" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Note di parte e di visioni sulla via del canto, durante e dopo la prima di 'Tragùdia'. Si badi bene: spoiler alert arancione

Momento Deleuze al dibattito dopo 'Tragudia': le reazioni di Enrico Pitozzi (a sinistra) e di Alessandro Serra

 Banale a dirsi, ma indispensabile: prima di tutto pioveva davvero a dirotto, anche nella serata di giovedì 17 ottobre, anche a Bologna, per l’attesa prima di ‘Tragùdia. Il canto di Edipo’ di Alessandro Serra, presentato da Emilia Romagna Teatro, che co-produce con Sardegna Teatro, il Bellini di Napoli e altri. 

 Le secchiate d’acqua dal cielo fuori dai portici davanti all’Arena del Sole e nel cortile interno del bar, segnano l’apertura delle porte per far entrare il pubblico in sala. (Attenzione, spoiler 1).

Molti delle prime file si accomodano guardando distrattamente verso il palco, buio e pure tanto scuro, già presidiato da un’alata e inquieta Chiara Michelini. Quella strana creatura che, tutta in nero, con pantaloni di pelle attillati, scarpe con tacco e corpetto, potrebbe essere persino un diavoletto...altro che gli dei dell'Olimpo!

  Così, un pizzico a disagio, tutti si mettono seduti, a chiacchierare con il vicino di poltrona, a leggiucchiare il programma, a salutare qualche conoscente che arriva: molti, i soliti ‘smartphone’s-victims’, si chinano a smanettare sul cellulare... 

 A proposito, chissà se qualcun'altro crede al dio del teatro, oggi, e pure a quanto ancora si impegni a bagnare dispettosamente le prime più significative - almeno stando alla casistica post-anni Venti -, come se non amasse poi troppo i tentativi di violazione del suo spazio lassù. 

 In effetti, (spoiler 2) dopo una mezz’ora altre secchiate rumorosissime di pioggia si scaricano sul tetto vitreo della cupola dell’Arena.

Potrebbe persino essere avvertito come un fastidioso contro-canto, in alcuni momenti chiave di uno spettacolo che è fatto di voci naturali e di suoni leggiadri campionati, con tanto di lunghi silenzi perfetti per far percepire come rumorizzazioni a effetto, per esempio, il semplice battere e strisciare del passo del Tiranno in stivaloni neri, quasi da divisa nazifascita. 

 ‘Ben-ti-sta!, presuntuoso e sfacciato d’un Alexandros Thermokìpio, ché pensi di aiutare gli uomini scoperchiando i nostri segreti…’, si sente come mormorare da quella voce lassù.

 Stravisioni consuete da fanatici, perché di questa tre volte ardita ‘Tragùdia’, la prima difficoltà è riuscire a concentrarsi con serenità di giudizio: e non è nemmeno tanto un problema di doppi sottotitoli - italiano e inglese - o di densità del racconto. 

 E’ che in questa sala, stasera, non entrano ‘indifferenti’ o ‘pecoroni da marketing’, ma perlopiù appassionati di questo autore e regista che è un caso unico riconosciuto al mondo, almeno dopo ‘Macbettu’, e tanto ammirato.

 Se ci si guardasse intorno, ci si capirebbe subito, tra i più disposti a farsi prestare soccorso dal farmaco universale della poesia (spoiler 3), sparso nell’aria stavolta, subito alla prima scena, addirittura attraverso i fori di un turibolo d’incenso, che dondola davanti a una sorta di disadorna parete delle icone la quale poi...(basta così!)

 Al massimo, nell’ingaggio della prima di ‘Tragùdia’, oltre ai Serra-fans di varie età e addirittura razze (si distingueva un gruppetto di giovani orientali), poteva esserci cascato qualche vittima del passaparola di amici entusiasti. 

 Come si scoprirà alla fine, nel vivo dibattito del dopo, ci sono per esempio anche due giovani studenti di filosofia e di estetica, che si arrovellano sul senso della ‘ripetizione’ di parole come ‘amore’, alla luce del pensiero che notoriamente amava la ‘differenza’ di Gilles Deleuze. 

