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Non ci si oppone al fato, meno che mai in scena: il nuovo Edipo di Serra, Delfi, le pietre sonore di Sciola e la Tebe di Barba

Jared McNeill e Chiara Michelini in ’tragùdia' (foto di Alessandro Serra)
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DA SOFOCLE A SENECA AL GRECANICO

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 E’ certamente un evento raro, l’anteprima a un festival internazionale di una nuova produzione italiana, anzi di Sardegna Teatro.

 Come già anticipato, ’tragùdia - il canto di edipo’ di Alessandro Serra ha debuttato con due rappresentazioni accolte da calorosi applausi al Teatro di Budapest, il 27 e il 28 aprile, come evento di chiusura del Mitem (Madách International Theatre Meeting). E’ stata l’undicesima edizione di questo festival ma anche la prima dopo quelle Olimpiadi del Teatro che nel 2023 hanno riportato la capitale ungherese a giocare un ruolo sulla scena d’Europa.

 Serra, reduce da un successo mondiale come ‘La Tempesta’, con 139 repliche e 68mila spettatori, lavora da mesi a questo nuovo e atteso lavoro. Come s’intuisce dal titolo ‘tragùdia’, la scelta è di rappresentare una storia archetipica per eccellenza del teatro in una lingua arcana e minore, come il gréko calabro o grecanico.

Insieme con il procedere delle prove in quel di Paulilatino, storica località dell’oristanese, ha fatto capolino la locandina, sulla pagina ufficiale dell’istituzione sarda capofila della produzione; sotto il titolo e prima del cast, si legge: ‘Liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito’.

Stando alla scheda presentata mesi fa al festival Mitem, il testo è una cucitura originale non solo degli Edipo di Sofocle, ma anche di Euripide, Aristofane, Seneca e altre fonti primarie del mito.

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E TERZOPOULOS DISSE A WUZHEN...

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 In autunno ‘tragùdia’ partirà per una tournée italiana, quasi sicuramente da Bologna, nell’ambito del prestigioso festival Vie di ERT: del resto, l’Emilia Romagna Teatro è co-produttore con Teatro Bellini di Napoli, Fondazione Teatro Due Parma, in collaborazione con la Compagnia Teatropersona dello stesso Serra e con I Teatri di Reggio Emilia.

Chi non ha avuto la fortuna di vedere lo spettacolo al primo assaggio pubblico, può evincere qualcosa dalle fotografie e da alcune citazioni testuali che Serra ha cominciato a seminare sul profilo social della sua compagnia: l’ultima pubblicata dalle prove in Sardegna era una frase che pronuncia Antigone, ‘Kalomirìa già pion epònespe! Sas paracalò, kalomarìa!’ Pietà per chi ha sofferto! Vi prego, pietà!’. 

 Lo spettacolo ha conosciuto l’anteprima mondiale a Budapest perché il festival ungherese vanta come direttore artistico il grande regista greco Theodoros Terzopoulos, che ha esortato Serra ad andare avanti nella sfida di allestire questo progetto Edipo in più occasioni d’incontro e di viaggio, per esempio ancora quest’autunno in Cina, dove entrambi sono stati invitati al prestigioso festival di Wuzhen.

Ma non è l’unica singolare coincidenza del caso, o meglio, siccome si parla di un Edipo, non è l’unico anello di una ‘fatale concatenazione’ di piccoli e grandi fatti del teatro.

La citazione

 Noi veniamo mossi dal fato: rassegnatevi al fato. Il nostro impegno affannato non è in grado di mutare i fili di un destino già tracciato: qualunque cosa noi subiamo, noi stirpe mortale, qualunque cosa facciamo, viene dal cielo, e il fuso di Lachesi mantiene i suoi decreti, inflessibile. Tutto cammina per un sentiero stabilito e il giorno della nascita determina già l’ultimo, della morte. Non è possibile al dio far muovere in senso diverso ciò che corre secondo le sue proprie concatenazioni: si realizza per ciascuno un ordine già deciso che nessuna preghiera può modificare. A molti la paura di esso nuoce, e molti  la loro stessa paura li ha portati per mano incontro al loro destino. Si è sentito fragore di porte e lui, senza nessuna guida, privo ormai degli occhi, si fa strada.

