamo’.

 Questa 'prolifica macchina umana per coreografie', com’è stato definito McGregor dal ‘Financial Time’, ha voluto trovare il tempo di seguire e di curare uno per uno anche i collegiali che sono entrati davvero ragazzini, ormai quattro anni fa, nella sua selezione veneziana. 

 Il dettaglio introduttivo sulle maiuscole con un’unica minuscola nel titolo, piuttosto che la cura maniacale anche della scelta delle foto da autorizzare, insieme naturalmente con il risultato spettacolare complessivo, fanno venire in mente un paragone eccellentissimo per McGregor: quello con Bob Wilson

 Impostato uno spettacolo in Europa e magari già partito per farne un altro chissà in quale continente, Wilson è uno che si fa mandare le foto e le eventuali riprese per controllare persino che riportino le gradazioni esatte dei colori che ha scelto quando fa accendere uno spot, verde o giallo o chissà, sul viso di un attore, o fa muovere un piccolo elemento in scena.

 E in certi momenti, soprattutto nel passaggio tra una parte filmata e l’incipit in sala dell’epilogo, la magia di 'We Humans are Movements' ha creato un’onda emozionale tra il pubblico degli appassionati paragonabile - per parlare solo di spettacoli visti nel 2024 - appunto ad alcuni passaggi del nuovo magico ‘Pessoa’ di Wilson per Fondazione Teatro Toscana

 Per altri versi, sempre stando al meglio dell’anno, questo ‘W.H.a.M’ ha la forza d’impatto di ‘Rohtko’ di Łukasz Twarkowski, nel senso dell’ambizione riuscita di riproporre oggi un ‘teatro totale’, competitivo con qualunque genere di spettacolo in questo mondo distratto e tecno-capitalista, che spiega anche quella certa quale dichiarata attenzione agli stilemi pure dei rave. 

 Inaspettatamente McGregor ha fatto come un piccolo passo indietro rispetto all’ossessione neo-tecnologica dei suoi spettacoli più recenti, come 'UniVerse: A Dark Crystal Odyssey' e 'Deepstaria'. Ha scelto di limitare, per esempio, l’uso dell’intelligenza artificiale solo alla costruzione dell’immagine finale, di un volto X di ballerina che nasce dalla sovrapposizione e fusione digitale dei veri volti di tutti protagonisti, genere pubblicità di United Colours of... 

 Con la sottrazione di nuove tecnologie ed effetti, è tornato ad un’aderenza maggiore alla ‘pure dance’, come hanno osservato quasi tutti gli esperti alla fine di ‘W.H.a.M’ - ‘fin troppo nella prima parte’, commentava un vecchio saggio che sembrava l’unico perplesso dopo la serata del debutto.

 Approfittando dell’eccezionalità della location, nella grande sala della Biennale Cinema, del consistente budget e di eccellenti collaboratori, McGregor ha anche scelto di estendere in qualche modo la coreografia con le luci, le musiche e i video, dilatando appunto la sua proposta verso una sorta di ‘teatro-danza totale’ che sfida alla pari qualunque evento di spettacolo contemporaneo, per offrire agli spettatori un’esperienza autentica d’immersione nelle emozioni.

Un altro momento di 'W.H.a.M' di Wayne McGregor: si nota sullo sfondo un paesaggio visivo di Ben Cullen Williams (foto di Andrea Avezzù per La Biennale)

 Ora, finiti gli elogi, bisogna tornare un attimo ai fatti. E alla spiegazioni.

Se come si faccia ad ‘essere Wayne McGregor’ sarebbe un titolo di lavoro piuttosto impegnativo, forse è più semplice spiegare come si costruisce una spettacolo ‘Wham!’ intitolato pure ‘W.H.a.M’.

 Bando alle banalità, tipo ‘bisogna saper disporre di un’istituzione come Biennale di Venezia’, ‘occorre impegnarsi per riuscire a esprimere la vocazione formativa di un polo pubblico del genere’ e pure il semplice ‘ci vuole talento anche nella maestria’.

 La grandezza di McGregor poggia anche sulla capacità di armonizzarsi con l’equipe e in particolare con alcuni collaboratori eccellenti.  

Seguendo pedissequamente l’ordine del tamburino, regia e coreografia sono firmate da Sir Wayne 'in collaborazione con i danzatori' di Biennale College e di Company Wayne McGregor.

 E qui bisognerebbe aprire una parentesi sul percorso formativo di questi ragazzi, selezionatissimi e superbi, usciti dal College veneziano del direttore McGregor. Tanto per dire l’ultima, quest’anno hanno avuto come maestra persino Carolyn Carson!

(Per i ‘non-so-tutto-mi’, la ballerina californiana classe ’43 che - come si può leggere nella prima scheda che si trova online - ‘ha creato più di 100 coreografie, di cui molte fanno parte delle pagine più importanti della storia della danza’). 

 E immaginiamo con quanta timidezza, questi nostri piccoli collegiali, possano aver dato il proprio contributo a McGregor, piuttosto che in quale stato d’animo si siano esibiti: l’urlo di gioia e di liberazione, quando si sono finalmente ritrovati fuori, nell’atrio dei camerini, si è sentito fin dentro alla sala, nonostante la coda di applausi e di brusii d’ammirazione.

