

Ok, boomer. Dafoe ce l'ha fatta a mettere insieme una notevole Biennale Teatro, con qualche piccola ombra
31.03.2025
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E bravo William Dafoe, ce l’ha fatta a mettere insieme una Biennale Teatro di un certo interesse. Il risultato, a una prima lettura del programma 2025 - appena presentato dall’attore americano con la disarmante premessa egotistica: ‘è il mio teatro, è il teatro che piace a me’ - va ampiamente aldilà delle aspettative e si fa addirittura beffe dello scetticismo sciovinista con cui era stata accolta dalla nostra ‘famiglia’ di teatranti e teatrati la nomina di un ‘estraneo’.
Il primo e più significativo blocco su cui è costruita Biennale Teatro 2025 è dedicato alla celebrazione dell’edizione del 1975 diretta da Luca Ronconi, che sancì l’avvento della cosiddetta ‘rivoluzione teatrale’. Scomparsi gran parte dei bei nomi di allora (Julien Beck, Peter Brook, Jerzy Grotowski ecc.), la chicca di questa sezione ‘Venezia 75/25. Cinquant’anni di nuovo teatro’ è data dalla presenza di uno dei grandi protagonisti di quella rivoluzione ancora in attività, Eugenio Barba, con Julia Varley e l’Odin Teatret, oltretutto con un nuovo spettacolo, ‘Le nuvole di Amleto’, che ha per tema proprio l’eredità che trasmettiamo alle nuove generazioni.
Sul piano propriamente intellettuale si fa notare anche l’impegno che si è preso il novantunenne Richard Schechner, che da professore a New York fu il primo guru della ‘Performance Theory’, a tenere a Venezia una lectio magistralis.
Purtroppo era indisponibile Ariane Mnouchkine che con il suo Théâtre du Soleil a Parigi è rimasta l’unica, con Barba, a praticare ad alti livelli l'autentico ‘post-teatro Settanta’: la prima parte del suo nuovo lavoro sulla rivoluzione russa, ‘Ici sont les Dragons’, sarà l’evento d’apertura, dal 30 maggio al 6 giugno, del grande festival del Teatro dei teatri, l’Athens Epidaurus.
Dunque, per il resto, oltre a fare intervenire tre dei reduci del Living Theatre, ’Venezia 75/25’ s’attesta ineluttabilmente su pur validissime testimonianze indirette: l’allievo di Grotowski Thomas Richards (che presenterà in prima europea ‘Inanna’, un lavoro multiculturale della sua compagnia Theatre no Theatre); lo stesso Dafoe, insieme a Simonetta Solder renderà omaggio a Richard Foreman, altro guru dell’avanguardia artistica e intellettuale statunitense; il Wooster Group, che poi sarebbe il teatro d’avanguardia newyorchese degli anni Ottanta, un collettivo di artiste e artisti in cui il ‘dir-attore’ di Venezia 2025 mosse i primi passi, sotto la guida dell’ex moglie Elizabeth LeCompte (Leone d’oro alla carriera del Festival) e del defunto Spalding Gray.
Si fa quel che si può e così a rappresentare Ronconi nel dibattito conclusivo saranno il suo ultimo assistente alla regia Giorgio Sangati e l’attrice Sandra Toffolatti, che a occhio non erano nemmeno nati in quel remoto 1975. Ma, in generale, quel bel clima di ferventi dibattiti aperti di allora, è un ricordo davvero lontano. E così, sotto il profilo dell’approfondimento culturale, purtroppo questa Biennale non eccelle per il resto del programma, con le interviste ufficiali gestite dai soliti ‘intellettuali organici’.
Tornando al bel lavoro personalistico di Dafoe, ci sarà poi un secondo blocco di grande interesse dove sono stati invitati quelli che il dir-attore considera gli eredi contemporanei di quella rivoluzione teatrale: Romeo Castellucci, che sarà a Venezia con ‘I mangiatori di patate’, creazione site-specific all’Isola del Lazzaretto Vecchio; Thomas Ostermeier, regista e direttore della Schaubühne di Berlino, che presenterà il nuovo ‘Changes’ scritto da Maja Zade; Milo Rau, oggi alla guida delle Wiener Festwochen, con l’atteso ‘Die Seherin’, La Veggente, versione contemporanea del Filottete di Eschilo ambientato a Mosul e scritto con la protagonista Ursina Lardi (che riceverà poi il Leone d’argento del Festival).
In questa stessa sezione saranno ospiti anche Davide Iodice con il suo ultimo ‘Pinocchio’, animato da ragazzi con sindrome di Down o nello spettro di autismo, di sindrome di Williams, o Asperger; Gardi Hutter, straordinaria protagonista della scena clown, con il suo ‘Giovanna D’ArpPo’; il poeta americano Bob Holman, erede della Beat Generation, con la street performance ‘We are the Dinosaur’.
Infine - sicuramente in quota Buttafuoco, inteso come il Presidente - i mitici dervisci rotanti dell’Istanbul Historical Turkish Music Ensemble garantiranno una sana iniezione di sufismo islamico.
Per stare invece terra-terra, ai sofismi, diciamo che sulla scelta dei titoli di Dafoe si può discutere: l’intera rassegna si riassume nel semplice slogan ‘Theatre is Body - Body is Poetry’, e questa seconda sezione si chiama ‘I maestri di oggi’, il che vale sicuramente - al presente storico, altrimenti urgerebbe cospicuo aggiustamento temporale - per il guru del post-drammatico Castellucci, per il leader della nuova resistenza brechtiana Rau e per il ‘neo-realista grintoso’ Ostermeir.
