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Panini succulenti, acqua miracolosa, farina del Mulino di Amleto e fredda argilla, a margine di 'Come gli uccelli' da Wajdi Mouawad

Il cast di 'Come gli uccelli' (foto Giuseppe Di Stefano)

 No, non è una serata qualunque, bisognava capirlo subito. Maledizione.

Persino chi ignora che possa essere un evento la prima rappresentazione in tournée, al Teatro Fontana di Milano, dell’adattamento italiano di ‘Come gli uccelli’ di Wajdi Mouawad, poteva cominciare a sospettare qualcosa dinanzi a un malloppo di dieci pagine di cartella stampa, davvero esemplare, e dopo una presentazione del volumetto con il fortunato testo alla libreria Einaudi.

 Questo spettacolo di un autore franco-libanese molto considerato, del resto, è stato già un titolo di successo non solo nell’originale francese, ma anche nei teatri tedeschi e in altre realtà europee. E questa, appunto, è l’occasione di una sorta di secondo debutto della versione italiana presentata al TPE Teatro Astra di Torino in occasione del Festival delle Colline. 

 Ma la prova finestra, inoppugnabile, che si rischi quella sorta di ‘maledizione della prima’, è il passaggio di rigore al vicino bar Panino GEB, una sorta di appendice esterna per il vettovagliamento della piccola e preziosa Sala nel quartiere Isola.

Sul profilo social della paninoteca, per dire, si trovano le foto con dedica degli attori e tante citazioni degli spettacoli in cartellone, addirittura prima delle succulenti immagini delle nuove baguette proposte, con relativo elenco degli ingredienti.

 E’ tutto un programma fin dall’indirizzo, questo locale pre-teatrale, che serve pure grandi taglieri d’aperitivo all’angolo tra piazza Santa Maria alla Fontana (chiesa gioiello rinascimentale, con acque miracolose per la vista) e via Genova Thaon di Revel (il Conte Giovanni Battista, nobile eroe risorgimentale d’origini sabaude). 

 Al banco del GEB, accanto alla cassa, si nota un cartellino con su scritto: ‘se avete fretta suonate il campanello’; solo che dietro, al posto del pulsante da premere, ci sono le spine di un bel cactus rotondo…Pare che nessuno ci sia mai cascato, anche se l’ansia divora numerosi avventori.

 In vista di questa prima, che s’annuncia a partire dalle 20, con 175 minuti di spettacolo più 15’ d’intervallo, i due baristi s’affannano a ripetere agli avventori che entrano: ‘chiedete panini semplici se volete arrivare in orario’, del resto c’è chi ha già la busta dei biglietti in mano. 

 Anche nell’atrio del teatro c’è aria d’occasione, in un angolo vengono serviti spritz e si vendono bottigliette d’acqua minerale, e tanta gente si è già accomodata.

 Le prime dieci-undici file di poltrone sono pienissime, dalla N in poi si dirada un po’ la presenza del pubblico, e questa è già una notizia per una sala dove allo spettatore può essere capitato, ancora qualche inverno fa, d’entrare con una sparuta pattuglia d’eroici appassionati bene infagottati (per godersi magari un piccolo strano capolavoro, come l’indimenticabile omaggio muto di Alessandro Serra ai quadri di Hopper).

 In questo Teatro attaccato alla fonte che dal Medioevo è considerata miracolosa per la vista, in effetti, quasi sempre si compie il prodigio di vedere qualcosa d’interessante e di davvero meritevole.

A differenza, è bene ripetere, che nei teatroni gonfi di soldoni pubblici e affidati ai parrucconi del potere, dove si va tante volte per obbligo di firma, nel senso dei battage da industria culturale.

E dove poi, però, ’si ha sempre la sensazione di entrare in un cratere vuoto’, come ha detto con sincerità una pasionaria Daria Deflorian, durante l’assemblea di protesta dell’altro giorno contro la spartizione dei vertici del Teatro di Roma.

 Per tornare a ‘Come gli uccelli’, s'aggiunga che, in quanto storia che ha un tema così attuale come il conflitto tra ebrei e palestinesi (1), sta perfettamente su quel crinale ‘bruciante’ su cui si colloca programmaticamente questa stagione del Fontana.

 E non ci vuole un genio per capire che si possano intendere bene - e infatti avevano già collaborato - Elsinor, la storica realtà produttiva e di gestione a cui è affidata Sala Fontana, e il Mulino di Amleto, ovvero la compagnia fondata a Torino nel 2009 da Marco Lorenzi e Barbara Mazzi, che presenta questo ‘Come gli uccelli’…

 Fila tutto liscio fino al primo intervallo, e sono appena scrosciati gli applausi per il monologo drammatico della soldatessa israeliana, recitato dalla stessa Mazzi in perfetto stile ‘esageroma nen’ da antica capitale d’Italia (anche nella seconda parte, dove ci sarà un altro monologo chiave, quello del soldato, l’attore adotta un pregevole understatement).

 Adesso bisognerebbe mettere i tappi alle orecchie per evitare di ascoltare i primi commenti di esperti, critici, addetti ai lavori e appassionati competenti, ovvero lo stramaledetto pubblico delle prime, che non è propriamente il pubblico-pubblico ma è ben più scafato.

