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Non è passata 'La Notte' di Pippo Delbono da Koltès, è un buio profondo che resta e inquieta

 Che cos’è che irrita e colpisce così tanto ancora oggi di ‘La nuit juste avant les forêts’, scritto da Bernard-Marie Koltès per la messa in scena a un Festival di Avignone Off del 1977?

 Non deve ingannare l’affettuosa salva di tre o quattro giri d’applausi tributati a Pippo Delbono, nella tarda serata del 9 gennaio 2024, alla prima del Teatro Menotti di Milano, per la riproposta della sua pièce ‘La Notte’ (in cartellone fino al 14.1). All'uscita, nei capannelli dopo lo spettacolo, un certo disagio era palpabile.

 Per la cronaca, partendo dall’inizio, tra chi ha ascoltato i telegiornali prima di scendere in sala, si parla anche della notizia che il nuovo primo ministro francese sia un bel giovane dichiaratamente gay, di buona famiglia e di ottime scuole ovviamente, e qualcuno commenta ironico: ‘anche noi abbiamo la nostra brava segretaria arcobaleno del Pd, ma non la vedremo presto a capo del governo…’

 Il direttore del teatro ringrazia gli spettatori che hanno riempito la sala, è il primo spettacolo del nuovo anno, e raccomanda di tornare spesso. Si spengono le luci e finiscono le chiacchiere, ma prima di tutto vengono proiettati due video promozionali dei prossimi appuntamenti in cartellone, che pubblicizzano decisamente tutt’altro mondo dello spettacolo, più vicino all’intrattenimento. 

 Concentrarsi su quel che sta per cominciare non sarà agevole, è una questione di ‘gravitas’ direbbero i raffinati.

 Delbono si siede davanti a un leggio, fa un cenno di ringraziamento per gli applausi con cui è stato accolto e, dopo una breve introduzione, parte con una lettera da Siracusa del fratello di Koltès, sui morti disperati nel Mediterraneo, prima di affrontare il dattiloscritto con la traduzione italiana del monologo originale di quasi cinquant’anni fa, e infine poche toccanti frasi che l’autore, prematuramente divorato dall’Aids nel 1989, scrisse in una lettera alla madre che gli rimproverava una certa ossessione omoerotica.

 Sarà passata una decina di minuti o poco più, e in fila C arriva da dietro l’eco dei primi bisbigli di quelli che si lamentano per l’amplificazione insufficiente o scadente: in effetti non si sente con chiarezza la voce di Delbono, un po’ è lui che la trascina spostando pure il microfono, un po’ siamo tutti noi che, in realtà, non vogliamo sentire quello che ha da dire. E questa è un’altra questione di ‘gravitas’, appunto.

 In una breve presentazione de ‘La notte’ stesa dallo stesso Koltès si legge: ‘Un uomo usa tutte le parole che riesce a trovare per aggrapparsi a uno sconosciuto che incontra all’angolo della strada una sera in cui è solo. Gli racconta il suo mondo. Un sobborgo dove piove, dove si è stranieri, dove non si lavora più; un mondo notturno che lui attraversa, per fuggire, senza voltarsi indietro; gli parla di tutto e dell’amore in un modo in cui non si può mai parlare, se non a un estraneo come questo, un bambino forse, silenzioso, immobile’. 

 Delbono non è Koltès, d’accordo, ma è difficile astrarsi da una concatenazione di similitudini quasi perfetta tra l’autore, l’attore e l'interlocutore del protagonista del testo. Affinità di vita e di poetica e di idealità, ‘di adesione completa alla causa di tutti gli sfruttati’ e di rifiuto ‘della cultura come rifugio di classe nell’estetismo e nell’arte’, di pratica incessante di ‘una fuga nell’altro’ per sfuggire alla condizione di borghese privilegiato. 

 Serve a poco persino l’effetto straniamento che Delbono vuole davvero, o si trova casualmente a dover creare, con un’interruzione dichiarata per cause fisiologiche del chitarrista che lo accompagna qua e là con qualche nota e pochi suoni. 

 Tra i reduci dei primi Avignone Off si tramanda di una messa in scena originale di Koltès stesso che vedeva l’attore Yves Ferry recitare l’unica frase ininterrotta delle 63 pagine del testo, semplicemente seduto a un tavolino di uno stanzone qualunque della sala d’aste subito fuori dal centro storico di Avignone.

 La densità di significati è pari all’apparente impalpabilità (per anni lo stesso autore non ha voluto giustamente pubblicarlo in volume), del resto quest’uomo si è perso nella notte buia sul limitare di una foresta. Forse è solo il delirio di un povero straniero allo sbando, forse è tanto altro ancora.

 Di sicuro in molti, anche tra i più irritati, all’indomani vorranno e potranno approfondire e riflettere, non manca un’interessante letteratura critica: è ancora disponibile online, per esempio, un bel saggio del 2013 sull’origine del testo più celebre di Koltès scritto dal drammaturgo Manlio Marinelli per ‘Il Castello di Elsinore’, da cui sono tratte le citazioni sugli ideali di cui sopra.

 Facile imbattersi pure nel video di Pier Giorgio Favino, che nel 2018 ha portato un pezzo de ‘La nuit’, in italiano stentoreo da migrante, con le lacrime agli occhi, al Festival di Sanremo. Ancora, Claudio Santamaria l’ha interpretato sulla musica originale di Sangiorgi dei Negramaro, Lino Guanciale ne ha dato una lettura-omaggio in t-shirt nera senza ‘La Notte’ nel titolo… Eppure, o forse anche per questo, inquieta che possa arrivare intatto, attraverso Delbono, il nucleo incandescente di un autore che è e resta irregolare.  

 E così adesso persino gli spettatori critici e gli appassionati del teatro di Delbono - ‘off’, ma per davvero, ancora, se non più che mai, nonostante i successi mondiali -, non possono non rapportarsi proprio a Koltès senza subire lo stesso implicito senso di colpa che muoveva l’autore francese e forse muove pure il nostro immenso Pippo a praticare una tale radicalità politica, di critica sociale e antropologica. 

 Anche nel mondo di oggi dove, per dirla con le parole dell’uomo che cerca disperatamente un compagno nella notte sul limitare della foresta, ’il clan degli inculatori e chiavatori nascosti, i tecnici su scala internazionale, quattro mettinculo che decidono per noi lassù…’ , insomma il potere, ha imparato ormai così bene a cucinarsi anche la diversità, il dissenso e gli stessi ‘autori scomodi’. 

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