Si entra poi in terra incognita con la terza sezione, ‘Uno sguardo al futuro’, dove compaiono la coreografa e regista greca Evangelia Rantou - presumibilmente in quota Lanthimos - che presenta con la sua compagnia Garage21 il nuovissimo ‘Mountains’; la performer afro-belga Princess Bangura, tenuta a battesimo da Rau a NtGent, che farà due assoli, ‘Oedipus monologue’ e ‘Great Apes of the West Coast’.
Ancora: Yana Eva Thönnes, autrice e regista di area Schaubühne-Ostermeir, presenterà in in prima assoluta ‘Call me Paris’; Anthony Nikolchev, californiano, fondatore di The Studio Matejka Physical Theatre Laboratory, in residenza al Grotowski Institute di Breslavia, porta un ambizioso e singolare ‘The (Un)Double’, dove s’intersecano una particolare versione de ‘Il sosia’ di Dostoevskij, testi di Radovan Karadzic (alias Dragan David Dabic) e atti giudiziari del massacro di Christchurch del 2019.
Infine due uscite musicali a sorpresa, per il collettivo Industria Indipendente e per la cantautrice cult di Tempio Pausania Daniela Pes, che con il suo sardo tradizionale alla fine rompe l'asse anglosassone dominante (piccola notazione geo-politica: oltre all'odiato francese macroniano, sembrano sparite dalla rassegna veneziana le lingue di un mondo 'altro').
C’è attesa anche per valutare le scelte fatte con Biennale College, magari i selezionatori stavolta hanno pescato qualche vero nuovo talento. E a proposito di progetti formativi, una delle chicche di questa prima Biennale Dafoe è sicuramente l’asse con l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma, per il nuovo progetto formativo affidato alle cure di Antonio Latella e intitolato addirittura ‘www.wordworldwar.bomb’.
Di Latella formatore si può solo dire gran bene, basta vedere la trafila di nuovi registi che ha lanciato quando dirigeva la Biennale. L’esito di questo lavoro per l’Accademia d’Amico sarà la presentazione a Venezia di una piccola serie di saggi-spettacolo degli allievi del secondo anno attori dell’Accademia, che a scorrere i programmi sulla carta sono davvero intriganti, pescando da ‘Gli ultimi giorni dell’umanità’ di Karl Kraus ai mitici testi dell’assurdista russo Daniel Charms.
E dato che siamo al povero Charms, un altro genio fatto imprigionare e ammazzare da Stalin a 37 anni, viene voglia di suggerire a Dafoe di andare avanti nella serie della memoria: il passo dopo la rievocazione di quella Venezia 75 sarebbe sicuramente riproporre la Biennale del Dissenso del ’77, che fu al centro di un clamoroso scontro politico, in un clima incandescente di accuse di ‘attività antisovietica’.
Ecco una bella occasione per recuperare, per esempio, l’ultimo lavoro di Mnouchkine che ha per tema proprio gli esiti imprevisti della rivoluzione leninista; di rivedere in Italia un vero autentico e indiscusso Maestro del teatro contemporaneo come Lev Dodin; di andare a ripescare i vari dissenzienti al bando nell’Europa filo-putiniana come Kornél Mundruczó; di mostrare finalmente le opere di autori esuli che a Charms un po’ assomigliano, come quel genio guastafeste di Ivan Vyrypaev...
Infine, passando allo sporco lavoro del dileggiare, che qualcuno dovrà pur fare, a questa bella Biennale Teatro 2025 manca solo l’inno. E si potrebbe riproporre la canzoncina ‘Boom Boom Boomer’. Volendo, s’intravede infatti qualcosa di autenticamente paradossale nella singolare trama con cui è stato imbastito questo programma, leggendolo proprio attraverso la lente generazionale.
Persino le scelte migliori, come le due donne da premiare con i Leoni (l’ex moglie del dir-attore e l’attrice-autrice-di-Milo-Rau), o l’apertura ai giovani ‘supervisionati’ dal quasi 60enne Latella, in fondo hanno anche quel certo sapore di paternalismo da ‘Ok, boomer’. Per non dire della sezione iper-patriarcale ‘I Maestri’, dove l’unica donna è un clown e sono tutti solidamente nati nei Paesi del più feroce colonialismo.
Del resto, come hanno notato già in molti, basta fare l’impietoso confronto con la ben diversa articolazione al presente della nuova Biennale Danza di Sir Wayne McGregor, dall’apertura con le due Leonesse Twarp e Bianchi, alle nuove produzioni e alla diversità dei performers invitati.
Certo, di base, il compito del direttore della danza, rispetto a quello del Teatro tradizionale, è già facilitato sulla carta dalla possibilità di pescare in un settore molto più vivo, seppur anche altamente concorrenziale e proprio nello stesso periodo (basti vedere soltanto le prime anticipazioni sul 41mo Bolzano Danza o il programma di ImPulsTanz a Vienna) ma la consuetudine alla contemporaneità non è da tutti.
Alla fine Defoe, rivolgendo decisamente lo sguardo indietro, alla rivoluzione teatrale degli anni Settanta in particolare (peraltro un passato rispettabilissimo e glorioso, ancor più luminoso se rilanciato adesso nel mondo post-democratico, oltretutto pescando proprio tanto dall'America ultra-liberal), e costruendo intorno alle sue personali esperienze di attore, ha accettato di correre anche il rischio di restare schiacciato nei limiti oggettivi di una generazione che ha fatto soltanto finta di voler ribaltare il mondo dei padri.