 Brevissima parentesi sulla maestria come formatore e maieuta di McGregor: in questi anni sono state considerate notevoli anche le sue scelte di nuovi coreografi italiani; ha già battezzato più di un talento riconosciuto, per esempio la compagnia Miller de Nobili, richiamata quest’anno ad allestire una interessante e ardita pièce di dance-theatre liberamente ispirata ad ‘Aspettando Godot’.

 Dei ragazzi originali della Company Wayne McGregor, che mezz’ora dopo erano già pronti sul canale dietro al Lido per aspettare il motoscafo che li portava verso nuovi impegni, si possono pescare giusto alcuni, per cenni.

Prima a farsi notare, la protagonista di alcuni passaggi chiave, la bionda neozelandese Rebecca Bassett-Graham, dal 2013 di base a Londra come free lance e dal 2017 in esclusiva com McGregor. 

 Ancora, e non solo per bellezza di presenza scenica, si è visto per esempio l’aitante Jasiah Marshall, che viene dalle Bermuda e dopo qualche giro del mondo anglosassone, sempre per grandi coreografi, è entrato l’anno scorso nella WMG Company. 

 Infine, l’unico tipo inequivocabilmente mediterraneo della ciurma alla Pequod di London Here East, Salvatore De Simone, dalla Calabria con onore e baffi: si è formato tra Milano e Berlino, lavora dal ’21 per McGregor, che ha incontrato proprio per uno spettacolo di Biennale College.  

 Subito dopo creatore e cast nei titoli, compare giustamente, sotto la voce Direzione musicale, il deejay che ha eseguito dal vivo la colonna sonora, Benji B, uno dei più importanti e conosciuti protagonisti della scena elettronica inglese.

E’ solo il primo dei colpi d’ingegno con cui Wayne ha costruito questo ‘W.H.a.M’, la presenza a bordo scena di un DJ eclettico e capace come pochi altri di conferire un’atmosfera rave, seppure sofisticata e non banale. 

 La trovata è appunto anche nell'apparente discrasia: in scena c’è un gruppo di giovanissimi e giovani che la sera andrebbero ad ascoltare e a ballare esattamente questo stesso tipo di dance elettronica e techno; ma le coreografie fanno invece virare i loro movimenti decisamente verso la ‘pure dance’, quasi al classico.

Non si possono infatti leggere, in questo caso, citazioni o riferimenti all’armamentario del post-coreografico che abbondano invece nelle nuove compagnie giovanili più vivaci, e che peraltro sarebbero stati perfettamente in armonia con la musica.

 A un altro artista ben noto sulla scena londinese, Ben Cullen Williams, Wayne McGregor si è affidato per ‘collocare’ in qualche modo la sua storia neo-umanista con l’uso di video e proiezioni, nel senso di far muovere i ballerini, piccoli piccoli nel contesto di una sala del genere, dentro all’evocazione ancora più immensa - se così si può dire - di un mondo naturale arcano e remoto, come fuori dal tempo, o addirittura oltre la fine del tempo.

Per poi ritrovarli, a sorpresa, dopo una quarantina di minuti, sullo sfondo dell’Arsenale, ripresi in primissimo piano, da vicino, così vicino come appariranno subito dopo, con un colpo a effetto, meraviglioso, proprio accanto agli spettatori in platea.

 E qui, seguendo l’elenco in tamburino, si apre il capitolo ‘vale il biglietto’ di Theresa Baumgartner per la voce Luci.

Artista visiva berlinese di prim’ordine, che curerà addirittura una sezione della prossima Biennale Musica, Baumgartner per ‘W.H.a.M’ costruisce con le luci, prima di tutto, il vero e proprio ambiente della coreografia, proponendo di fatto la sua architettura luminosa in sintonia con la musica.

Poi, esageratamente 'mette in luce' in qualche modo la distruzione del contesto creato, con un’esplosione da Rumore Bianco, che segna la svolta verso il trionfo finale del 'Noi'. 

 Sic et simpliciter, se anche tutto ‘W.H.a.M’ fosse un vero schifo, ‘worth the price’ soltanto per lo straordinario spettacolo delle luci negli ultimi venti minuti.

Baumgartner e Ben Cullen Williams hanno lavorato ancora di recente con McGregor, per altri spettacoli. Ma questo disegno di luci dell’artista berlinese esalta precisamente la volontà di potenza del teatro-danza totale che è andato in scena a Venezia il primo week-end di agosto.

 Un cenno all’ultimo dei crediti, Costumi di Wolford. Questi deliziosi body a mezzo collo di colori basici e questi slip neri da brief set indossati da tutti i ballerini, sono perfettamente funzionali all’uguaglianza, non solo di genere e di aspetto, ma anche di livello professionale, e contribuiscono a conferire questo tono così spiccatamente neo-umanista a ‘W.H.a.M’.

Un grande spettacolo capitalista, certo, non teatro povero o danza d'avanguardia, ma perfetto o quasi: umanamente perfetto. 

 P.S.: Wolford non dovrebbe aver mai prodotto niente della taglia dello scrivente: la citazione complimentosa finale di questo ‘brand globale leader nello skinwear più esclusivo, nato nel 1950 sulle rive del Lago di Costanza, a Bregenz, in Austria’ è quindi inevitabilmente disinteressata…

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