 Deleuze, ohibò chi si rivede?!?, si mette una mano sulla testa sorridendo Serra, che peraltro si è appalesato anche lui un po’ in fissa post-filosofica, con il pensiero però al celebre junghiano James Hillman, che oltre a riparlarci di anima, ha corretto e rivisitato l’usurata versione freudiana di Edipo.

Per fortuna poi Serra ha mostrato di sapersi muovere bene anche sul tono leggero, citando annessi e connessi della visione televisiva delle partire di tennis, di Sinner e/o delle Errani-Paolini, come esempi della respirazione e della voce nel teatro.  

 Per la cronaca, sempre all’incontro successivo, fa quasi commuovere i tanti che sono rimasti, l’intervento finale di un ragazzo calabrese, nato nelle zone in cui si sta combattendo la battaglia di sopravvivenza anche del grecanico tradizionale, che è la lingua che Serra si è scelto per il racconto con cui ha inteso ripresentare i due Edipo di Sofocle (e assaggi di altre tradizioni sul mito). 

 Premettendo che non voleva dire nulla di relativo allo spettacolo, ma di essere venuto solo per la curiosità verso la lingua indicata in locandina, questo fuori-sede orgogliosamente calabro si è limitato a voler esprimere il suo ‘grazie’ ad alta voce, promettendo di riferire subito a suo madre, che fa parte dell’ammirevole pattuglia di chi contribuisce a tener vivo il grecanico, proprio con lo scrittore Salvino Nucera, che ha curato la traduzione di ‘Tragùdia’. 

 Meno commovente ma puntuale in sala anche l’inevitabile pletora dei giornalisti, e parecchi teatranti, anche dei tipi che non ti aspetteresti mai. Si nota in platea, per esempio, quella simpatica figura di neo-rivoluzionario proudhoniano che è Nicola Borghesi, front-man e anima di Kepler-452, straordinaria compagnia bolognese di ‘teatro di realtà fatto con la realtà’, diventata celebre per ‘Il Capitale’.

Sarà venuto anche solo per distarsi una sera dall’ideazione del nuovo ‘A Place of Safety’, dopo un’estate nel Mediterraneo sulla nave di Sea Watch, con l’attesa che già monta tra gli addetti ai lavori e rode nello stomaco.

 Tra parentesi si dice che per la prossima prima kepleriana sul racconto delle traversie nei soccorsi ai migranti nel Mediterraneo, a fine febbraio 2025, l’ERT abbia già ricevuto prenotazioni da mezz’Europa, in primis di uno-due guru del teatro; sia chiaro, la lunga citazione di cui sopra, ovviamente, è ‘dramaholicamente’ interessata, per pietire almeno uno strapuntino…

 Ecco, stasera sono tutti qui per assistere alla sfida delle sfide di Serra, stampa e teatranti: nessuno si sarebbe mai messo in un’impresa del genere di ‘Tragùdia’, e non c’è nemmeno più un Pier Paolo Pasolini che ne possa scrivere sulla prima pagina di un grande giornale. 

 E poi tanti, anche degli addetti ai lavori e dei giornalisti in sala, ormai amano e/o praticano un linguaggio radicalmente altro rispetto a quello per così dire da ‘nuovo teatro povero’ di Serra, che della tradizione nata con la rivoluzione artistica degli anni Settanta è un erede riconosciuto e riconoscibile. Basti dire solo che qui Edipo è Jared McNeill, allievo diretto del maestro Peter Brook, ereditato dal nostro ‘soccorritore’ di Civitavecchia già come Calibano ne ‘La Tempesta. 

 Non ci sono aggettivi non banali per parlare di questo mostro da palcoscenico che smonta giù dalle assi sempre allegro e affamato; altrettanto, ma non sull'appettito, può ripetersi sull’unicità di Chiara Michelini.

Insieme (spoiler 4, attenzione!) Jared e Chiara sanno anche ridursi al quasi impalpabile per ‘non interpretare’ le scene fondamentali del mito, aiutati dalle solite luci fotografiche da premio di Serra. Da brivido il punto drammatico nodale dopo il disvelamento dell’incesto, che si gioca tutto in una piccola zona con l’accensione di un semplice spot…

 E non sono luci ‘caravaggesche’, accidenti, come ha voluto precisare lo stesso regista al pubblico: casomai è il tentativo di riportarsi proprio vicino al ‘teatrale’ originale di Rembrandt, quel ‘chiaroscuro’ che fu cantato da Proust.  