E uno dei piaceri in cui tipicamente si esercita, è trovare la citazione, il riferimento, il punto di contatto grazie a cui stemperare l’entusiasmo, che so?, per esempio citare quel certo sapore di Strehler a proposito di un classico ben riproposto, un eco di Ronconi per qualunque macchina scenica, piuttosto che la lezione Peter Brook ogni qual volta si noti, vivaddio!, un qualche sforzo di sottrazione, e addirittura Grotowskii o Kantor, se si vuol apparire sofisticati, imbattendosi in qualcosa che si reputa un bell’esempio di 'teatro povero'.

 Ebbene, in ‘Come gli uccelli’ - che alla fine riscuoterà comunque una bella sfilza di applausi e che in ogni caso è un altro bell’appuntamento del Teatro Fontana - non c’è niente di tutto questo (2).

 Come suggeriva una matura osservatrice acuta e ben preparata, a margine del primo intervallo, con questi testi e queste compagnie del terzo millennio si entra casomai in un immaginario più cinematografico e, propriamente, in un linguaggio dell’intrattenimento a incastri, ben costruito a freddo, di cui sono maestri riconosciuti e stra-premiati Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni e soci dell’ensemble denominatosi lacasadargilla.

 Il che, sia detto tra parentesi, porta inevitabilmente a far scattare un altro pregiudizio nello spettatore emozionalista a oltranza, che ogni volta vorrebbe potersi commuovere come dinanzi a un’indimenticabile Kathryn Hunter che si dondola sulla sedia di ‘Rockaby’ di Samuel Beckett, magistralmente diretta appunto da Peter Brook… 

 Non bastasse una certa quale doppia reazione allergica preventiva al contenuto (il solito conflitto mediorientale e la perenne questione della ricerca del padre), ci mancava giusto lo stile freddo, postmoderno, razionalista, che forse andando alla seconda rappresentazione nessuno avrebbe suggerito di notare. Ma queste sono proprio quisquilie autoreferenziali, perché poi, in realtà, lo spettacolo vola via benissimo e tocca pure corde profonde. Vedere per credere.

Drammatico abbraccio padre-figlio in 'Come gli uccelli' (foto Giuseppe Di Stefano)

NOTE

(1) Come gli uccelli – dal testo originale 'Tous des oiseaux' di Wajdi Mouawad

 Disperatamente giovani e innamorati, Eitan e Wahida (di origine ebrea lui, di origine araba lei), si conoscono a New York, in una delle scene d’incontro d’amore tra le più belle che siano finora state scritte per il teatro. A dispetto delle loro origini, il loro amore fiorisce e cerca di resistere alla realtà storica con cui i due ragazzi devono inevitabilmente fare i conti. Ma nel loro destino, qualcosa va storto sull’Allenby Bridge (Hebrew: אלנבי גשר Gesher Allenby), il famoso ponte che collega (ma allo stesso tempo divide, perché i controlli sono serratissimi e non a tutti è permesso il passaggio) Israele e Giordania.

 Eitan rimane vittima di un attentato terroristico proprio su quel ponte (luogo e simbolo) e cade in coma. La storia personale dei protagonisti si intreccia alla Storia, con la “S” maiuscola, di attentati, conflitti, odi che ormai da troppi anni continua in quelle terre e  tra le due culture di cui i protagonisti sono inevitabilmente esponenti. Durante il coma, in una dimensione sospesa, simbolica e potente, i piani temporali si intrecciano, si sospendono e si sovrappongono. Da luoghi diversi, infatti, arrivano, i genitori e i nonni a fare visita al ragazzo. Per tutti loro sarà l’occasione di guardare negli occhi la verità più nascosta, di affrontare il dolore dell’identità, il demone dell’odio, le ideologie più rigide che appartengono a ognuno dei personaggi e quindi a ognuno di noi. Sarà l’occasione per capire come resistere all’uccello della sventura che si scaglia contro il cuore e la ragione di ciascuno.

 Con questo testo teatrale si superano il tempo e lo spazio, percorrendo vicende familiari di diverse generazioni ambientate in diversi luoghi geografici e si percorre un’indagine emotiva sulla propria identità culturale e genetica e sulle proprie origini. Cosa sappiamo dei segreti del nostro passato, della storia delle nostre famiglie? Di quanti momenti oscuri della storia e di quali violenze siamo eredi senza saperlo? Siamo davvero il DNA che ci scorre nelle vene oppure è tutto molto più complesso? Se nasciamo nel letto del nostro nemico, come possiamo evitare che il sangue che scorre nelle nostre vene diventi una mina antiuomo? So davvero chi sono?

(scheda ufficiale dal sito de Il Mulino di Amleto)

 (2) ‘Il testo è una perfetta macchina dalla struttura cinematografica, alle volte metateatrale, che sembra proporre come in un film delle dissolvenze tra un’inquadratura e l’altra, un continuo salto in avanti e indietro nel tempo e nello spazio. Anzi è come se accadesse tutto contemporaneamente e negli stessi luoghi, come in un lungo coma dove il passato ha un peso talmente importante da fondersi con il presente e il futuro. Il regista riesce a ricreare e gestire abilmente, con semplicità e fluidità, tutti i cambi spazio-temporali e scenici del racconto. La scenografia è infatti semplice grazie all’ausilio di un apparato tecnologico, perfettamente in linea con altri suoi spettacoli come 'Ruy blas' o 'Festen', ossia l’utilizzo del muro-installazione, tre tavoli che ora sono tavoli, ora lettini d’ospedale, ora banconi del bar ecc.’

(dalla recensione di Ariel Ciravegna Thedy nel blog di critica teatrale degli studenti del Dams di Torino).

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