CORO da Edipo di Seneca
Un'altra immagine di ‘tragùdia’ di Alessandro Serra, scattata dal regista stesso
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PIETRE SONORE AL DELEDDA

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 Per mettere a punto ‘tragùdia’ Serra con i suoi collaboratori più stretti e il cast dello spettacolo hanno avuto a disposizione il Teatro Grazia Deledda di Paulilatino, che è una splendida struttura di Sardegna Teatro nel centro dell’isola, in pratica a metà strada tra Cagliari e Sassari.

Le compagnie che arrivano al Deledda sono ospitate nella vicina Foresteria del teatro, in un’antica casa di basalto tra la piazza principale e la Chiesa parrocchiale del XIV° secolo dedicata a San Teodoro.

La zona di Paulilatino, tra l’altro, è conosciuta per i ritrovamenti archeologici di strutture della civiltà nuragica e in particolare per un pozzo sacro di quasi 3500 anni fa, che tuttora affascina i visitatori per la complessità allegorica della costruzione e per il rapporto particolare che si crea con la luce del sole agli equinozi. 

 Il teatro locale, poi, al termine di una grandiosa ristrutturazione, nel 2005, ha avuto in dono alcune bellissime sculture delle pietre sonanti da Pinuccio Sciola. E con questo nome si entra nel pieno delle concatenazioni.

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BARATTI AD ORGOSOLO, CON L'ODIN

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 Giuseppe Sciola detto Pinuccio, scomparso nel 2016, è stato non solo un grande artista ma anche un animatore culturale di prim’ordine. Ha trasformato in un vero e proprio museo a cielo aperto il suo paese natale, San Sperate, che era poco più di un villaggio contadino del sud della Sardegna.

Sciola ha tessuto per tutta la vita una rete straordinaria e internazionale di relazioni con altri artisti, convincendone tantissimi, anche del mondo del teatro, ad andare ospiti nella sua Sardegna. 

 In alcune vicende particolari, come quella dell’Odin Teatret di Eugenio Barba, l’entusiasmo ai limiti dell’incoscienza di Pinuccio Sciola giocò, involontariamente, un ruolo fondamentale. Come ha ricordato Barba ancora di recente a Milano, una vera e propria rifondazione artistica dell’Odin si deve proprio a un incidente di percorso durante il viaggio in Sardegna del 1974, su invito di Sciola.

 Lo scultore organizzò per Barba e i suoi una serata a Orgosolo e nella sede improvvisata della rappresentazione entrarono solo gli uomini più anziani e rispettabili, mentre fuori rumoreggiava una piccola folla di esclusi. Poi, gli spettatori e maggiorenti locali fecero silenzio e lasciarono esibire gli attori dell’Odin, senza nemmeno mostrare un cenno di reazione. Solo che, alla fine, alcuni del pubblico si alzarono dalle sedie e dissero senza mezzi termini: ‘adesso vi facciamo vedere noi come si fa’, prima di esibirsi in canti e balli locali tradizionali.  

 Nacque così, in occasione di questo incidente sfiorato con la popolazione nel paese allora considerato il cuore del banditismo, l’idea del ‘teatro del baratto’, che fu poi messo a punto da Barba portando la compagnia del Nord Europa prima di tutto a vivere per un lungo soggiorno a Carpignano, nelle Puglie, e in seguito a prendere il largo per il mondo intero.

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DA DELFI A TEBE VIA SCIOLA

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 Più di recente, nel 2019, Barba ha voluto riportare l’Odin Teatret in Sardegna proprio per rendere omaggio alla memoria di Sciola e ha tenuto un discorso pubblico nel Giardino delle pietre sonanti di San Sperate. In quell’occasione Barba ha avuto modo di incrociare anche Terzopoulos, al cui lavoro veniva contemporaneamente dedicato un approfondito seminario al teatro di Cagliari.

Il regista greco fondatore dell’Attis Theatre, che in trentacinque anni di attività ha allestito duemila spettacoli, ha un legame speciale con la Sardegna e nel 1999 aveva diretto a Cagliari ‘Paska Devaddis’, storia di una banditessa messa in scena con gli attori del Teatro dell'isola.

Poco dopo l’incrocio in Sardegna, ai primi di luglio del 2019, Barba e Terzopoulos si erano ritrovati nuovamente insieme, stavolta in casa Attis, dove per alcuni giorni, al festival di Delfi, è stato organizzato uno speciale ‘Tribute to Eugenio’.