Mezzo cast di 'Tragùdia' in una delle immagini scattate dallo stesso Serra alle prove

 Tornando con i piedi per terra, non manca in sala chi prova un po’ di dispiacere per aver dovuto rinunciare alla contemporanea prima de ‘Il risveglio’ di Pippo Delbono a Modena. Là, al Teatro Storchi, di ritorno dalle anteprime a Parigi, c’è la nuova piéce autobiografica del Grande Irregolare, l’Inclassificabile del nostro teatro, come lo chiamano gli studiosi.

Ci si può consolare sapendo già che il Poeta dell’Imperfezione, poco più in su lungo la via Emilia, come qui a Bologna questo talento che invece ama la perfezione estetica - nel senso autentico e prima di tutto etico -, procedono quasi in parallelo sul sentimento fondamentale dell’umanità stessa, l’amore, attraverso il quale soltanto c’è data la possibilità di una rinascita. 

 Liquidato il complesso della non ubiquità dello spettatore, viene da mettere a fuoco, non per sembrare sempre irriverenti, la terza difficoltà di ‘Tragùdia’, forse la più ardua.

Con un cast intero che dà così bene coralmente il meglio, ci si perde ammaliati (spoiler 5), distratti dagli dei per via di questo o quell’intervento umano, nei passaggi particolarmente efficaci, nell’uso di semplice materia in scena, terra e polvere, nei costumi in bianco e nero con rari inserti rossi, poveri e insieme preziosi, negli stessi incantevoli segreti di scena.

 Per esempio, un dettaglio soprattutto assume quasi un valore metaforico dell’intero lavoro: è il canto di quegli uccellini di campagna, le cui voci registrate di notte dallo stesso Serra, vicino alla casa dove vive, sono la musica celestiale del bosco sacro di Colono in ‘Tragùdia’. 

 Volano, quegli ignoti passeriformi, all’altezza stessa dei cori e delle musiche create da Bruno De Franceschi, perfezionate durante l’allestimento dello spettacolo a Paulilatino dal maestro di canto e di vocalità che ha lavorato persino con Kantor. 

 E il paradosso è che quegli stessi appassionati più 'visionari' - ma mai quanto si ripete del regista e autore - si distraggono a cuor leggero per gustare spigolature, tanto sanno benissimo che l'edificio intero di ‘Tragùdia’ si perfezionerà parecchio strada facendo, come è stato per ‘La Tempesta’, e tutto alla fine prenderà la forma migliore.

Le prime sono prime, imperfette per definizione, e l’handicap vale anche per un Alexandros alle prese con gli dei greci. 

 Oltretutto, perché questo spettacolo ha una morale che ripetuta così, per iscritto, oggi, nel nostro disastrato 2025, fa quasi pensare a una frase da incarto dei celebri cioccolatini: ‘solo una parola può dissolvere tutti i tormenti, amore’.

 Quell’amore che è poi 'agapi' in grecanico, come mormora uscendo di scena Edipo, l'agape inteso non solo come l’amore fisico o quello parentale, tra genitori e figli, ma proprio il sentimento puro e semplice che può creare tra le persone un legame quotidiano profondo e solidale.

E' poi anche l'amore evangelico, l'agape, è 'paziente, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non cerca il suo interesse, riesce sempre a sperare, credere e sopportare ogni cosa', secondo una celebre definizione paolina.  

 Ecco, alla fine bisogna davvero infondere il massimo impegno per provarci, a farsi così piccoli per riuscire a cantare volando come quegli uccellini leggeri nel buio delle nostre notti, in questo mondo che troppo spesso appare così orribile.

Soltanto seguendo questa via del canto notturno degli uccellini nel bosco sacro, forse, si può condividere appieno la bellezza di questo spettacolo, una costruzione teatrale incantevole che semplicemente parla della vita, del risveglio e della rinascita attraverso la conoscenza di se stessi. 

Al brindisi dopo la prima, al cronista fortunato sul taccuino resta l'autografo - e nel cuore l'abbraccio - della grande protagonista Chiara Michelini

Iscriviti
alla newsletter

Ultimi Articoli

Iscriviti
alla newsletter

-->