Non è superfluo ricordare, per tornare a Edipo e alla tragedia greca, che l’ultimo spettacolo di Barba all’Odin è stato ‘Tebe ai tempi della febbre gialla’, dove, nonostante una sorta d'incursione del mito nel mondo degli impressionisti, veniva impiegato soltanto il greco antico come lingua, per i pochissimi dialoghi tra gli attori, in una scena al solito essenziale da teatro arcaico.

Il metodo Terzopoulos, cosiddetto ‘del ritorno al dionisiaco’, assomiglia allo stile di Barba proprio nelle intenzioni di uno scavo allo riscoperta delle radici più antiche del teatro, in cui poi il regista greco innesta la sua visione in qualche modo da arte contemporanea (vedi anche soltanto la collaborazione con Jannis Kounellis) e Barba piuttosto la lezione del teatro povero di Jerzy Grotowski.

Entrambi, peraltro, riconoscono grande importanza all’analisi critica che fu proposta con lucidità, ormai quasi cent’anni fa, nel 1932-33, da Antonin Artaud, soprattutto nei due Manifesti per il Teatro della crudeltà e nei saggi degli stessi anni. 

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A.A.: BASTA CON I CAPOLAVORI

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 Lo stesso Artaud è in qualche modo anche lo spirito che aleggia nelle premesse di ‘tragùdia’, come esplicitamente ricorda Serra nella scheda di presentazione, dove è citato un brano che contiene l'affermazione provocatoria: ‘se la folla contemporanea non capisce più Edipo re, oserei dire che la colpa è più di Edipo, non della folla’.

Per chi volesse approfondire lo spunto fa parte di un saggio di Artaud, ’Basta con i capolavori’, che in italiano si trova tradotto da Ettore Capriolo per ‘Il teatro e il suo doppio’ della Piccola Biblioteca Einaudi (prima edizione 1968). Nello stesso volume ci sono anche altri riferimenti a Edipo, nel saggio ‘Il Teatro e la Peste’ e anche in una delle lettere sul linguaggio, al Signor B.C. da Parigi, 15 settembre 1931, che è una sintesi di una chiarezza esemplare del pensiero di Artaud.  

 Questa piccola serie di concatezioni, da Artaud a Barba attraverso Sciola e Terzopoulos, suggeriscono 'fatalmente' all’appassionato una precisa traccia del percorso di Serra verso la posizione di autore e regista magistrale. 

 Sarà immediato, per i critici faciloni, l’accostamento di ‘tragùdia’ con il primo capolavoro in sardo ‘Macbettu’ (che è tornato in scena anche quest'anno, il 13 luglio, a Cagliari, al termine di una tournée in Cina e in Asia). Del resto, era successo anche in occasione de ‘La Tempesta’.

A suo tempo, dopo ‘Macbettu’, Serra si era divertito a portare in giro due piccoli gioielli artistici come ’L’ombra della sera’ sulle sculture di Giacometti e ‘Frame’ sui quadri di Hopper, invece di continuare facilmente a inseguire le sale piene. 

 Dopo il successo, volendo fare gli ipercritici, Serra ha anche dovuto in qualche modo fare i conti con il teatro borghese e il sistema italiano, cercando di non farsi imprigionare nella gabbia degli eredi, presunti o meno, dei maestri della regia critica, e in particolare nell’immagine di un epigono del miglior Giorgio Strehler, rifuggendo pure la tentazione delle ricche scene liriche.

 Ed ecco poi il richiamo esplicito alla grande lezione del teatro artistico contemporaneo, da Peter Brook a Tadeusz Kantor, per l’incontro con l’evento magico shakespeariano e gli elementi ‘naturali’ che smuovono qualcosa di profondo, aprono l'uomo all'orizzonte del 'perdono' - supremo atto ('per') dell'accettazione (dalla radice in sanscrito di 'donum'), in fondo anche di sè stessi e del proprio talento -.

Restando su questa strada più impervia, dopo 'La Tempesta' Serra ha scelto infine di confrontarsi con l’impossibile riproposizione del mito di Edipo, e di farlo - da quel che s’intuisce per ora di ‘tragùdia’ - a mani nude, con qualche luce e poche tavole di legno, attraverso suoni ancestrali, movimenti essenziali e attori allenati a non sembrare tali.      

Un'altra foto di Alessandro Serra, dal sito di Sardegna Teatro: da questo scatto si suppone che nel nuovo ‘tragùdia’ l'Edipo cieco sia interpretato da Chiara Michelini

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